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Rinascita Scott, Pytlarz: «Quando Tita andò dai carabinieri e Luni si disperava: “Mi ha rovinato”»

Parla l’ex moglie di Domenico Mancuso: «Minacce della suocera e una vita da schiava». I dispetti subiti: «Licenziata per non avere problemi col clan»

Pubblicato il: 12/11/2021 – 20:31
di Alessia Truzzolillo
Rinascita Scott, Pytlarz: «Quando Tita andò dai carabinieri e Luni si disperava: “Mi ha rovinato”»

LAMEZIA TERME Le mani sulla testa, bianco in volto. Così la testimone di giustizia di origine polacca, Ewelina Pytlarz ricorda Pantaleone Mancuso, alias “Luni Scarpuni” il giorno in cui sua moglie Tita Buccafusca si recò dai carabinieri. Seduto accanto al camino nella sua casa di Nicotera Marina, “Scarpuni” avrebbe esclamato: «Mi ha rovinato».
Il racconto di Pytlarz, nel corso del maxiprocesso Rinascita-Scott, è intermittente, spezzettato, indeciso, appesantito dal fatto che la teste si esprime in una lingua non sua. Questo particolare, però, la testimone riferisce di ricordarlo bene anche se – come le fa notare l’avvocato Francesco Sabatino – non lo aveva mai fatto mettere a verbale prima.
«Però io me lo ricordo – ribatte la teste – stava seduto vicino al camino era bianco e mi ricordo le mani sopra la testa». Al pm Andrea Mancuso, poco prima, la Pytlarz – ex moglie di Domenico Mancuso, fratello di Luni Scarpuni – aveva riferito la frase che Pantaleone Mancuso proferì in quel giorno: “Mi ha rovinato”.

La triste parabola di Tita

La parabola di Santa Buccafusca, detta Tita, è drammatica. Sposata con uno dei reggenti della potente famiglia di Limbadi, il 14 marzo 2011 si reca nella caserma di Nicotera Marina per parlare con i carabinieri. E’ spaventata per sé e per il proprio figlio per le conseguenze di quello che sta per dire sul clan. Tita parla, fa riempire verbali ma, arrivati a sera, decide di non firmare, vuole tempo per pensare. La moglie di Pantaleone Mancuso, nel frattempo, era stata trasferita da Nicotera al comando Provinciale dei carabinieri di Catanzaro.
Tita Buccafusca non si decide a firmare neanche il giorno dopo, 15 marzo 2011. Lentamente il proposito di collaborare si affievolisce nell’animo tormentato di Tita che decide di non firmare il verbale e quella stessa sera torna a casa, in seno alla famiglia Mancuso.
Un mese dopo, il 16 aprile 2011, Pantaleone Mancuso si presentò alla stazione dei carabinieri di Nicotera per avvertire i militari che sua moglie era finita in ospedale dopo avere ingerito acido muriatico. Santa Buccafusca morirà il 18 aprile 2011.

La mia ex suocera: «Certificati per dimostrare la pazzia di Tita»

Evelina Pytlarz ricorda che saputa la notizia che Tita era andata dai carabinieri, sua suocera aveva voluto essere accompagnata a Nicotera Marina. È qui che trovano Pantaleone Mancuso “bianco e con le mani sopra la testa”. E ribadisce di ricordare quella frase: “Mi ha rovinato”.
Il 6 dicembre 2013 la testimone di giustizia aveva raccontato, davanti agli agenti della Squadra Mobile di Catanzaro, che «io e mia suocera andammo a casa di Pantaleone a Nicotera Marina dove vi trovammo l’avvocato Contestabile, Manuel Callà e le sorelle di Tita. Queste ultime erano annichilite, Pantaleone era bianco come uno straccio e mia suocera urlava dicendo che dovevano subito procurarsi dei certificati medici attestanti la malattia mentale di Titta la quale, se fosse stata creduta, avrebbe portato alla rovina suo figlio Pantaleone».

La fuga di Ewelina

Anche la Pytlarz ha avuto un primo, fallito, tentativo di allontanarsi dalla famiglia Mancuso. Ricorda di essersi recata in caserma con la figlia invece di accompagnarla a scuola. Ricorda che il maresciallo la fece entrare in una stanza e fece chiudere tutte le finestre. In quella occasione intervenne a riportarla a casa Roberto Cuturello che era passato dalla caserma perché aveva l’obbligo di firma. “Voleva entrare dento dove ero io – racconta Pytlarz nel suo italiano claudicante –. Io volevo andare via dalla famiglia Mancuso, poi sono andata via con Cuturello. Roberto si era preso la responsabilità che mi portava a casa sua e io e mia figlia ci siamo rimaste per due giorni”. Cuturello e la famiglia Mancuso si assicurarono che la donna non avesse denunciato nessun fatto. Solo dopo essersi assicurati che la donna non avrebbe denunciato, Ewelina Pytlarz ha potuto lasciare la casa coniugale e andare a vivere e Gioia Tauro.

Le minacce della suocera e la fuga di Ewelina

La testimone di giustizia è stata controesaminata anche dagli avvocati di Luigi Mancuso, Francesco Calabrese e Paride Scinica.
Scinica ha ripreso un argomento che la teste aveva già affrontato nel corso di un interrogatorio: il licenziamento dall’hotel Mediterraneo di Gioia Tauro dove faceva le pulizie. La donna ha raccontato al pm Andrea Mancuso che venne licenziata dal proprietario dell’hotel, Mimmo Borgese, perché questi non voleva avere problem in quanto “conosceva Luigi Mancuso”. Su questo punto Paride Scinica ha chiesto come mai, in sede di interrogatorio, il 7 dicembre 2013, non avesse nominato Luigi Mancuso ma avesse riferito: «Borgese mi convocò e mi disse che non potevo più lavorare da loro perché avevano saputo le mie vicissitudini con la famiglia Mancuso e quindi non volevano problemi».
«Ero impaurita e terrorizzata da queste persone – racconta la teste – e lo sono ancora».
Il difensore chiede perché, poche righe dopo, in quello stesso verbale la Pytlarz non abbia avuto timore di riferire che «mio marito voleva portarsi via Giulia ed io mi opposi fermamente. Cuturello (Antonio, figlio di Roberto, ndr) avvicinò e mi disse che Luigi Mancuso aveva saputo tutto e che mi avrebbe fatto uccidere per quello che avevo fatto. Cominciai così a rivivere nel terrore. Uscivo di casa il meno possibile». La donna insiste nell’affermare di avere sempre paura dei Mancuso e che ha parlato perché si trattava di minacce che riguardavano sua figlia. Le contestazioni del difensore restano a verbale. La donna, però, non smette di raccontare di «avere vissuto nella paura sotto le minacce della suocera». «Ad un certo punto – racconta – sono diventata una schiava». (a.truzzolillo@corrierecal.it)

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