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Dal golpe Borghese alla nascita della Seconda Repubblica. La storia d’Italia (ri)scritta dagli invisibili della ‘ndrangheta

L’inchiesta di Report spazia tra politica, logge segrete e incroci pericolosi tra i clan e Fininvest. Il summit di Montalto del 1969, il sistema Ugolini e i riferimenti a Gianni Letta (che nega tut…

Pubblicato il: 22/11/2021 – 23:40
di Pablo Petrasso
Dal golpe Borghese alla nascita della Seconda Repubblica. La storia d’Italia (ri)scritta dagli invisibili della ‘ndrangheta

REGGIO CALABRIA È un filo rosso che si srotola da Licio Gelli, al centro di tutte le trame oscure del Paese, alla latitanza dorata di Amedeo Matacena a Dubai. Dal golpe Borghese alla nascita della Seconda Repubblica. Dalle soffiate al boss di San Luca di un anonimo commercialista legato ai servizi segreti fino ai rapporti con la massoneria deviata capace di muovere capitali e spostare sentenze in cambio di voti. Dentro ci sono cinquant’anni di evoluzione della ‘ndrangheta, trascorsi in parte nell’indifferenza delle istituzioni. Che adesso si trovano a fronteggiare quella che Report chiama la “Cosa Nuova”, espressione coniata nelle stanze della Dda di Reggio Calabria dal procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo che inquieta perché declina una mafia globale e trasversale, capace – è l’ipotesi – di utilizzare interi pezzi delle istituzioni per i propri scopi. Bisogna tornare molto indietro per iniziare a raccontare questa storia. Che inizia con un summit diventato pietra miliare nel racconto di cosa sia diventata la malavita organizzata calabrese.

All’origine della “Cosa Nuova”: il summit del 1969 in Aspromonte

In Aspromonte, sulla cima di Montalto, all’ombra del Cristo redentore, in una masseria nascosta tra gli alberi, il 26 ottobre 1969 si è tenuta una riunione che ha cambiato la storia della ‘ndrangheta. Al summit si fronteggiano la vecchia mafia rurale guidata dai capi storici e la nuova generazione con alla testa Paolo De Stefano, che intende dare una svolta all’organizzazione.Questo incontro lo ricorda bene il collaboratore di giustizia Carmelo Serpa che ai microfono della trasmissione “Report” racconta: «Paolo De Stefano disse a tutti quanti “guardate che verranno accompagnate qui delle persone che non appartengono a noi. Sono personaggi politici. Questi ci possono portare soldi, ci possono portare armi. Ci possono portare “pratica”, o comunque insegnamenti per fare le cose in modo migliore di come le abbiamo fatte fino ad oggi». Serpa racconta che poco dopo dalla boscaglia apparvero Stefano Delle Chiaie (fondatore del movimento neofascista Avanguardia nazionale), Pierluigi Concutelli (tra i capi di Ordine nuovo, condannato all’ergastolo per l’omicidio del giudice Occorsio), e Junio Valerio Borghese (ex gerarca fascista, fondatore del Fronte nazionale). Sono i principali esponenti, in sintesi, dell’estrema destra italiana. «C’è stato qualcuno che ha contestato – dice Serpa. Paolo però li ha fermati». Poco dopo il summit scattano i moti di Reggio Calabria.«Nei moti di Reggio Calabria il ruolo della ‘ndrangheta è stato determinante perché era la ‘ndrangheta a mobilitare le piazze, non Avanguardia nazionale». Parole di Vincenzo Vinciguerra, ex dirigente di Avanguardia nazionale – associazione neofascista e golpista di Stefano Delle Chiaie – il quale asserisce che «c’era un accordo operativo tra Avanguardia nazionale e ‘ndrangheta che risale all’autunno del 1969, quindi ancora prima della strage di piazza Fontana. Vinciguerra (che sconta in carcere l’ergastolo per la strage di Peteano) afferma, come Serpa, che ci furono riunioni in Aspromonte alle quali partecipò Stefano Delle Chiaie.

