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«Sopportare o combattere i mali che rischiano di affondare la Regione?»

Che Regione è quella calabrese? La Regione che sta per entrare nella XII legislatura senza neppure guardarsi allo specchio al compimento dei suoi primi cinquant’anni di vita? Un compleanno oscurat…

Pubblicato il: 28/10/2021 – 16:54
di Romano Pitaro
«Sopportare o combattere i mali che rischiano di affondare la Regione?»

Che Regione è quella calabrese? La Regione che sta per entrare nella XII legislatura senza neppure guardarsi allo specchio al compimento dei suoi primi cinquant’anni di vita? Un compleanno oscurato, sia nella legislatura in dissolvenza che in campagna elettorale. E a cui non è stato riservato uno straccio di convegno per fare il punto, con l’intento di correggere errori e disfunzioni tribali, su luci e ombre di un’Istituzione che, nella sua originaria versione di “Regione democratica e antifascista”, mirava a superare le “storiche arretratezze” e che, invece, nei decenni successivi, ha sfibrato ogni slancio di trasformazione. Consumando energie umane e risorse finanziarie nel circuito del clientelismo politico che ha annientato la speranza di traslare il cuore antico e mediterraneo della Calabria nella modernità. Una ricorrenza a cui non è stato tributato neanche uno dei tanti docufim prodotti dalla “Film Commission”. Quasi che il disallineamento tra il nucleo valoriale costitutivo della Regione e la Calabria fosse irreversibile. Che Regione è, dunque, una Regione che mentre il Paese s’infervora sul “Next Generation Ue” e molti suoi esponenti si sfiatano perché al Sud arrivi (per davvero) il 40 per cento delle risorse che l’Europa destina alla ricostruzione economica, subisce le rampogne dell’Europa sull’impiego dissennato delle risorse comunitarie? Ed è evidente che, se non si corregge il tiro su questioni cosi rilevanti, è perché il mancato utilizzo produttivo degli aiuti europei non è una casualità, piuttosto il simbolo eloquente di un regionalismo calabrese che, procedendo senza obiettivi strategici, invece di scardinare il sottosviluppo, ha impantanato la Calabria. Favorendo l’arricchimento di pochi, immeritate carriere politiche e la permeabilità del sistema ai fenomeni corruttivi e criminali. Più in generale, però, nel tentativo di comprendere di che pasta è fatta questa Regione, occorrerebbe valutare se, nonostante rovesci e acciacchi, abbia preservato i tratti essenziali che le consentano l’inclusione in uno dei modelli vigenti del regionalismo italiano. Il costituzionalista Antonino Spadaro ne indica cinque (però il quinto – riferito a ipotesi di Regione futura: macro Regioni omogenee all’insegna di “un ente nuovo perché geopoliticamente vero in quanto realmente corrispondente al territorio” – nel caso Calabria è da escludere). Il primo modello di Regione è quello astratto, previsto dalla Costituzione del ’48 e rimasto inattuato per 22 anni. Poi il modello di Regione reale: dal ’70 al 2001, in cui si è passati “dal vetero centralismo statale a un neo centralismo regionale”. Il terzo (di Regione reale) è sgorgato dalla riforma costituzionale del 2001 (ancora vigente) che ha registrato “20 anni di controversie con lo Stato con un progressivo fenomeno di neocentralismo statale che si manifesta sotto diversi fronti (giurisprudenza costituzionale, vincoli finanziari). Quarto: la possibile Regione avanzata “che nel quadro del cosiddetto regionalismo progressivo o differenziato (art. 116,III c.,Cost.) riguarda solo le Regioni più efficienti e si evidenzia con richieste di maggiore competenza e autonomia (istruzione, beni culturali, ambiente, giurisdizione penale, civile e amministrativa). Pertanto, rebus sic stantibus, dove collocare la Regione Calabria allergica alla programmazione e restia a condividere le scelte con la società civile, che anche quando legifera sui fondi comunitari scopiazza goffamente da altre Regioni, che non produce innovazione, che non tutela (quando non le mortifica) le identità territoriali e non sa mettere a valore il suo immenso patrimonio naturalistico, storico, culturale e architettonico? In quale dei modelli indicati ficcare una Regione che, specie dopo l’introduzione dell’elezione diretta del Presidente (2000), ha seguito un solo asfittico e sterile canovaccio secondo cui l’Esecutivo delibera (spesso per obiettivi settoriali) e il Consiglio (vuoi perché i consiglieri tendono a stare a Reggio il meno possibile o perché mancano di esperienza) si limita ad approvare pedissequamente le decisioni della Giunta, mentre le sparpagliate opposizioni, strette nella tenaglia Esecutivo- maggioranza, non fanno che produrre note stampa di sdegno e, al contempo, flirtare con gli Assessorati per dare risposte ai propri elettori? Il presidente Occhiuto e i consiglieri del nuovo corso legislativo ereditano una Regione che nell’immaginario collettivo evoca le peggiori aggettivazioni. Disarticolata, in cui la mano destra non sa cosa fa la mano sinistra, e con un’organizzazione amministrativa che, cosi com’è, è inadeguata a fronteggiare le sfide che attendono la Calabria. Si tratta di capire se intendono porvi rimedio o se, al contrario, si accomoderanno all’istante dalla parte del torto. Galleggiando, mentre la Cittadella e l’Astronave affondano.

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