ROMA Un ergastolo (che conferma l’esito del processo di primo grado) e una condanna a 24 anni e 8 mesi (in primo grado era stato decretato un ergastolo) nel processo di Appello ter per l’omicidio del presunto boss di ‘ndrangheta Vincenzo Femia, ucciso nel 2013 a Roma. Questa la decisione della Corte di assise d’Appello di Roma (presidente Agatella Giuffrida, a latere Mastroianni) nei confronti di Massimiliano Sestito (per lui la conferma del fine pena mai) e Francesco Pizzata. Femia, all’epoca 60enne, originario della provincia di Reggio Calabria, venne ucciso a colpi di pistola e ritrovato in una zona periferica della Capitale.
L’Appello ter si è celebrato dopo due rinvii della Cassazione. Nel processo, il sostituto procuratore generale Francesco Mollace, al termine di una requisitoria fiume nella quale ha ricostruito la presenza della ‘ndrangheta nel Lazio, aveva chiesto la condanna all’ergastolo per entrambi gli imputati.
Femia fu ucciso con 9 colpi calibro 9 in via della Castelluccia di San Paolo all’Ardeatina. E l’omicidio fu subito inquadrato dagli inquirenti – l’allora capo della squadra mobile Renato Cortese e il procuratore aggiunto del pool Antimafia Michele Prestipino – come uno scontro tra ‘ndrine. Un caso inedito: per la prima volta una faida si era spostata dalla Calabria alla Capitale. Nell’operazione che portò alla cattura dei presunti killer e alla ricostruzione del delitto, gli inquirenti scoprirono anche un pizzino col giuramento dei nuovi adepti del clan rivale a quello di Femia, boss residente a Roma da 20 anni da sorvegliato speciale. L’ipotesi degli inquirenti fu che lo scontro fosse legato alla gestione del traffico di cocaina. Così il commando decise di porre fine alla vita del rivale. (ppp)
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