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IL CASO

«Mio fratello doveva essere sorvegliato». La storia di un suicidio raccontata da Samuele Caristena

A Buongiorno Regione il familiare ripercorre le vicende di un percorso giudiziario controverso

Pubblicato il: 26/10/2021 – 10:50
«Mio fratello doveva essere sorvegliato». La storia di un suicidio raccontata da Samuele Caristena

LAMEZIA TERME La storia di Rocco Caristena è un caso giudiziario controverso. Lo scorso 31 luglio, il quarantenne esce dal reparto dell’ospedale di Vibo Valentia – dove era ricoverato dopo un trattamento sanitario obbligatorio per problemi psichiatrici – e si lancia nel vuoto, dalle scale antincendio. Per questo evento sono stati indagate quattro persone ed in questi giorni è stata depositata la richiesta di archiviazione, contro cui si oppone la famiglia.
Samuele Caristena, racconta la storia del fratello a Buongiorno Regione, su RaiTre Calabria. «I problemi di mio fratelli – dice – nascono dalla dipendenza della droga. All’ospedale di Vibo è arrivato perché necessitava di cure immediate, dopo ricadute e sofferenze. Era residente a Borgo dei mastri, una struttura di Rogliano ed il 2 luglio era stato ricoverato in ospedale».
Samuele non condivide la tesi degli inquirenti, secondo cui il suicidio è un evento imprevedibile. «Non siamo d’accordo perché un fatto di quel genere può accadere in una struttura in cui non c’è vigilanza o in un reparto a basso rischio. E neanche lì sarebbe ammissibile se l’evento è attuato da una persona con sofferenze mentali come mio fratello, afflitto da schizofrenia paranoide. Ecco perché doveva essere sorvegliato, affinché il rischio suicidario venisse meno».
Samuele Caristena si chiede come possa, un paziente, aprire la porta del reparto, «senza vigilanza. È uscito solo ed ha avuto tutto il tempo di utilizzare la scala antincendio, quando invece andavano adottati tutti i protocolli antisuicidio, soprattutto con una anamnesi come quella di Rocco. Il giudice – prosegue – aveva imposto che fosse curato un altro anno in una residenza per l’esecuzione delle misure di sicurezza a Santa Sofia. Parliamo di una persona che veramente stava male. Con le condizioni cliniche di mio fratello avrebbero dovuto attuare tutti i protocolli per impedire quel gesto». Samuele rivela anche l’esistenza di un video, filmato col cellulare da una persona che abita nelle vicinanze dell’ospedale, «in cui si vede mio fratello urlare, al terzo piano della scala antincendio, e poi lanciarsi. Quanto accaduto è una cosa gravissima, visto l’orario, le 13,25, dopo la terapia».
La perizia, prosegue nel suo racconto, «evidenzia che la patologia di mio fratello era nota e che si potevano attuare tutti i protocolli antisuicidio e per evitare l’autolesionismo». Secondo Samuele, insomma, tutta la vicenda è stata sottovalutata: «Era ricoverato dal 2 luglio e nessuno si è accorto che il paziente non mangia, dimagrisce, è triste anche perché non può vedere i suoi cari, dopo l’assunzione di farmaci che non rendono sempre lucidi. Se fossi stato nei panni del professionista sarei stato più vicino al paziente. Penso che ci sia stata una grande mancanza nei suoi confronti».
La storia di Rocco, riferisce infine Samuele, inizia quando la famiglia Calistena si trasferisce a Roma. «Mio fratello si è ammalato quando abbiamo abbandonato l’attività di famiglia a causa di una lettera con delle croci davanti alla porta. Mia madre, per l’incolumità di mio padre ha insistito affinché ci trasferissimo a Tor Bella Monaca, periferia della Capitale dove Rocco diventa tossicodipendente». Quel trasferimento, per Samuele è l’inizio di «una serie di eventi negativi».

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