«Un iscritto per ogni cosca, così Gelli ha “rifondato” la ‘ndrangheta»

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LOGGIA P2 | Licio Gelli

Il golpe Borghese del 1970 è una delle pagine più buie della storia italiana. L’ex gerarca fascista Junio Valerio Borghese si mette alla testa di un colpo di Stato al quale, all’inizio aderiscono pezzi delle istituzioni. Vinciguerra non ha dubbi: «Era previsto l’intervento della ‘ndrangheta. Era stato stabilito; i moti di Reggio Calabria precedevano la data effettiva del golpe Borghese». Il collaboratore di giustizia Carmelo Serpa conferma: «Hanno avuto un ruolo sia i calabresi che i siciliani. La ‘ndrangheta ha dato disponibilità per tutto ciò che sarebbe passato da Reggio Calabria verso la Sicilia». Il summit di Montalto del ’69 segna l’ingresso della ‘ndrangheta in un disegno eversivo che avrebbe dovuto ribaltare la democrazia in Italia. L’accordo, però, non viene stretto soltanto tra i clan e l’estrema destra. C’è un terzo alleato criminale che è il regista dell’intera operazione: la loggia P2 di Licio Gelli. L’altro pentito Pasquale Nucera: «Per avere il controllo delle logge, del territorio e delle votazionie, Gelli – essendo le ‘ndranghete calabresi divise in famiglie – inseriva uno di ogni clan dentro alla P2, uno per ogni locale. Gelli ha rifondato il potere che ancora dura».
Nello stesso anno in cui viene istituita la loggia di Licio Gelli, la ‘ndrangheta si dota di una nuova struttura interna, la Santa, che consente agli uomini delle cosche di avere rapporti diretti con la massoneria deviata. Attraverso la Santa la mafia calabrese fa un salto di qualità che l’ha portata a diventare oggi l’organizzazione criminale più potente d’Italia e d’Europa.
Spiega il procuratore di Catanzaro Nicola Gratteri: «Con la Santa si è data la possibilità, in origine solo a 33 ‘ndranghetisti di avere la doppia affiliazione, cioè entrare in una loggia massonica deviata per interagire con pezzi di classe dirigente». Nasce un nuovo sistema criminale, i clan compiono un passaggio di stato e rompono i vincoli delle vecchie regole e diventa invisibile, capace di permeare ogni ambito dell’economia e della politica. Nucera afferma di essere stato santista e conferma che «la Santa è un grado superiore della ‘ndrangheta: decide, praticamente è il cervello. E può fare tutto: un santista può dire alla polizia che lei è stato quello che ha sparato senza portare peso».

Romeo al vertice della cupola degli “invisibili”

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Paolo Romeo

La ‘ndrangheta si è poi dotata di una nuova struttura, gli invisibili. E ai suoi vertici ci sarebbe Paolo Romeo, già punto di riferimento del Msi a Reggio Calabria e parlamentare socialdemocratico, nonché condannato per concorso esterno in associazione mafiosa. Per il pentito Serpa «Romeo era un unicum con la cosca De Stefano, curava i rapporti con politici ed esponenti dei servizi segreti». L’ex politico, nuovamente condannato l’estate scorso, nega tutto con un ragionamento raffinato: «Dialogo con tutta la politica, e con ciascuno mi relaziono in maniera diversa. Ho sofferto processi di evoluzione avendo la consapevolezza che la realtà è complessa, ma il mio è un adattamento da leader; ho navigato, governato gli eventi, mentre la mia posizione viene raccontata come se fosse derivata da poteri occulti. Il dramma della mia vita sta in questo».

