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Ex sindaco del Comasco a un “summit” del clan Molè. Il calvario degli imprenditori «sfruttati»

Il procuratore Targetti: «Imprenditori costretti a collaborare coi clan». Un boss intercettato: «Arriviamo a casa come le raccomandate»

Pubblicato il: 16/11/2021 – 12:27
Ex sindaco del Comasco a un “summit” del clan Molè. Il calvario degli imprenditori «sfruttati»

MILANO Nel filone lombardo della maxi inchiesta, coordinata dalle Dda di Milano, Reggio Calabria e Firenze, contro la cosca Molè della ‘ndrangheta risultano
indagati anche l’ex sindaco di Lomazzo, nel Comasco, Marino Carugati e anche un ex assessore della giunta che era guidata dal primo cittadino, entrambi, tra l’altro, già condannati per bancarotta. Lo ha precisato il procuratore aggiunto della Dda milanese Alessandra Dolci nella conferenza stampa in Procura a Milano. Dolci ha messo in luce i “rapporti” tra il clan, attivo in Lombardia soprattutto tra le province di Varese e Como, e “ex pubblici amministratori”, ossia i due indagati.

L’ex sindaco di Lomazzo a un “summit” con gli uomini del clan Molè

Stando a quanto spiegato dagli inquirenti nel corso della conferenza stampa in Procura a Milano, per descrivere i dettagli dell’inchiesta “Cavalli di razza” condotta per il filone lombardo dalla Squadra mobile milanese e dal Nucleo di polizia economico finanziaria della Gdf di Como, l’ex sindaco Carugati e l’ex assessore di Lomazzo Cesare Pravisano, avrebbero preso parte anche ad una “riunione” degli uomini del clan Molè a Gioia Tauro nel 2010. In quella riunione, come chiarito dal pm Pasquale Addesso, si sedettero al tavolo anche alcuni «imprenditori estorti» e accettarono «di fare entrare la ‘ndrangheta a cui interessava investire». Nel 2019 Carugati, 79 anni, e Pravisano, ex funzionario di banca, erano stati arrestati (e poi condannati) in un’inchiesta della Procura di Como su un “sistema di bancarotte” sempre con l’ombra della ‘ndrangheta.

Il pm: «L’assessore di Lomazzo ha legami con il clan»

Dagli atti del filone lombardo della maxi inchiesta contro la ‘ndrangheta emerge anche «l’ipotesi di un possibile legame» tra Nicola Fusaro, attuale assessore al Comune di Lomazzo (Como), e «la malavita organizzata di cui è sembrato avere informazioni di particolare significato». Il dettaglio risulta dal decreto di fermo dei pm milanesi.
I pm nel capitolo del decreto dedicato ai legami tra Fusaro e Cesare Pravisano, ex assessore indagato assieme all’ex sindaco di Lomazzo negli anni ’80 Marino Carugati, riportano anche un’intercettazione nella quale l’assessore dice: «Occhio ad andare a minacciare Pravisano, perché c’è dietro la ‘ndrangheta (…) sono loro i soci».
Pravisano e Carugati, che hanno anche reso dichiarazioni ai pm, avrebbero preso parte, scrivono i pm, agli «accordi conclusi a Gioia di Tauro nell’incontro del 08/09 marzo 2010 che segnano il passaggio dei due imprenditori lombardi, che hanno rivestito anche cariche pubbliche di assessore e sindaco nel Comune di Lomazzo, da vittime della ‘ndrangheta a partecipi dell’associazione attraverso la messa a disposizione dell’associazione mafiosa delle loro imprese e della loro ‘credibilità’ che va a costituire il capitale sociale ed
imprenditoriale che offrono all’associazione mafiosa».

Le intercettazioni: «Arriviamo a casa come le raccomandate»

«Noi siamo come le raccomandate, arriviamo direttamente a casa», così ha detto intercettata una delle persone finite in carcere oggi nel blitz contro la ‘Ndrangheta, coordinato dalla Procura di Milano, Firenze e Reggio Calabria. La frase che mostra “minaccia e autorevolezza” è stata citata durante la conferenza stampa indetta a Milano per spiegare il carattere di «arcaicità e modernità della ‘Ndrangheta», con imprenditori, come ha spiegato il procuratore facente funzioni Riccardo Targetti, costretti a diventare «complici e a fornire loro il know-how» sia con la permanenza degli aspetti della “tradizione” violenta delle cosche.

