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I palombari arrivati dal Perù per recuperare la cocaina. “Segregati” a Gioia Tauro al servizio della «Nuova narcos europea»

Gli spostamenti dei tre esperti della Marina militare per evitare i controlli. L’acquisto di canne da pesca per passare inosservati al porto. E la paura degli uomini del clan Molè: «Telecamere dovu…

Pubblicato il: 16/11/2021 – 19:19
di Pablo Petrasso
I palombari arrivati dal Perù per recuperare la cocaina. “Segregati” a Gioia Tauro al servizio della «Nuova narcos europea»

REGGIO CALABRIA «Quello che dobbiamo fare adesso è spegnere i telefoni, dobbiamo buttare tutto: vestiti, scarpe, tutto quello che abbiamo, dobbiamo tenere solo le cose più importanti. Adesso verranno a prenderci e si deve buttare tutto (…) immagino che anche i telefoni, tutto, tutto». Gli “stranieri” si trovano a Gioia Tauro, nascosti in un appartamento: si tratta di un militare della Guardia costiera peruviana e di due appartenenti alla Marina militare dello stesso Paese. I tre, tutti sommozzatori, secondo la Dda di Reggio Calabria «erano stati assoldati dalla cosca Molè per effettuare recuperi in mare di alcuni carichi di sostanza stupefacente fatti affondare, in tutta sicurezza, nelle acque di Gioia Tauro». Muniti di canne da pesca e altro materiale gli accoliti del clan, assieme ai peruviani, sarebbero passati inosservati nell’area portuale e avrebbero raccolto al largo i “frutti” dei loro traffici. Dopo un blitz degli agenti della Mobile di Reggio Calabria, Nilton Cesar Ccaico Tacuri, Angello Gianpierre Delgado Corbetto e Kevin Cesare Valverde Huaranga vengono spostati per evitare che le forze dell’ordine li individuino. I poliziotti, però, ascoltano tutto, monitorano il trasferimento e registrano l’apprensione di chi dovrà ospitare i presunti sommozzatori. «Mi hanno portato gli stranieri dentro casa, se non esco pazzo ora», sbotta Antonio Ficarra, uno degli indagati. La madre tenta di rassicurarlo e lui rincara la dose: «Sono tutti sotto controllo, telecamere dovunque, siamo bruciati ormai». 

«Chimici e palombari lavorano per i narcotrafficanti di Gioia Tauro»

Per gli inquirenti il quadro è chiaro: «La presenza dei palombari e quella dei chimici sono riconducibili all’organizzazione gioiese dei narcotrafficanti facente capo a Rocco Molè e Giuseppe Condello». Secondo il timing ricostruito dall’accusa, due palombari erano a Gioia Tauro dal 10 novembre 2019 e un subacqueo li avrebbe raggiunti il 16 novembre. Un controllo nel primo appartamento in cui i tre sono stati ospitati insospettisce gli uomini della cosca. Il trasferimento a un nuovo indirizzo, però, non fa che confermare, dalla viva voce dei protagonisti, quale sia lo scopo di quella presenza
Il gip analizza gli atti e ricostruisce i movimenti dei presunti membri del clan, sottolineando la simulazione di «un’attività di pesca al porto di Gioia Tauro alla quale, per loro stesso dire, non si erano mai dedicati e per la quale non avevano nessuno specifico interesse». Il clan pensa a vitto e alloggio, i “tecnici” peruviani al recupero della cocaina. Sono costantemente tappati in casa, segregati: aspettano di entrare in azione e, quando escono, vengono scortati. Scoppia il panico quando le forze dell’ordine fanno irruzione nel covo. I tre pianificano l’eliminazione dei telefoni. Ma, mentre le cimici sono in funzione, uno di loro si lascia sfuggire: «Però la cocaina… domani notte». È una frase che, per il gip, spiega la «loro presenza a Gioia Tauro». 

«La cocaina era già nelle acque del porto»

Non ci sono dubbi – riportiamo il ragionamento contenuto nell’ordinanza di custodia cautelare –: «I palombari avrebbero dovuto recuperare – e probabilmente hanno in parte recuperato – nelle acque dell’area portuale della cocaina ivi occultata ed evidentemente già nella disponibilità dei gioiesi». Anche se non ci sono «certezze» riguardo «all’avvenuto recupero della droga in mare», il «meccanismo di uomini e mezzi messo in piedi dai gioiesi» assieme «alla presenza prolungata dei “palombari” stranieri induce a ritenere che certamente la cocaina fossa già in quelle acque e fosse già stata acquisita dal Molè e dal gruppo da lui capeggiato». Doveva «solo essere recuperata da uomini esperti per l’appunto reperiti dai gioiesi ed ospitati a Gioia Tauro per giorni al solo fine di portare a termine la parte finale della intera operazione». 

«Siamo la Nuova Narcos europea»

Peraltro, l’utilizzo dei sommozzatori sarebbe un dato confermato dalle indagini sui tentativi di importazione dal Sud America di cocaina a bordo di container che giungevano nel porto di Livorno. In una di queste circostanze, due operatori portuali «utilizzati dai gioiesi per il recupero dei container illeciti, utilizzando un telefono riservato che era loro stato consegnato per le comunicazioni», avrebbero letto «alcune chat che intercorrevano tra gli stessi gioiesi». Il gruppo Molè, in queste conversazioni, si sarebbe definito «la Nuova Narcos Europea» e avrebbe manifestate, davanti alle difficoltà di esfiltrazione della cocaina dall’area portuale di Livorno, la possibilità che la droga «venisse buttata in mare e poi recuperata con i sommozzatori». (p.petrasso@corrierecal.it)

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