REGGIO CALABRIA Sono 36 le misure cautelari eseguite nel segmento dell’inchiesta “Nuova Narcos Europa” coordinato dalla Dda di Reggio Calabria diretta dal procuratore Giovanni Bombardieri. Gli investigatori della Squadra mobile reggina hanno eseguito l’ordinanza emessa dal gip del Tribunale di Reggio Calabria Tommasina Cotroneo: 31 persone sono destinatarie della misura cautelare in carcere, 5 sono finite agli arresti domiciliari; sequestrate due società e quattro terreni, nonché rapporti bancari e finanziari.
L’inchiesta, volta sotto le direttive del procuratore aggiunto Gaetano Paci, è lo sviluppo degli elementi acquisiti nell’indagine “Handover” che, il 20 aprile scorso, aveva portato all’arresto di 53 persone indagate, a vario titolo, per associazione mafiosa, traffico e cessione di sostanze stupefacenti. Nel corso di quella operazione, furono monitorati rapporti sospetti tra presunti affiliati alla cosca Pesce e presunti affiliati alla ‘ndrina Molè, colpita dall’indagine di oggi.
Il clan Molè opererebbe anche attraverso il contributo di 7 soggetti indagati per associazione mafiosa, estorsione, detenzione e porto abusivo di armi, nonché intestazione fittizia di beni. Il pizzo sarebbe stato imposto a commercianti di Gioia Tauro e operatori del settore ittico, costretti a consegnare o acquistare pesce da aziende riconducibili agli indagati, che avrebbero così assunto il controllo del mercato nel territorio della Piana. Su queste basi, il gip ha disposto il sequestro di due società.
L’inchiesta ha permesso di documentare rapporti di collaborazione con soggetti ritenuti appartenenti ad altre cosche di ‘ndrangheta del versante tirrenico. Sono indagati e destinatari di misura in carcere, oltre che presunti affiliati della cosca Pesce, anche un esponente del clan Crea di Rizziconi. E sono state confermate, inoltre le relazioni criminali con organizzazioni ‘ndranghetiste della provincia di Vibo Valentia. Le indagini hanno anche approfondito le condotte di alcuni soggetti domiciliati in Lombardia, nelle province di Como e Varese, oggetto di un’inchiesta parallela della Dda di Milano, che ha emesso un decreto di fermo per oltre 50 persone.
Uno dei core business dell’associazione era, secondo l’accusa, il traffico internazionale di stupefacenti. Su questo fronte, le indagini hanno permesso di individuare l’arrivo di carichi di cocaina sia al porto di Gioia Tauro che al porto di Livorno. Proprio nell’area portuale toscana, tra il 6 e l’8 novembre 2019, sono stati individuati e sequestrati complessivamente 430 panetti di cocaina del peso, ciascuno, di 1.100 grammi circa, nascosti all’interno di una cavità di laminati in legno, spediti dal Brasile.
È a partire da questo sequestro che la Dda di Firenze ha avviato una terza inchiesta, nel cui ambito sono emersi elementi che portano a ritenere che l’organizzazione si sia avvalsa della complicità di alcuni portuali dello scalo livornese, che avrebbero avuto il compito di agevolare il recupero del carico di cocaina. Sul punto, il gip del Tribunale di Firenze, su richiesta della Dda, ha emesso una misura a carico di 14 persone.
Grazie alle intercettazioni, il 25 marzo 2020, in una masseria di Gioia Tauro (anch’essa posta sotto sequestro), sono stati rinvenuti e sequestrati oltre 500 chilogrammi di cocaina, anch’essi suddivisi in panetti di circa un chilo, alcuni dei quali marchiati con il logo “Real Madrid”, giunti nei giorni precedenti al porto di Gioia Tauro, occultati all’interno di un container commerciale. Nell’occasione venne arrestato Rocco Molè, classe ’95, presunto capo, sia della cosca mafiosa che dell’organizzazione di narcotrafficanti.
Il clan avrebbe operato, secondo i magistrati, avvalendosi di una ramificazione internazionale non solo per approvvigionarsi di ingenti quantitativi, ma anche per il successivo recupero in mare dello stupefacente e per la lavorazione dello stesso. Sul punto le indagini hanno fatto emergere, nel 2019, la presenza in Italia di soggetti sudamericani (quattro peruviani e un colombiano), due dei quali assoldati e ospitati a Gioia Tauro con funzione di chimici e tre esperti palombari fatti giungere a Gioia per il recupero della cocaina in alto mare, in modo da ridurre i rischi connessi all’arrivo dei carichi di droga nel porto.
Nel corso delle indagini, gli investigatori ritengono di aver individuato almeno quattro sequestri riconducibili alla filiera che aveva il proprio nodo centrale a Gioia Tauro. Il primo risale al settembre 2019: si tratta dell’arresto nell’area di servizio “Agip Tremestieri” di una persona che trasportava tre panetti di cocaina marchiati con simboli massonici. Stessi simboli sono stati ritrovati su cinque panetti, parte di un altro sequestro avvenuto nei pressi dello svincolo autostradale di Cosenza Nord e in occasione di un altro intervento a Castelfranco Emilia (il 29 settembre 2019): 16 i chilogrammi di cocaina sequestrati in quell’occasione. Infine, l’11 novembre dello stesso anno, a Villa San Giovanni, nei pressi dell’area d’imbarco, un’altra persona è finita in manette: trasportava 4,3 chili di coca e tre dei panetti erano marchiati con il logo “alfa-omega”.
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