CATANZARO L’accusa aveva chiesto l’archiviazione per tenuità del fatto e per esiguità del danno vista anche la restituzione delle somme percepite da parte degli indagati. Ma il gip Valeria Isabella Valenzi ha rigettato la richiesta e ha disposto che il pubblico ministero entro dieci giorni «formuli l’imputazione nei confronti degli indagati, contestando i fatti di reato indicati».
Non si chiude, dunque, il caso “Gettonopoli” incentrato sull’indebita percezione dei gettoni di presenza alle attività delle commissioni consiliari da parte di alcuni consiglieri comunali di Catanzaro.
Secondo il gip «la restituzione di quanto in ipotesi indebitamente percepito non spiega alcun effetto sulla configurabilità del reato, (già consumato all’atto della percezione, conseguita per effetto di raggiri ed artifizi che abbiano indotto in errore l’amministrazione sulla necessità della loro corresponsione), ma si presta al massimo ad attenuare la pena prevista per la fattispecie ipotizzata». Il profitto acquisito dai consiglieri, spiega il giudice, costituisce, anche se per poche centinaia di euro, «un danno economicamente apprezzabile per l’amministrazione pubblica».
Il gip ravvisa «l’abitualità del comportamento» dei consiglieri. Stando alle indagini e alle immagini delle telecamere poste dalla polizia giudiziaria all’interno del Comune (tra novembre e dicembre 2018) emergeva «un andirivieni di consiglieri dalle stanze deputate allo svolgimento delle riunioni delle commissioni consiliari, nonché la presenza di alcuni di loro lungo il corridoio del piano dell’edificio comunale in cui si celebravano le sedute o negli spazi comuni dell’edificio mentre erano in corso le riunioni. In numerosi casi l’ingresso dei consiglieri all’interno delle stanze delle riunioni avveniva solo per pochi minuti, sufficienti, verosimilmente, soltanto a raggiungere il numero legale per la validità della riunione e ad apporre la firma di presenza sul verbale della seduta». Insomma, le cinque commissioni consiliari permanenti, che avrebbero dovuto garantire il costante lavoro su temi importanti per la città, si riunivano poco e male mentre i consiglieri intascavano il gettone di presenza.
«Ed invero – scrive il gip –, l’analisi dei filmati effettuata dalla polizia giudiziaria dà atto della diffusione e sistematicità delle sopra descritte modalità della partecipazione, confermando l’esistenza di un’effettiva prassi (ammessa anche dal presidente Polimeni), idonea ad escludere, già di per sé, l’episodicità del comportamento».
L’ordinanza del giudice nasce in seguito alla richiesta di archiviazione da parte della Procura di Catanzaro e dal conseguente fatto che sei dei consiglieri coinvolti si erano opposti alla richiesta di archiviazione per tenuità del fatto: Filippo Mancuso (difeso da Francesco Iacopino), Agazio Praticò (difeso da Antonio Lomonaco ), Antonio Mirarchi (difeso da Eugenio Perrone), Fabio Celia (difeso da Eugenio Perrone), Antonio Angotti (difeso da Eugenio Perrone), Manuela Costanzo (difesa da Giuseppe Pitaro).
In seguito all’udienza davanti al gip, avvenuta il 6 ottobre scorso, è scaturita un’ordinanza del giudice il quale ha disposto che il pm formuli un’imputazione nei confronti di 19 consiglieri. Oltre a quelli già menzionati il gip ha respinto l’archiviazione anche per altri 13 consiglieri: Francesca Celi (difesa da Marco Reina), Lorenzo Costa (difeso da Maurizio Belmonte), Roberta Gallo (difesa da Amedeo Bianco), Francesco Gironda (difeso da Amedeo Bianco), Luigi Levato (difeso da Helenio Caratginese), Rosario Lostumbo (difeso da Vincenzo Ioppoli), Rosario Mancuso (difeso da Michele De Cillis), Giuseppe Pisano (difeso da Giuseppe Pisano), Cristina Rotundo (difesa da Amedeo Bianco), Giulia Procopi (difesa da Enzo De Caro), Fabio Talarico (difeso da Amedeo Bianco), Antonio Ursino (difeso da Daniela Gullì), Enrico Consolante (difeso da Flavio Pirrò e Rosario Montesanti). Secondo il gip sono contestabili i reati di truffa aggravata e falsità ideologica commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici.
Il gip ha inoltre sottolineato come non si ravvisino disparità di trattamento rispetto alle posizioni di Riccio, Battaglia, Fiorita e Bosco destinatari di un provvedimento di archiviazione per insostenibilità dell’accusa in giudizio «considerata la non sovrapponibilità, alle posizioni in disamina, delle motivazioni articolate dal pm in quella richiesta di archiviazione (difetto delle riprese; partecipazione interessata alla seduta)». (a.truzzolillo@corrierecal.it)
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