La piramide della Cosa Nuova

Il racconto di cosa sia diventata la ‘ndrangheta passa anche per alcune efficacissime metafore, come quella usata dal pentito calabrese Nino Fiume a processo per descrivere la “Cosa Nuova”: la cupola segreta degli Invisibili viaggia su un aereo. Membri riservati della ‘ndrangheta che operano a cavallo tra il mondo delle cosche, la politica, i servizi segreti e la massoneria deviata. «C’è, insomma, una ‘ndrangheta che può essere paragonata a un treno con tanti vagoni, e ogni vagone ha il suo capo locale. Diciamo un treno locale, poi c’è un treno ad alta velocità, dove non possono salire tutti, ci vanno solo i capi, e che al disopra di questo treno c’è gente che viaggia in aereo, e non si fa vedere. All’insaputa anche dei passeggeri che stanno sul treno dirige gli scambi di rotta per quello che deve fare, quelli sono i riservatissimi, se vogliamo chiamarli così».

Il sistema Ugolini, Virgilio e l’incontro con Gianni Letta. Che risponde: «Non so chi siano»

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Il conduttore di Report Sigfrido Ranucci. Sullo sfondo, un’immagine del conte Giacomo Maria Ugolini

E una parte del fil rouge che lega ‘ndrangheta e massoneria trova il proprio canale di trasmissione nella figura di Giacomo Maria Ugolini, misterioso personaggio che all’inizio degli anni 90 viene nominato ambasciatore in Egitto e Giordania della Repubblica di San Marino. Per la politica sanmarinese, Ugolini a quei tempi non esisteva. Ma in poche settimane riuscì a guadagnarsi il credito di tutti grazie ai suoi rapporti con le istituzioni italiane. «Anche grazie ai rapporti con Niccolò Pollari», dice Alvaro Selva, ex ministro dell’Interno di di San Marino. Per il pentito Cosimo Virgilio, «Ugolini ha in mano il vecchio sistema dell’intelligence». Anche Angelo Boccardelli, storico segretario di Ugolini, conferma la conoscenza con l’ex numero uno del Sismi. Di quella loggia sanmarinese avrebbero fatto parte anche cardinali, banchieri, forze dell’ordine e industriali. Un sistema che, per Virgiglio, quel sistema sarebbe nato dalle ceneri della P2, per proseguire l’esperienza di Gelli.

Gianni Letta

«Di quel modello – spiega a processo il collaboratore di giustizia – a Ugolini passa il potere, ma non ci interessa solo la politica. In mano dovevamo avere il potere economico-finanziario e i porti». Sempre in aula, Virgiglio tira fuori un nome altisonante: «Un referente importante per la Calabria era Gianni Letta, era l’espressione di questo sistema Ugolini sulla Calabria». L’ex sottosegretario alla presidenza del Consiglio, raggiunto dall’inviato di Report risponde senza tentennare: «Non so nemmeno chi sia». Virgiglio ha parlato di un incontro con Gianni Letta in un ristorante di Catanzaro per discutere di un investimento dei Lloyd’s di Londra, che volevano investire 100 milioni in Calabria.

«La Seconda Repubblica è “nata” al Santuario di Polsi»

In quella che è una sorta di riscrittura della storia della ‘ndrangheta e, in parte, della storia d’Italia compare anche la nascita della Seconda Repubblica, i cui equilibri iniziali sarebbero passati anche attraverso una riunione tenuta tra il settembre e l’ottobre del 1991 al Santuario della Madonna di Polsi. Vi avrebbero partecipato boss di ‘ndrangheta provenienti da tutto il mondo ed esponenti di Cosa Nostra per discutere cosa fare dopo la caduta del Muro di Berlino e il venir meno dei riferimenti politici storici. Si tratta di un «rinnovamento», secondo Pasquale Nucera: «In effetti, subito dopo la riunione di Polsi sono iniziati gli attentati». Lì sarebbe stato pianificato l’inizio della strategia stragista che pochi mesi dopo avrebbe portato agli attentati di Capaci e via D’Amelio. Secondo Nucera a quella riunione avrebbe preso parte anche un politico, Amedeo Matacena («il pelato»). In quella riunione «si parla – continua Nucera – che bisogna rinnovare, votare, dare appoggio al partito degli uomini, quelli che facevano parte della ‘ndrangheta. Si decide di fondare un partito politico». Matacena, raggiunto a Dubai da Report, nega: «Non sono mai stato a Polsi». La sua prima proposta alla Camera, ricorda Report, «nel 1995 è stata l’abolizione del 41 bis, il carcere duro, proprio come chiedeva Cosa Nostra nel famoso papello della trattativa Stato-Mafia».

