AOSTA «Provata al di là del limite del ragionevole dubbio l’esistenza di una locale valdostana, capitanata da Marco Fabrizio Di Donato (condannato in secondo grado a 9 anni di reclusione nell’ambito del processo Geenna con rito ordinario, ndr), appare comprovata l’intraneità alla stessa di Antonio Raso». Lo scrivono i giudici nelle motivazioni della sentenza d’appello del processo Geenna sulle infiltrazioni della ‘ndrangheta in Valle d’Aosta: lo scorso 19 luglio il ristoratore Antonio Raso è stato condannato a 10 anni per l’accusa di associazione mafiosa. Condannati anche a 8 anni l’ex consigliere comunale di Aosta Nicola Prettico e l’ex dipendente del Casinò di Saint-Vincent Alessandro Giachino, entrambi accusati di associazione mafiosa e a 7 anni l’ex assessora comunale di Saint-Pierre Monica Carcea, accusata di concorso esterno in associazione mafiosa. Assolto, invece, l’ex consigliere comunale e poi regionale Marco Sorbara, che in primo grado era stato condannato a 10 anni per concorso esterno in associazione mafiosa.
Secondo i giudici della Corte d’Appello di Torino, Antonio Raso, titolare della pizzeria La Rotonda di Aosta, «pur svolgendo un ruolo fondamentale nella cementazione del gruppo, non mostra in nessuna occasione di esercitare, neppure per delega, poteri decisionali». Da qui la riqualificazione di partecipe del gruppo malavitoso e non più di promotore. Per i giudici, Raso ha mostrato a più riprese la propria subalternità a Marco Fabrizio Di Donato, e ha svolto una «incessante opera di “cucitura” sia con il referente politico prescelto come concorrente esterno, che con i soggetti “satelliti” del gruppo stesso».
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