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«Basta con la sanità gestita da ragionieri»

Non lo è condivisibile a monte ma neppure a valle del sistema istituzionale ove la subordinazione – che non c’è più dalla revisione costituzionale del 2001 – si materializza tuttavia con i provved…

Pubblicato il: 20/10/2021 – 7:49
di Ettore Jorio*
«Basta con la sanità gestita da ragionieri»

Non lo è condivisibile a monte ma neppure a valle del sistema istituzionale ove la subordinazione – che non c’è più dalla revisione costituzionale del 2001 – si materializza tuttavia con i provvedimenti statali di riparto delle risorse. Quei provvedimenti che ancora residuano a causa della mancata applicazione del cosiddetto federalismo fiscale che affida la redistribuzione al sistema autonomistico territoriale, per esempio in sanità, con il criterio costi/fabbisogno standard. Quest’ultimo che sostituisce in toto il redivivo fondo sanitario nazionale. Tutto ciò in via di finanziamento ordinario destinato a Regioni ed Enti locali.

Guai però a perpetrare un siffatto difetto da consumati contabili, profondamente inadatti allo scopo, nel gestire le risorse europee che rappresentano la base del finanziamento del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR). Lo vieta l’Unione Europea, che richiede, quale risultato da conseguire, una crescita economica del Paese destinatario garante della restituzione del dovuto, al netto del fondo perduto. Lo pretende, di certo, Mario Draghi, abituato com’è ad assumere sempre, in tutte le sue funzioni svolte, provvedimenti ad alto contenuto solidaristico. Ebbene, ciò che occorreva fare – per assistere economicamente la trasformazione della sanità nazionale in termini di rafforzamento dell’assistenza territoriale specie nelle zone più fragili – non lo si è fatto. Si è eluso il progetto infrastrutturale tanto caro al ministro Speranza. Si è lavorato male per concretizzare la Misura 6 del PRNN, afferente alla salute (M6C1 3 M6C2).

Dalla proposta di ripartizione programmatica, ancorché non definitiva, delle risorse PNRR destinate a Regioni e province autonome in materia di rafforzamento del sistema nazionale della salute territoriale (si vede QS di ieri), si evince infatti l’ennesima fregatura per i territori meno attrezzati. I risultati non tengono affatto conto degli indici di deprivazione socio-economica e culturale, delle condizioni dei vigenti SSR, delle orografie pressoché impossibili, delle condizioni delle infrastrutture stradali e di quelle assistenziali e socio-sanitarie. Tutti gap che caratterizzano da sempre la mia regione. Il prospetto non è altro che l’esito della più scadente divisione di un budget nazionale sulla mera base del numero degli abitanti che popolano i territori regionali e provinciali destinatari.

Così è facile distribuire, senza tuttavia tenere conto dei fabbisogni reali ed emergenti cui affidare, per l’appunto, la ripresa e la resilienza, tali da rendere uniformi le condizioni essenziali del Paese. Specie di quello non uscito dalla pandemia e inconsapevole delle conseguenze che porrà il post-Covid. Non solo lo si fa male, ma lo si fa di tutta fretta, inviando la proposta di riparto alle Regioni nemmeno due giorni prima della relativa discussione che si terrà alla Commissione Sanità. La Conferenza Stato-Regioni comunica, infatti, solo lo scorso 18 ottobre alle 11,00 che la discussione relativa in Commissione Salute si sarebbe svolta domani 20 ottobre alle ore 10,00.

Con questo, tutte le Regioni, per non parlare della mia, unica commissariata, e di tutte quelle ancora in piano di rientro, si troveranno nella condizione, per alcune capestro, di accettare quanto proposto in sede ministeriale. I criteri di riparto adottati dai redattori della proposta sono, di fatto, sconosciuti ma, soprattutto, non fondati sull’inventario dei beni e servizi, che avrebbe dovuto costituire la base dell’investimento con finalità redistributiva. Un po’ quello che costituiva la ratio del D.M. 26/11/2010, attuativo della legge 42/2009, riguardante la perequazione infrastrutturale.

Una tale metodologia, se condivisa, lascerà le cose così come prima, con qualche Casa e Ospedale di comunità in più, magari distribuiti sul territorio per utilità politica e peso della rappresentanza dei Comuni destinatari, e qualche servizio in meno finanche rispetto a quelli oggi a regime. Ciò in quanto la nuova organizzazione darà l’impressione di rivoluzionare il sistema assistenziale, senza che questa si traduca in realtà concreta. A pagare saranno sempre gli stessi: gli anziani e i disabili e tutti quei cittadini che vivono nei comuni montani, ma non di quelli attrezzati delle note stazioni sciistiche! Il maggiore costo lo pagherebbe la mia Calabria, tormentata dal 14 anni di commissariamento e una organizzazione sociosanitaria postbellica. Con il 32% della popolazione che vive a oltre 500 mt di altitudine, con il disastro viario che si ritrova e i servizi di trasporto pubblico pressoché inesistenti con 75 milioni di euro da dedicare alla Case della comunità non si farà neppure il solletico all’attuale disastroso disagio assistenziale.

*Unical

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