COSENZA I periti del Tribunale di Cosenza hanno confermato le responsabilità indicate dai consulenti dell’avvocato Massimiliano Coppa: Vincenzo Pascali, Ordinario di Medicina Legale nell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma – Policlinico Gemelli e Massimo Fantoni, Responsabile Unità di Consulenza Infettivologica Coordinatore Antibiotic Stewardship Team Istituto di Clinica delle Malattie Infettive del Policlinico Gemelli Università Cattolica del Sacro Cuore, che qualificarono come «altamente difettuale ed omissiva» la condotta dei sanitari dell’ospedale di Cosenza che ebbero in cura una dottoressa di 44 anni.
Il medico in servizio presso l’Asp di Cosenza, si era rivolta al Pronto Soccorso dell’Annunziata di Cosenza nell’aprile del 2017 per un gonfiore al piede (linfedema). Il paziente venne dirottata al reparto di dermatologia dell’ ospedale dal quale venne poi dimessa subito dopo essere stata sottoposta ad una visita ambulatoriale. Afflitta da forti dolori al piede, una collega del medico decise di chiamare il 118. Il medico venne nuovamente ricoverata in ospedale. Scrivono i periti che durante un periodo di un mese di degenza della paziente presso l’Ospedale di Cosenza: «Emerge l’errore di condotta del medico di Pronto Soccorso che al primo accesso della paziente invece di procedere al ricovero ospedaliero la dimise, ritardando l’avvio della terapia idonea e l’assistenza in ambiente ospedaliero. Emerge l’errore di altri sanitari per la sottovalutazione dello stato locale degli arti inferiori e della sua evoluzione. Emerge pure una infezione da Morganella Morgani – Serratia Marcescens- Enterococcus Faecalis, che non fu trattata e risulta pure omessa la rivalutazione della consulenza chirurgica e la ripetizione dei tamponi delle ferite al fine di valutare l’efficacia del trattamento intrapreso e non venne chiesta con carattere d’urgenza. Quando il 29 giugno il chirurgo pose il sospetto di osteomielite non venne avviato il percorso diagnostico. Quando il chirurgo pose indicazione alla terapia iperbarica non venne attuata. Quando il 29 giugno l’infettivologo pose diagnosi di fascite necrotizzante non venne posta indicazione alla fasciotomia d’urgenza. Si ritiene che il 29 giugno fosse indicato procedere a detersione chirurgica con asportazione di tessuto necrotico, sbrigliamento dei recessi, fasciotomia. Nulla di tutto ciò venne effettuato».
Il primo luglio venne consultato l’ortopedico in merito ad una possibile amputazione.
«La condotta dei sanitari chiamati in consulenza dal 29 giugno fino all’exitus – scrivono sempre i periti – appare censurabile ed idonea ad introdurre profili di responsabilità per negligenza, imprudenza ed imperizia. Paradossalmente in paziente in stato di shock settico con lieve acidosi metabolica, i sanitari stabilirono di soprassedere all’intervento chirurgico (non operabilità della paziente). La condotta appare incoerente e connotata da un rinvio della decisione operatoria da un consulente all’altro in attesa dell’exitus in paziente con un quadro clinico di urgenza chirurgica indifferibile». Fu la stessa dottoressa a richiedere l’amputazione dell’arto (poi non eseguita), a conoscenza degli effetti che quel tipo di patologia avrebbe potuto avere sulla propria salute. (f.b.)
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