COSENZA Si è tenuta al Tribunale di Cosenza, l’udienza relativa al processo scaturito dall’inchiesta “Cloaca Maxima“. L’indagine venne avviata dalla Procura della Repubblica di Cosenza ed affidata ai carabinieri forestali a seguito del consistente numero di denunce presentate dai cittadini residenti nelle aree contigue all’impianto di depurazione del fiume Crati. Il Pubblico ministero, Giuseppe Cozzolino ha effettuato l’esame di un testimone, durato circa quattro ore, poi la parola è passata agli avvocati della difesa per il controesame. A dar conto dell’attività svolta, un ingegnere della società Geko che gestisce l’impianto di depurazione, che ha fornito una robusta relazione. Nella prossima udienza saranno sentiti altri due, dei sei complessivi testimoni dell’accusa. Nel procedimento si sono costituite parti civili le associazioni Fare Ambiente laboratorio Verde di Cosenza, rappresentata dall’avvocato Anita Frugiuele, il Wwf con l’avvocato Fabio Spinelli, Lagambiente con l’avvocato Rodolfo D’Ambrosio, il Consorzio Valle Crati con il legale Erika Rodighiero. Del collegio difensivo fanno parte gli avvocati: Filippo Cinnante, Massimiliano De Rose e Francesco Carotenuto.
Vincenzo Cerrone, Dionigi Fiorita, Giovanni Provenzano, Annunziato Tenuta, Rosario Volpentesta e Eugenio Valentini sono coinvolti nell’inchiesta e accusati di aver generato un deterioramento significativo delle acque del fiume Crati e del relativo ecosistema, alterandolo sotto l’aspetto chimico, fisico, olfattivo e visivo. Gli odierni imputati, sarebbero i responsabili degli sversamenti nel fiume Crati attraverso l’apertura di un bypass posto a monte della sezione ossidativa del depuratore. Nel corso d’acqua finivano liquami non completamente depurati poiché sottoposti alla sola fase di sedimentazione primaria. Ma i carabinieri hanno più volte verificato come nel Crati finissero anche acque fognarie senza nessun trattamento depurativo ad eccezione della “grigliatura”. Nel corso della fase investigativa, i carabinieri evidenziarono il grande paradosso dell’impianto di depurazione di Contrada Coda di Volpe: più che depurare, secondo i militari, era utilizzato per inquinare.
Nel fiume Crati venivano sversate sostanze altamente inquinanti senza passare dai filtri che ne avrebbero dovuto garantire la depurazione. Una schiuma bianca invadeva le sponde e il letto del fiume da cui si levava un odore nauseabondo che più volte ha spinto gli abitanti a contattare le forze dell’ordine. Nei mesi di dicembre 2017 e gennaio 2018 i militari dell’arma hanno accertato ben 141 sversamenti inquinanti. Non solo, la complessa attività di indagine è stata condotta con dei meccanismi di intercettazione ambientale e telefonica, attraverso la captazione di oltre 10mila telefonate e la visione di 5.873 filmati. «Sta stramazzannu». Quando gli indagati pronunciavano queste parole, significava che nel fiume Crati si stavano sversando liquami inquinanti.
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