CORIGLIANO ROSSANO Ecco come uno strumento, che nelle premesse poteva essere essenziale per riattivare il mondo del lavoro e sostenere i nuclei familiari indigenti, rischia di diventare una misura farlocca. Anzi, una misura pericolosissima per lo stesso mercato del lavoro. A confermare la condizione allarmante e di limbo del Reddito di Cittadinanza, che in questi mesi ha creato un vuoto paradossale e incolmabile tra domanda e offerta occupazionale, oggi c’è anche la testimonianza di chi questo mondo lo vive quotidianamente. E che, a quanto pare, conferma come il governo centrale abbia adottato questo strumento di elargizione di denaro pubblico ai senza reddito senza però preoccuparsi della cosa più importante: aiutare disoccupati e inoccupati a trovare un lavoro ben retribuito.
Un vulnus pauroso a danno delle casse dello Stato, un vuoto a perdere per i cittadini che nei prossimi anni rischia di creare una macelleria sociale. Anche perché il Reddito di cittadinanza non producendo volume economico e quindi nemmeno anzianità contributiva porterà inevitabilmente ad innalzare il limite di età pensionabile. Ancora più di quanto non lo sia ora (il più alto in Europa). Si pensi ai quarantenni che oggi percepiscono il reddito di cittadinanza e che sono alla ricerca di un lavoro che non trovano perché il meccanismo di collocamento non funziona. Non lo diciamo noi ma i numeri. Che attestano come in Italia, in tre anni, la misura del Reddito di Cittadinanza ha prodotto solo 158mila posti di lavoro a fronte di 1,3milioni di nuclei familiari che ricevono il sussidio dello Stato. Praticamente il nulla. Quando andrà in pensione questa gente? Quando andrà in pensione la generazione 80-90?
Ad aggravare ancora di più questa situazione, poi, ci sarebbe l’apparente disinteresse del Governo. Una “gola profonda” tra i navigator che operano a servizio dei centri dell’impiego del territorio della Sibaritide-Pollino conferma l’apatia del Ministero del Lavoro: «Negli ultimi tre anni – ci rivela uno di loro – da quando abbiamo iniziato questo servizio di supporto ai centri per l’impiego nella realizzazione di un percorso lavorativo per i percettori del reddito di cittadinanza, nessuno dagli uffici del ministero si è preoccupato di contattarci per avere dei feedback o conoscere che tipo di problematiche stessimo riscontrando nel nostro lavoro». Insomma, anche i “poveri” navigator sono stati lasciati in balia del loro destino e alla mercé delle proteste.
Ma non è solo questo quello che lamentano. C’è di più, c’è dell’altro. «In realtà – dice ancora la gola profonda – noi non sappiamo quante aziende operano sui territori di nostra competenza. Il Ministero ci ha fornito l’elenco delle imprese censite solo con un codice fiscale numerico. Ma è molto probabile – precisa – che questa sia solo una minima parte rispetto al numero di quelle che realmente sono in esercizio e iscritte al registro Rea e con partita Iva». Quindi solo una minima parte di tutte quelle aziende che oggi cercano manodopera e non la trovano.
Problema nel problema, che rischia di aprire di fatto una vertenza sociale gigantesca, è che la questione non si limita ai soli percettori del reddito di cittadinanza, bensì al più ampio bacino della domanda e offerta di lavoro. E qui entrano in gioco i Centri per l’Impiego che, a quanto pare, non sono in grado di soddisfare le richieste né del mondo di chi cerca un’occupazione tantomeno di quello che l’occupazione ce l’ha e la vorrebbe offrire.
Poco male se un navigator non conosca il numero reale delle aziende che operano sul territorio; gravissimo, invece, se non lo sanno gli uffici di collocamento. Diversamente non si spiegherebbe perché decine di imprese che in questo periodo si stanno rivolgendo agli sportelli per chiedere manodopera si ritrovino sempre e puntualmente con un nulla di fatto.
La domanda è: a cosa servono i Centri per l’Impiego che non riescono nemmeno a sapere qual è la domanda/offerta di lavoro che c’è sul territorio in cui operano?
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