La latitanza dorata di Matacena

E mandiamo avanti il nastro di qualche anno. Fino a oggi: Amedeo Matacena, ex parlamentare di Forza Italia, rampollo della famiglia proprietaria della Caronte Tourist, linea di traghetti che fa la spola tra la Calabria e la Sicilia, vive a Dubai ed è sfuggito, grazie al suo trasferimento, a un mandato di arresto. Secondo il collaboratore Carmelo Serpa i Matacena «non sono mai stati proprietari di niente» ma sono stati scelti dalle cosche De Stefano, i Piromalli, gli Alvaro, i Serraino perché sapevano fare il loro mestiere ossia «fare camminare le navi». Ma l’impero dei trasporti «non era dei Matacena era della ‘ndrangheta».Dal Canto suo Matacena – che la Procura di Reggio Calabria considera uno dei più grandi componenti riservati della ‘ndrangheta – nonostante una condanna definitiva non è stato estradato in Italia. «Se lo stato italiano non riesce a farmi espletare la pena entro giugno 2022, decade la pena – dice soddisfatto ai microfoni di Report –. Ma non tornerò a vivere in Italia, non vi preoccupate, non è mio interesse».

I soldi della ‘ndrangheta nel progetto di “Milano 2”

Matacena non è l’unico passaggio in cui la storia della ‘ndrangheta incontra Forza Italia. In particolare, il rapporto di Silvio Berlusconi con la Calabria risalirebbe agli anni 80.
Secondo il pentito calabrese, Nino Fiume, anche i clan calabresi avrebbero contribuito a finanziare il progetto “Milano 2” di Silvio Berlusconi. Nello stesso processo in cui Giuseppe Graviano conferma gli investimenti nelle attività di Berlusconi, Fiume racconta dei soldi investiti dal boss Paolo De Stefano, uno dei più importanti capi della storia della ‘ndrangheta: «Sua moglie aveva la contabilità, e doveva avere soldi da “Milano 2”, che li aveva investiti ai tempi di Bontate, e questi palermitani non gli restituivano mai i soldi». De Stefano, all’epoca, era introdotto nella “Milano bene”, dove – spiega ancora Fiume – «si faceva chiamare con un altro nome, “il Conte”, non mi ricordo come… Ci aveva l’autista con la Jaguar, il sarto personale a Milano in via Montenapoleone. E in questo circuito sua moglie diceva sempre: “Era meglio che si metteva in società con Berlusconi che sta investendo nelle costruzioni. L’hai visto? Berlusconi si è fatto i soldi, e vive”. E invece lui aveva investito soldi e non erano nemmeno tornati indietro». Dichiarazioni che Niccolò Ghedini, avvocato di Berlusconi, respinge in toto.

