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l’inchiesta

La rete di prestanome, i colletti bianchi complici e i terreni avvelenati. Clan “padroni” dei rifiuti

Così la famiglia Delfino gestiva un reticolo aziende (una era anche sottoposta a confisca) attraverso insospettabili. In alcune aree agricole sostanze nocive con valori pari al 6.000% del limite pr…

Pubblicato il: 19/10/2021 – 12:09
La rete di prestanome, i colletti bianchi complici e i terreni avvelenati. Clan “padroni” dei rifiuti

REGGIO CALABRIA Rocco Delfino, personaggio chiave nell’inchiesta “Mala Pigna” della Dda di Reggio Calabria, per anni socio e Procuratore speciale della società Ecoservizi srl, attiva nell’area industriale di Gioia Tauro, avrebbe promosso un’associazione volta al traffico illecito di rifiuti mediante la gestione di aziende intestate fittiziamente a soggetti in teoria insospettabili ma riconducibili alla diretta influenza e al dominio della sua famiglia: si tratta della società Mc Metalli srl e della ditta Cm Servicemetalli srl. Gli amministratori aziendali di queste aziende sarebbero stati dei prestanome dei traffici illeciti dei Delfino, con una completa e incondizionata comunione di affari ed interessi. L’obiettivo era quello di servirsi dell’immagine e del nome di società apparentemente “pulite”, rette da un amministratore legale privo di pregiudizi penali e di polizia, avente tutte le carte in regola per poter ottenere le autorizzazioni necessarie alla gestione di un settore strategico come quello dei rifiuti speciali. Un passepartout per intrattenere rapporti contrattuali con le maggiori aziende siderurgiche italiane, contrattare l’importazione e l’esportazione di rifiuti da e per Stati esteri, nonché aspirare all’iscrizione in white list negli elenchi istituiti presso la Prefettura. 

I Delfino mantenevano il controllo della società confiscata grazie ad alcuni colletti bianchi

In quello che la Dda di Reggio Calabria considera il programma criminale mafioso della famiglia Delfino sarebbe rientrato, inoltre, il dominio assoluto della ditta Delfino srl, società in confisca definitiva sin dall’anno 2007 in quanto oggetto di un procedimento di prevenzione attivato nei confronti della famiglia alla fine degli anni Novanta, sull’assunto che Rocco Delfino e i fratelli gravitassero nella galassia della famiglia ‘ndranghetistica dei Molè. Le indagini avrebbero permesso di accertare che la società confiscata, ancora attiva sul mercato, altro non fosse che un’azienda di schermatura per le attività illecite dei fratelli Delfino, con il concorso attivo dei coadiutori e amministratori designati dall’Agenzia Nazionale dei beni Sequestrati e Confiscati alla criminalità organizzata, nonché di altri professionisti (avvocati, consulenti, commercialisti ed ingegneri ambientali). In questo segmento dell’inchiesta risultano indagati gli amministratori giudiziari Giuseppe Antonio Nucara e Alessio Alberto Gangemi. In particolare Rocco Delfino avrebbe infiltrato la società con professionisti spregiudicati a lui fedeli, avrebbe esercitato la sua influenza convocando i coadiutori al suo cospetto e dettando loro i comportamenti da opporre alle richieste dell’Anbsc. Il tutto per mantenere il completo controllo mafioso della società in confisca, in un clima di intimidazione e prevaricazione.

I rifiuti interrati e la contaminazione dei terreni agricoli

Altra condotta che i pm considerano «allarmante» e che sarebbe stata accertata nel corso delle indagini riguarderebbe lo smaltimento illecito di ingenti quantitativi di rifiuti speciali, anche pericolosi, attraverso attività di interramento nel suolo, diventato oggetto di investigazione e di accertamenti tecnici eseguiti dai consulenti tecnici nominati dalla Procura della Repubblica. Autocarri aziendali partivano dalla sede della società con il cassone carico di rifiuti speciali, spesso riconducibili a “Car Fluff” (rifiuto di scarto proveniente dal processo di demolizione delle autovetture) per giungere in terreni agricoli posti a pochi metri di distanza. Lì sarebbe avvenuto l’interramento di grandi quantitativi di rifiuti, anche a profondità significative. Gli accertamenti eseguiti hanno svelato anche l’interramento di altri materiali, quali fanghi provenienti presumibilmente dall’industria meccanica pesante e siderurgica. Questi terreni agricoli, a seguito degli interramenti ed per via dell’attività illecita, sarebbero risultati gravemente contaminati da sostanze altamente nocive, alcune di esse rilevate sino a valori pari al 6.000% (seimila percento) del limite previsto, con il concreto ed attuale pericolo che le sostanze inquinanti possano infiltrarsi ancor più nel sottosuolo determinando la contaminazione anche della falda acquifera sottostante.

Le estorsioni sulle banchine del porto di Gioia Tauro

Le indagini avrebbero permesso inoltre di documentare specifiche vicende estorsive a danno di imprese impegnate nell’appalto per la demolizione delle gru di banchina ormai obsolete presso il Porto di Gioia Tauro. Questa vicenda avrebbe visto coinvolti in prima linea alcuni degli arrestati, nello specifico Rocco Delfino e Domenico Cangemi, quali esponenti della cosca Piromalli di Gioia Tauro, e Francesco B. Palaia come presunto esponente della cosca Bellocco di Rosarno.

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