La riunione a Gioia Tauro per inserirsi sul monopolista che operava per conto di Spumador

L’inchiesta, ha detto Targetti, ha messo in luce anche «un traffico di droga dall’Italia alla Svizzera e di armi dalla Svizzera all’Italia», oltre al quadro di «imprenditori vittime di estorsioni», anche da 300-400mila euro, «e usura», finiti nel «terreno di caccia» della ‘ndrangheta e che «per uscire dalla “macchina infernale” si sono resi complici con il loro contribuito di know how». Un sistema che ha permesso di «mettere in piedi decine di cooperative nei settori delle pulizie, del facchinaggio e del trasporto». E di creare «ricchezze illegali» col meccanismo delle «fatture false, con l’omissione del pagamento delle imposte per milioni e milioni di euro sottratti al Fisco, all’Ue e all’Inps e che
drogano l’economia e si pongono in maniera concorrenziale contro gli imprenditori onesti».
Un’inchiesta che, come precisato dall’aggiunto Dolci, è la «rappresentazione plastica della ‘ndrangheta, misto di arcaicità e modernità, di “mangiate”, doti e cariche, mimetizzazione, propaggini svizzere per l’espansione all’estero e mediazioni mafiose richieste dagli imprenditori». I clan, ha spiegato ancora, «hanno sostituito le mazzette con i proventi dell’evasione fiscale». È in una riunione del 2010 a Gioia Tauro che si decise che andava «creato un sistema di cooperative per lucrare sui servizi di pulizie, facchinaggio e di inserirsi su un monopolista di servizi logistici che operava per conto di una grossa impresa nel settore del beverage», ossia la Spumador.
I dipendenti hanno parlato di «15 anni di soprusi e minacce» dalle cosche, che volevano «indirizzare le commesse di trasporti» delle bevande. E uno di loro ha riferito «di essersi dimesso perché stanco delle continue violenze e minacce».

L’appello del procuratore Targetti: «I clan possono prendere il controllo»

«La criminalità organizzata non è un fenomeno incentrato solo in certe regioni, qua ha più difficoltà a prendere il controllo, anche politico, ma rischia di arrivare a prenderlo, se non si alza la soglia di allerta». È l’appello alla società civile lanciato dal procuratore facente funzione della Procura di Milano Riccardo Targetti nel corso della conferenza stampa per illustrare il maxi blitz contro la ‘ndrangheta che sta “inquinando” il tessuto economico lombardo. Per Targetti «chi si avvicina a questo mondo, per difficoltà o per timore nell’illusione di guadagnare migliori condizioni, deve sapere che sta giocando col fuoco».

Gli imprenditori ridotti sul lastrico e l’evasione fiscale come trait d’union tra cosche e colletti bianchi

Dal filone lombardo della maxi inchiesta emerge anche il profilo di imprenditori lombardi prima «ridotti sul lastrico», attraverso meccanismi di estorsione «a tappeto» e usura, e poi «sfruttati» per le loro competenze e con le loro imprese “divorate” dai clan, un quadro descritto dai pm di Milano Sara Ombra e Pasquale Addesso e dall’aggiunto della Dda Alessandra Dolci.
Ombra ha raccontato anche un particolare di una testimonianza della moglie di un imprenditore («una famiglia sul lastrico, sfrattata»), riportando le parole della donna: «Mio marito era costretto a dormire in macchina». Una “ndrangheta 2.0” che ha «cambiato rotta», stando alla descrizione di Dolci, con gli «imprenditori trasformati da vittime in strumenti di arricchimento e collusi».
Il pm Addesso ha chiarito che ad «unire» alcuni imprenditori lombardi alle cosche della ‘ndrangheta è la «evasione fiscale», perché una volta che gli imprenditori accettano di far entrare la ‘ndrangheta «la massimizzazione dei profitti» viene realizzata attraverso «l’evasione».

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