Fininvest, la tv locale in Calabria e gli incroci con il clan Piromalli

Il gruppo Fininvest – secondo quanto riporta un’informativa confluita nel processo ‘Ndrangheta stragista – avrebbe sfiorato i clan calabresi anche in un’altra occasione. Negli anni 80, il gruppo di Silvio Berlusconi si era appoggiato a TeleCalabria Uno per trasmettere, poi Fininvest la acquista e la affida a un antennista, al quale Galliani dà in mano le chiavi dell’azienda. Sono anni caldissimi. I proprietari della tv locale vengono uccisi a Gioia Tauro: prima Francesco Priolo, poi il figlio Pino. A loro succede Angelo Sorrenti, fino ad allora un normale tecnico. È lui stesso a raccontare all’inviato di Report di essere andato dal boss Piromalli. «Che mi disse – spiega – “tu puoi restare”. Mi diede la garanzia che non ammazzava nessuno dopo aver ucciso la famiglia Priolo». Sorrenti cresima un nipote del capoclan. E sono i clan della Piana a chiedergli di entrare in società appena usciti di galera. «Nino il Catanese mi disse: sono arrivati amici da Catania per fare un’azienda metalmeccanica e abbiamo pensato a te». Sorrenti diventa «socio» assieme ai «rappresentanti delle famiglie Molè e Piromalli», quando era già rappresentante di Fininvest. «Gli facevo i regalini, gli ho regalato la macchina», dice. Poi ammette: «Ero un cuscinetto tra loro e gli altri», cioè tra Fininvest e le cosche. Anche riguardo a questo passaggio, i legali di Fininvest spiegano che il gruppo lombardo non poteva conoscere i rapporti con i clan e comunque gli acquisti non venivano certo decisi da Berlusconi.

Servizi e ‘ndrangheta, storia di un (presunto) accordo negli anni 2000

Fin qui la massoneria e la politica, con un pezzo di imprenditoria. Ma è (anche) il rapporto tra servizi segreti e ‘ndrangheta, ad aver messo in contatto, grazie a figure cerniera, il “mondo di sotto” delle cosche e il “mondo di sopra” delle istituzioni. L’inchiesta di Report affronta un altro degli angoli oscuri nella storia dell’evoluzione dei clan calabresi. Uno dei soggetti principali di raccordo è il commercialista di Reggio Calabria Giovanni Zumbo, «semplicissimo commercialista», condannato a 11 anni di carcere per concorso esterno in associazione mafiosa. Grazie ai suoi rapporti con i livelli più alti dei servizi segreti italiani, sarebbe riuscito a pilotare gli arresti dei capicosca avversari e a passare soffiate sulle indagini in corso a capimafia del calibro di Giuseppe Pelle, ai vertici della ‘ndrangheta di San Luca. «Una settimana prima (del blitz “Crimine-Infinito”, ndr) vi dico tutto», dice il commercialista al boss in una vecchia intercettazione. Oggi non ha nessuna intenzione di dire perché: « «E che ti posso fare? Sono pure mago. Per la mia dignità non spiego nulla. Ho fatto un errore, lo accetto. Se faccio una cosa e poi lo racconto sono un pezzo di merda». Alla moglie, in carcere, però, Zumbo aveva detto qualcosa: «Mi hanno fregato, me lo ha chiesto lui di andare io gli avevo detto che non era il caso. Certe cose non si devono dire, non per il bene mio, per il bene tuo». Qualcuno, da Roma, avrebbe chiesto al commercialista di contattare e dare garanzie al boss Pelle. Nelle captazioni fa riferimento a un certo «Mancini», ma nega che si tratti Marco, ex numero due del Sismi che appare spesso nelle storie di Reggio Calabria. Come nel caso del tritolo trovato in Comune negli anni della giunta Scopelliti e descritto da un pentito ed ex politico di centrodestra, Sebastiano Romeo, come «una bufala». Mancini non risponde alle domande. Report ricorda una deposizione dell’ex pm della Direzione distrettuale antimafia Alberto Cisterna, che parla di un’attività investigativa intensa del Sismi nell’operazione “Bumma”, al punto che gli 007 avrebbero lavorato «accanto alla Dda di Reggio Calabria». Anche all’epoca della bomba a Palazzo San Giorgio vi sarebbe stata una «presenza in campo di Mancini e uomini di punta della sua divisione». E l’ipotesi che l’inviato Giorgio Mottola porge a Zumbo è suggestiva. Riporta direttamente alle indagini sulla strage di Duisburg. Possibile che apparati dei servizi segreti avessero ricevuto un aiuto dai clan per “risolvere” quel caso e riabilitare in qualche modo l’immagine del Paese e poi si siano “sdebitati” con l’informazione offerta a Pelle attraverso Zumbo? Ovviamente la domanda resta senza risposta.

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