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l’inchiesta

Dalla Piana di Gioia Tauro a Zurigo. Le “mangiate” di ‘ndrangheta per riorganizzare il clan

I racconti dei pentiti e le sentenze: «Cene come summit mafiosi». I progetti della cosca di Giffone all’estero: «Avevano creato una ‘ndrina senza valore ufficiale». Gli screzi con il “locale” di Fr…

Pubblicato il: 20/11/2021 – 7:02
di Pablo Petrasso
Dalla Piana di Gioia Tauro a Zurigo. Le “mangiate” di ‘ndrangheta per riorganizzare il clan

REGGIO CALABRIA I magistrati della Dda di Milano utilizzano una sentenza del 1998 e le parole del collaboratore di giustizia Antonino Belnome per raccontare una delle facce della ‘ndrangheta. È quella ancora legata alle tradizioni arcaiche, delle riunioni a tavola in cui si affrontano temi delicati per le associazioni mafiose. Summit davanti a un piatto di carne di capra che i clan calabresi hanno esportato (anche) in Svizzera o, ancora, cene nella Calabria profonda che muovono equilibri nella capitale economica d’Italia. Le “mangiate” e il loro valore di raccordo tra vecchia e nuova ‘ndrangheta accompagnano gli atti dell’inchiesta che ha portato al fermo di 54 persone. Il loro senso spunta dalle motivazioni delle condanne riportate sugli sviluppi dell’operazione “Fiori della Notte di San Vito”, una delle pietre miliari nella storia giudiziaria delle infiltrazioni mafiose in Lombardia. Non vista (o sottovalutata) per anni, la cosca Mazzaferro aveva creato, partendo dalla Locride, un piccolo impero in provincia di Como, per poi allargarsi alle province lombarde. Capace quasi di affrancarsi dalla “casa madre” a Marina di Gioiosa Jonica per fare storia a sé.
La sentenza, scritta più di venti anni fa, racconta una tradizione criminale mai abbandonata dai clan, che si sono aggiornati (in questo senso i magistrati lombardi parlano di ‘ndrangheta 2.0) senza perdere abitudini consolidate: «Gli incontri denominati “mangiate” – scrivono i giudici del processo “I fiori della notte di San Vito” – assumono particolare interesse investigativo, poiché permettono di documentare importanti momenti di crescita dei singoli affiliati (concessioni di doti) piuttosto che ricostruire gli equilibri interni delle strutture indagate». Come in una cerimonia, i convitati mangiano insieme la carne di capra, come «conferma dei valori di solidarietà e amicizia reciproca (…) parte integrante di un momento significativo per la vita dell’organizzazione».
Nuove “carriere” criminali nascono attraverso questi riti di passaggio con precisi codici che Belnome ha raccontato agli inquirenti: «Riunioni, mangiate con “capretto o agnello con tutti gli uomini seduti e tu seduto “capo tavola”: guardavo tutti in faccia e tutti potevano guardare me, si poteva iniziare a mangiare quando io davo l’invito con un “buon appetito”. Nessuno poteva mangiare finché non si diceva la fatidica parola e la potevo dire solo io, era come essere tre metri sopra il cielo (…) Ricordo il giorno in cui fu celebrato il rituale della mia “affiliazione alla ‘ndrangheta”, eravamo in un terreno con una baracca e per l’occasione era stata organizzata una mangiata con carne arrostita…».

Il summit a Zurigo per la cosca La Rosa

A Zurigo si svolge uno dei summit documentati nell’inchiesta lombarda. Pasquale e Michelangelo (detto “Bocconcino”) La Rosa sono accusati appartenere al “locale” di Fino Mornasco. Sono entrambi calabresi (originari della Piana di Gioia Tauro) trapiantati al Nord ma mantengono forti rapporti con il paese di origine, Giffone. Pasquale è «figlio del “mammasantissima” Giuseppe La Rosa (alias “Peppe la Mucca”)» e avrebbe un ruolo preminente nell’articolazione svizzera del “locale” lombardo. Michelangelo, già condannato dal gup come membro del clan, sarebbe in possesso «della dote superiore al “vangelista”», è cognato del “mammasantissima” Peppe e, dopo l’arresto di Pasquale La Rosa, prende il suo posto per guidare gli affari in terra elvetica.
I due La Rosa il 26 maggio si trovano a bordo di una Fiat Stilo diretta a Zurigo. È lì che, nell’orto di un loro parente, si svolge una «”mangiata” a base di capra tenutasi il 30 maggio 2020, a cui sicuramente deve essere attribuita la natura di riunione mafiosa». Il filmato girato dal telefono di Michelangelo La Rosa permetterà agli investigatori di documentare la «presenza al convivio mafioso» di otto persone identificate e di altre rimaste allo stato “anonime”. Il padrone di casa – sottolineano i pm nel decreto di fermo – è imparentato con Michelangelo Panuccio, condannato per associazione mafiosa come membro del “locale” di Calolziocorte, legata al clan di Giffone.
Durante la cena, le cimici captano dialoghi che ne avrebbero «confermato la natura di riunione mafiosa di quel convivio essendosi parlato praticamente sempre di vicende di ‘ndrangheta, spesso rievocando eventi passati e soggetti calabresi dimoranti in Svizzera e Germania, ma anche facendo riferimenti agli attuali assetti criminali». Lo stesso padrone di casa, non indagato in questa inchiesta, avrebbe affermato «di essere organico alle famiglie mafiose del mandamento della Jonica: “Però – è la frase riportata agli atti – il nostro locale, Bova Marina, Brancaleone“».

