LAMEZIA TERME L’agricoltura calabrese ha pagato e paga ancora lo scotto della crisi pandemica che ha ridotto i consumi alimentari e fatto innalzare in modo rilevante il costo delle materie prime. Costringendo molte aziende a vendere sotto costo le proprie produzioni. A denunciare il quadro allarmante in cui versa il comparto primario dopo la crisi economica seguita all’emergenza coronavirus, Alberto Statti, presidente di Confagricoltura Calabria che chiede al nuovo governo «un deciso cambio di rotta che consenta di diminuire il livello di burocratizzazione delle procedure e di disporre di burocrati scelti sulla base del merito». E sull’inchiesta “Mala Pigna” della Distrettuale di Reggio Calabria che ha scoperto un traffico di rifiuti finiti in terreni agricoli nella Piana di Gioia Tauro: «È una minaccia per l’economia sana di questa regione e per tutti quegli imprenditori che, con il massimo dell’impegno, prestano cura, tutela ed attenzione all’ambiente, decisivo per la crescita della Calabria e per la valorizzazione delle nostre tipicità».
Presidente qual è lo stato attuale della agricoltura calabrese dopo lo tsunami economico scatenato dalla pandemia?
«Oggi registriamo costi di produzione altissimi causati anche dagli aumenti delle materie prime, come ad esempio gasolio, fertilizzanti e mangime per gli animali. Aumenti che hanno comportato pesanti conseguenze, soprattutto in Calabria, con molte delle nostre produzioni vendute al di sotto dei costi di produzione. Tuttavia, pur in un quadro che rimane fortemente preoccupante, è possibile scorgere alcuni segnali di ripresa, trainano la speranza produzioni di eccellenza, il vino innanzitutto. Per altre come olio, agrumi, latte ed alcuni segmenti dell’ortofrutta i contraccolpi della crisi sono stati ben più significativi generando una flessione del valore aggiunto che ha superato i 9 punti percentuali rispetto all’anno precedente. Un dato più alto della media nazionale, facile intuire dunque come la Calabria – su questo fronte – ha pagato un prezzo ben più ampio rispetto ad altri contesti regionali».
Quali sono le principali esigenze degli imprenditori agricoli calabresi per riuscire ad agganciare la ripresa che si avverte nel resto del Paese?
«Intanto l’aggregazione tra imprese, poi l’innovazione di processo e di prodotto per aumentare la nostra capacità di competere sui mercati. È chiaro che si tratta di due obiettivi raggiungibili solo attraverso un deciso incremento degli investimenti, va da sé – però – che le aziende non saranno in grado di farlo prima di affrontare e risolvere definitivamente un problema che si trascina da troppi anni. Mi riferisco, nello specifico, all’indebitamento delle imprese, la nostra proposta in questo senso è nota, il sistema agricolo necessita di una legge per la ristrutturazione finanziaria delle aziende agricole con un periodo di ammortamento di almeno 25 anni. Questo consentirebbe di ripartire con più forza e tranquillità sapendo di poter contare su una maggiore liquidità propria, potenziata dagli investimenti finanziati dalla comunità europea».
Come sta procedendo la gestione del Programma di sviluppo rurale attuale?
«Il Psr sta procedendo seguendo il trend degli ultimi 4-5 anni che ha visto la Calabria attestarsi tra le prime regioni italiane in termini di utilizzazione di risorse europee. Bisogna però insistere sulla strada della sburocratizzazione delle procedure da parte della macchina amministrativa per consentire alle imprese di velocizzare gli investimenti».
Il Psr ancora in corso come quello delle precedenti programmazioni ha fornito importanti risorse al settore. Ma queste somme non sono riuscite a colmare il divario con gli altri territori. Cosa è mancato?
«Innanzitutto, ricordiamo, che la Calabria sconta alcuni ritardi legati alla sua posizione geografica che la vede lontana dai mercati più interessanti del Paese e dell’Europa, con una rete infrastrutturale assolutamente carente. Per questo non basta attivare solo le misure e le risorse previste nel Programma di sviluppo rurale, ma servono azioni mirate per avere una regione moderna con infrastrutture tecnologiche, materiali ed immateriali, adeguate. In questa logica sarebbe di fondamentale e strategica importanza una maggiore interconnessione tra i fondi, per procedere più speditamente nei settori più virtuosi. Vorremo poter utilizzare in maniera più adeguata anche le risorse previste dal Credito d’imposta per il Mezzogiorno che allo stato, ad esempio, esclude le trattrici agricole. Un aspetto quest’ultimo che rappresenterebbe anche una risposta in termini di innalzamento del livello di sicurezza sul lavoro andando a rinnovare parchi macchine decisamente vetusti. Allo stesso tempo crediamo sia necessario per il comparto agricolo utilizzare la bancabilità del credito, cioè la cessione del credito così come previsto per altri settori. Infine la proroga del credito d’imposta mezzogiorno 2023 con le stesse aliquote sarebbe una buona scelta».
Cosa ritenete prioritario da inserire nel nuovo Programma di sviluppo rurale?
«Innanzitutto dare priorità agli imprenditori agricoli di professione, è questa la precondizione per far crescere il comparto e dunque l’economia dell’intera regione. Tra le azioni che crediamo fondamentali c’è l’innalzamento dell’aliquota di finanziamento prevista dai bandi comunitari, così come chiesto a più riprese alla Regione in quest’ultimo anno. Questo, di certo, faciliterebbe la realizzazione di investimenti strategici per il rilancio dell’agricoltura calabrese. E poi massima attenzione alle misure agroambientali i cui effetti riguardano anche e direttamente i consumatori».
Avete avuto un incontro come Confagricoltura anche con il neo presidente della Calabria Roberto Occhiuto. Cosa vi aspettate ora dal nuovo governo regionale?
«Da sempre pensiamo che il confronto sia la chiave per comprendere i problemi ed immaginare soluzioni condivise e sostenibili, da questo punto di vista siamo certi, cosi come già dichiarato, che il Presidente Occhiuto ascolterà valutazioni e richieste del mondo agricolo. Tanto per intenderci, un deciso cambio di rotta che consenta di diminuire il livello di burocratizzazione delle procedure e di disporre di burocrati scelti sulla base del merito. Concordo infatti con il Presidente Occhiuto quando osserva che è auspicabile un ritorno in Calabria di tutte quelle energie e professionalità che oggi, purtroppo, costituiscono risorse in altri contesti territoriali».
Un’ultima domanda sull’ecomafie. L’inchiesta della Distrettuale di Reggio ha dimostrato ancora una volta che i clan rappresentano una minaccia anche per l’agricoltura calabrese sia in termini di ricadute all’immagine delle produzioni sia per il rischio di infiltrazione nell’economia sana. Quali sono le contromisure da adottare?
«Quanto emerso dall’indagine portata a termine dalla Procura della Repubblica di Reggio Calabria, è a dir poco inquietante, ci auguriamo che si tratti di fenomeni circoscritti. Il lavoro dei magistrati e delle forze dell’ordine dimostra un’attenzione ed una sensibilità che ci conforta ma non può bastare. Noi come organizzazione abbiamo adottato un codice etico che prevede l’immediata espulsione degli imprenditori che si macchiano di reati legati alla criminalità organizzata. Quanto emerso nell’inchiesta “Mala Pigna”, condotta nella Piana di Gioia Tauro, è una minaccia per l’economia sana di questa regione e per tutti quegli imprenditori che, con il massimo dell’impegno, prestano cura, tutela ed attenzione all’ambiente, decisivo per la crescita della Calabria e per la valorizzazione delle nostre tipicità». (r.desanto@corrierecal.it)
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