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“Alibante”, il Riesame conferma il “no” al carcere per Motta

L’obbiettivo dell’indagato «era quello di continuare a ingerirsi in maniera occulta nell’amministrazione comunale». Manca il concorso esterno

Pubblicato il: 16/11/2021 – 15:17
“Alibante”, il Riesame conferma il “no” al carcere per Motta

CATANZARO Il Tribunale del Riesame di Catanzaro – Giuseppe De Salvatore presidente, Sara Mazzotta ed Elias Mellace a latere – ha rigettato la richiesta della Dda di Catanzaro di applicare la misura cautelare della custodia in carcere nei confronti di Pasquale Motta, difeso dall’avvocato Enzo Belvedere, accusato di concorso esterno nell’ambito dell’inchiesta “Alibante”. La richiesta era stata in precedenza rigettata anche dal gip. Secondo l’accusa l’errore valutativo ricorrente «è nato dal fatto che non sono stati registrati contatti diretti fra Carmelo Bagalà e Pasquale Motta, tanto che il provvedimento cautelare enfatizza una frase («Pasquale Motta… ecco… io non… non gli parlo da tanti anni», ndr) nella quale il capomafia afferma di non avere contatti con Pasquale Motta da anni. Tale conclusione non tiene però conto del fatto che sono stati censiti altri contatti in forma mediata attraverso intermediari qualificati, quali Luigi Ferlaino, Enzo Pandolfo e Domenico Aragona e che la scelta di Motta di non avere contatti diretti con Bagalà è stata una precisa strategia e una scelta oculata, evidentemente finalizzata a evitare controlli o indagini».

«Non concorso esterno ma volontà di ingerirsi in maniera occulta»

Secondo i giudici del Riesame, che abbracciano le tesi del gip: «Motta è un politico di lungo corso da sempre orbitante intorno al comune di Nocera Terinese, il cui obbiettivo era quello di continuare ad ingerirsi in maniera occulta nell’amministrazione comunale non potendo più candidarsi in prima persona, essendo oramai “bruciato” politicamente. E tale era anche il comune obiettivo di Luigi Ferlaino, suo principale interlocutore, di fatto incandidabile per aver già espletato due mandati da sindaco, ma quantomai interessato a continuare a gestire il Comune come cosa propria. La convergenza di interessi politici tra Motta e Bagalà e la comune volontà di formare una coalizione elettorale in vista delle elezioni del consiglio comunale non sono dati sufficienti a corroborare il dolo del concorrente esterno, essendo necessaria a tal fine una prova più pregnante che attesti la volontà dell’indagato di contribuire con il suo operato alla realizzazione del programma criminoso della consorteria mafiosa». L’assenza di «dati sufficienti» secondi il Riesame appare «incolmabile vista l’assenza di contatti diretti tra l’indagato e Bagalà il quale, per sua stessa ammissione, ha affermato in un’intercettazione di non parlare da anni con Motta. Né il suddetto limite pare superabile sulla base di argomenti di natura prettamente logica ovvero sostenendo collegamenti indiretti e mediati tra il capocosca e l’indagato attraverso altri presunti sodali».

L’intercettazione sul «passaggio ai vertici» secondo il Riesame

C’è un’intercettazione in particolare che il Tribunale del Riesame e la Procura di Catanzaro interpretano in maniera diametralmente opposta: un’intercettazione tra Ferlaino e Motta in cui gli stessi discutevano del progetto di creazione di due liste non belligeranti (idea di cui era stato messo al corrente anche Bagalà).
Ferlano avverte Motta che Domenico Aragona «si era presentato ai “vertici” (“ha fatto un passaggio ai vertici”), i quali gli avevano garantito l’appoggio di Massimo Pandolfo come candidato a sindaco e il suo inserimento nella lista elettorale», riassume il Riesame. Secondo l’accusa i vertici sono gli elementi apicali della consorteria di ‘ndrangheta alla quale appartiene Bagalà. Motta «puntualizzava prudente che (Domenico) “dopo che ha deciso [di candidarsi] ai vertici non ci deve andare più”, rimarcando in questo modo un collegamento fra Domenico Aragona e Bagalà». Diversa la chiave di lettura offerta dalla difesa di Motta: i “vertici” non sono quelli della ‘ndrangheta ma quelli di partito. Secondo il Riesame l’ipotesi della difesa può valere come spiegazione alternativa. Anche in questo caso, secondo i giudici mancano «elementi più specifici in grado di dimostrare la consapevolezza e volontà da parte di Motta di contribuire alla realizzazione di un disegno criminale più esteso». Così come «non vi è prova di un rapporto sinergico a monte tra Bagalà e Motta dal quale astrattamente potevano derivare rischi connessi ad attività investigative tali da giustificare simili accorgimenti». Una serie di “buchi” che, secondo il Riesame, l’accusa non può riempire «sulla base di argomenti di natura prettamente logica». (ale. tru.)

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