VIBO VALENTIA Le dichiarazioni del collaboratore di giustizia, Arcangelo Furfaro, rilanciate poi dalla stampa, potrebbero aver scatenato la voglia di vendetta di Antonio Campisi, figlio di Domenico, ucciso in un agguato di stampo mafioso a Nicotera il 17 giugno del 2011. Ne sono convinti gli inquirenti che, nell’ambito dell’inchiesta della Dda di Reggio Calabria “Nuova Narcos Europea”, hanno ricostruito il tentato omicidio di Domenic Signoretta, agguato che risale al 19 maggio 2019 a Nao di Ionadi, nel Vibonese. Ricostruzione riportata nell’ordinanza firmata dal gip del Tribunale di Reggio Calabria, Tommasina Cotroneo.
Il pentito, infatti, avrebbe dichiarato che ad uccidere Domenico Campisi sarebbero stati proprio Domenic Signoretta e Giuseppe Mancuso (cl. ’89), figlio di Pantaleone “l’ingegnere”. Secondo Furfaro, infatti, Domenico Campisi «trafficava droga con i Molè, tenendo Pantaleone Mancuso all’oscuro di tutto». Secondo gli inquirenti, dunque, questa scoperta potrebbe aver scatenato sentimenti di odio e di vendetta, fino alla pianificazione dell’agguato mortale (poi fallito) architettato da Antonio Campisi, considerato organico ad una fazione della potente cosca Mancuso di Limbadi, insieme a Rocco Molè – arrestato nel corso del blitz – con il quale effettuerà il sopralluogo prima del tentato omicidio.
Programmazione che inizia, per l’accusa, dal 16 maggio 2019 quando Campisi, in compagnia di Rocco Molè, si trova a bordo di una Fiat Panda mentre si reca a Nao di Ionadi, nel Vibonese. «Devo andare con Totò» spiega lo stesso Molè prima di partire da Gioia Tauro a Simone Ficarra che gli chiede: «…e perché vuole a te?» «Consiglio…» indicando come luogo di incontro « Ti ricordi… quando siamo andati all’epoca in quel bar lì(…)» riferendosi ad un locale sulla SS18 dove poi Molè incontrerà effettivamente Campisi. Il 16 maggio, dunque, così come ricostruito dagli inquirenti, Molè e Campisi raggiungono Nao di Ionadi per effettuare una sorta di sopralluogo prima in prossimità dell’abitazione di Signoretta, poi vicino all’acquedotto dove poi verrà individuata la Fiat Uno incendiata con all’interno le armi impiegate per l’agguato. Durante il sopralluogo – intercettato dagli inquirenti – i due raggiungono l’incrocio con via Maria Pisa, il luogo che stavano cercando. «…qua dentro» «eh, fai che ti fermi qua… aspetta, non girare». I due notano qualcuno che aveva svoltato in una via vicina: «Minchia là si è ficcato, dove c’è jeppone». Molè, su indicazione di Campisi, si addentra in una via «vai di qua, vai di qua» fino a quando, su indicazione ancora di Campisi, trovano l’abitazione che cercavano: «La casa quella è!», proprio in corrispondenza della casa di Signoretta, così come accertato dagli inquirenti.
Dopo il sopralluogo, dunque, il 19 maggio i due passano all’attacco. Già dalle 14 circa – così come ricostruito dagli inquirenti – Rocco Molè parte da casa, raggiunge la fidanzata e poi Simone Ficarra. Alle 14.27 poi riempie il bagagliaio ed esclama: «Ok! Sono carico!». Poco prima delle 15 Rocco Molè raggiungerà la fattoria del nonno in località Sovereto all’interno della quale c’era già Antonio Campisi ad attenderlo. Gli inquirenti poi registrano l’arrivo della Fiat Panda con a bordo Molè alla Decathlon dove gli inquirenti non escludono possa aver acquistato indumenti che potevano servire per portare a termine l’agguato. Poco prima delle 19:45 la microspia registra poi l’arrivo nella fattoria di un’altra auto e un via vai a piedi e poi l’istante in cui Rocco Molè comunica ai presenti che sarebbero partiti in tre «… andiamo uno, due e tre..». Come è noto, Signoretta riuscirà a sfuggire alla pioggia di proiettili – circa una trentina – riparandosi dietro il muretto del cortile dell’abitazione nella quale si trovava, all’epoca dei fatti, ristretto agli arresti domiciliari in seguito a una condanna riportata per detenzione di un ingente quantitativo di armi. (QUI LA NOTIZIA)
Un commando, insomma, composto secondo le risultanze investigative da due autovetture: in una doveva viaggiare Rocco Molè con altri due individui, uno dei quali doveva essere Antonio Campisi; nell’altra, invece, doveva trovarsi il complice che aveva il compito di recuperarli. Tra le persone coinvolte, secondo l’accusa, potrebbe esserci anche Simone Ficarra, in continuo contatto con un altro soggetto, Antonio Galatà. Secondo le indagini, infatti, entrambi i telefonini avrebbero agganciato le celle di Nicotera Marina, tra le 21.49 e le 22.24, la stessa località in cui abita Antonio Campisi. Elementi, però, che secondo l’accusa non consentono di affermare con certezza che entrambi abbiano preso parte effettivamente all’agguato. Intanto sul tentato omicidio di Domenic Signoretta la competenza è della Direzione Distrettuale Antimafia di Catanzaro, con la quale è in corso il collegamento investigativo.
«È brutto qua Totò (…) pure che non ci sei mai, però, prima o poi qualcuno qua ti vede no? Invece a Gioia ci sarebbe una grande, bella, internata, 100 euro al mese, 150 euro al mese (…) ti ricordi dove stava Maria?». È una delle conversazioni captate dagli inquirenti il 13 giugno 2019 a bordo, ancora, della Fiat Panda di Rocco Molè e dalla quale – secondo l’accusa – si capisce il suo impegno nel trovare un’abitazione ad Antonio Campisi. La paura, infatti, erano eventuali ritorsioni e attentati dopo l’agguato – fallito – ai danni di Signoretta. Come dimostrato dagli inquirenti, effettivamente Antonio Campisi troverà alloggio a Gioia Tauro, come dimostrerebbero alcune immagini di videosorveglianza. Segno evidente che Campisi godesse della copertura offerta dai Molè. (redazione@corrierecal.it)
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