«Non andavamo d’accordo con il locale di Frauenfeld»

È sempre lui, nel corso della “mangiata” a offrire spunti sui rapporti tra propaggini ‘ndranghetiste in Svizzera: «Andavamo là, andavamo, mangiavamo capra, per dirti la verità non è… inc.. con tutto che negli anni, negli anni, non andavamo tanto d’accordo con il locale di Frauenfeld…Achille era in Germania, al “locale” c’erano tutti questi, tutti “fabricioti” (ndr, provenienti da Fabrizia, comune calabrese in provincia di Vibo Valentia), invece al “locale” dove eravamo noi, eravamo tutti della zona di Reggio (ndr Reggio Calabria), però eravamo tutti, la maggior parte “da chiana” (ndr Piana di Gioia Tauro) eravamo io, mio cugino, noi tutti di Palizzi fino a Brancaleone, fino a…tutti di là eravamo, eravamo 70 noi, una cosa impressionante, che poi, chi se n’è andato, chi è stato arrestato per il bel lavoro (forse l’operazione “Bellu lavuru”, nda)… inc… se ne sono andati tutti e siamo rimasti in pochi, che siamo pochi qua, non è che siamo rimasti una… neanche due manate, siamo in tutto qua ormai!.. e ci sono quelli di Cassari (Vibo Valentia) là, quelli della Germania, adesso con questo coronavirus era… ci riuniamo a livello di mangiare… qualche volta, guardati, mangiamo e beviamo, però non vogliamo, qualcuno vuole qualche copiata…per adesso, in questo momento qua…».
L’Achille a cui si fa riferimento sarebbe Primerano, destinatario di un’ordinanza di custodia cautelare in carcere per il reato di associazione mafiosa: apparterrebbe al locale di Rielasingen. Sono, per i pubblici ministeri antimafia, dialoghi di ‘ndrangheta.

«Peppe La Rosa aveva creato una ‘ndrina senza valore ufficiale»

E sono riconducibili al modus operandi della ‘ndrangheta anche le attività addebitate al “locale” che farebbe riferimento a Giffone: un «vasto traffico» di stupefacenti che sarebbe provato nella circostanza dell’arresto di Pasquale La Rosa, trovato in possesso di quasi 1,2 chili di cocaina e poi condannato – con sentenza del Tribunale di Como – a 4 anni e 9 mesi di reclusione. Di quei traffici ha riferito anche il pentito Luciano Nocera: «Mi dissero che “Peppe la Mucca aveva aperto un locale di ‘ndrangheta in Svizzera con altri nostri compaesani. Non so precisare il luogo esatto, ma ritengo che esso si identifichi con il posto in cui Peppe La Mucca lavorava…». Questo sodalizio, per gli inquirenti, «sarebbe stato composto per lo più da affiliati originari di Giffone» ma si sarebbe posto in una posizione esterna rispetto all’ordinamento mafioso. Ancora Nocera: «Posso dire che era analogo a quello di Fino Mornasco. Sostanzialmente “Peppe la Mucca” aveva fatto quello che aveva fatto Mazzaferro, che aveva creato delle ‘ndrine che però non avevano un valore ufficiale nella ‘ndrangheta». Il cerchio si chiude: più di 20 anni dopo lo schema è simile a quello messo in piedi dal clan di Marina di Gioiosa Jonica. “I fiori della Notte di San Vito” sono storia giudiziaria. La ‘ndrangheta segue ancora i propri consolidati schemi arcaici. Ma non è soltanto “mangiate”. In quegli appuntamenti, davanti alla carne di capra si decidono strategie e si spostano equilibri economici. Lo sanno bene i magistrati di Milano che, lungo il percorso delle loro inchieste, hanno individuato gli schemi della ‘ndrangheta 2.0 e i suoi legami con i colletti bianchi nell’area grigia dei reati finanziari.

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