COSENZA I collaboratori di giustizia Giuseppe Zaffonte e Anna Palmieri si sono sottoposti all’esame del Pm e del collegio difensivo nell’ambito del processo che si sta celebrando con il rito ordinario al Tribunale di Cosenza e scaturito dall’inchiesta “Testa di Serpente”. Il collegio giudicante, presieduto dal presidente Carmen Ciarcia, ha ascoltato le dichiarazioni dei pentiti in merito ai business illeciti della famiglia Abbruzzese, meglio conosciuta come “Banana”. A finire sotto inchiesta le consorterie criminali che l’antimafia di Catanzaro ritiene abbiano il controllo dell’area di Cosenza. Nello specifico nelle maglie di Polizia, Guardia di Finanza e Carabinieri, sono finiti il gruppo degli “Zingari” retto proprio dalla famiglia Abbruzzese e gli “Italiani” il cui elemento di spicco è ritenuto Roberto Porcaro, subentrato a Francesco Patitucci. I due gruppi, secondo l’accusa, si ritiene abbiano fatto un patto per spartirsi gli interessi economici presenti nella città attraverso la cessione di sostanze stupefacenti e l’attività delle estorsioni.
Giuseppe Zaffonte da due anni collabora con la giustizia. Legato al clan Lanzino-Di Puppo, si è sempre occupato di droga e di qualche estorsione. Sollecitato dalle domande del Pm, il collaboratore di giustizia ha raccontato quanto di sua conoscenza in merito alle dinamiche interne alla famiglia Abbruzzese «che aveva il monopolio dello spaccio dell’eroina a Cosenza», meglio conosciuta come “Banana”. «Ho avuto rapporti con Luigi Abbruzzese, mi aveva mandato a chiamare per dargli una mano a spacciare cocaina. L’ho presa da lui per venderla», sostiene Zaffonte. «Con Marco Abbruzzese ci siamo conosciuti in carcere durante la detenzione a cavallo tra il 2012 e il 2014, prima non ci siamo mai frequentati ma abbiamo avuto una discussione dieci anni fa». Su quest’ultimo però, Zaffonte, apprende in carcere dal suo compagno di cella, Antonio Marotta detto “Capiceddra”, della responsabilità nel ferimento di Rocco Abbruzzese detto “Pancione” al termine di una riunione tra gli “Italiani” e gli “Zingari”.
Il pentito poi riferisce del deposito delle armi nel palazzo dei “Banana” all’ultimo lotto di via Popilia». «Ho saputo da Marco Abbruzzese e M.D.A. (affiliato al clan Lanzino-Di Puppo) che la polizia ha trovato armi, droga, giubbotti antiproiettile. Queste cose me le ha dette Marotta». L’esame di Zaffonte procede con la parola che passa ai legali del collegio difensivo. L’avvocato Paolo Pisani sottolinea l’assenza di qualsivoglia dichiarazione del pentito nei verbali resi al momento della scelta di collaborare con la giustizia in merito agli affari di droga di droga con Luigi Abbruzzese. Zaffonte risponde di essere sicuro di aver dichiarato quanto sostenuto nell’odierna udienza. L’avvocato Pisani chiede dunque l’acquisizione dei verbali nei quali avrebbe reso tali dichiarazioni. Al termine dell’udienza sarà lo stesso Luigi Abbruzzese a rendere dichiarazioni spontanee sui fatti citati da Zaffonte: «Dice solo bugie, mai chiesta droga, non avevamo rapporti».
L’avvocato Quintieri, invece, si sofferma suoi rapporti intercorsi tra Zaffonte e Andrea Rudisi. «Siamo stati nella stessa cella per due o tre mesi»: anche in questo caso, il pentito cita un soggetto che fino ad oggi non era mai stato nominato nel corso dei precedenti interrogatori. Motivo per il quale l’avvocato Quintieri avanza richiesta di poter effettuare l’escussione di Rudisi a cui si aggiunge la richiesta dell’avvocato Cesare Badolato di sentire anche M.D.A.
Anna Palmieri collabora con la giustizia dal 2018. Moglie di Celestino Abbruzzese detto “Micetto”, gestiva (prima dell’arresto) lo spaccio di cocaina ed eroina nel centro storico di Cosenza. «Lo smercio avveniva all’ultimo lotto a Via Popilia, la droga veniva divisa e consegnata ai pusher per la vendita. La restante parte veniva nascosta in un luogo sotterraneo dove furono trovate anche armi», confessa la collaboratrice. Il riferimento è al nascondiglio dei “Banana”, scoperto nel febbraio del 2018 dagli uomini della Questura di Cosenza nel corso di una perquisizione. «Si trattava di una incavatura, un buco nascosto da un camion parcheggiato davanti l’ingresso. Era accessibile a tutti, ma nessuno si azzardava ad andarci perché era sempre sorvegliato da qualcuno dei “Banana”. Il Pm chiede poi ad Anna Palmieri se conosce Antonio Marotta, Andrea Greco e Francesco Casella. Quest’ultimo «lo conosco per motivi di lavoro. La mia famiglia ha un’attività di autodemolizione e lui veniva lì». Greco invece «era amico di mio marito, prendevamo la cocaina da lui». Infine, Marotta «è stato due volte a casa mia nel 2018».
Il pubblico ministero poi incalza la collaboratrice di giustizia sul ferimento di Rocco Abbruzzese detto “Pancoione” «ferito ad una gamba da Marco Abbruzzese». La notizia finisce sui giornali, ma con una inesattezza. Il nome della persona ferita riportato dalla carta stampata è quello di Marco Abbruzzese, solo dopo si scoprirà che a rimanere vittima dell’agguato fu Rocco Abbruzzese. L’errore non è direttamente riconducibile ad una errata informazione assunta dai giornalisti, ma dalla presunta “bugia” raccontata da Rocco Abbruzzese che in ospedale confessò ai medici di chiamarsi Marco. La Palmieri racconta di due riunioni precedenti all’agguato e decisive non solo per il ferimento del “Pancione” ma anche per le sorti della famiglia dei “Banana” in merito al controllo delle piazze di spaccio di eroina. «Ci fu una prima riunione (in casa di Nino Abbruzzese) alla quale parteciparono tutti i fratelli Abbruzzese, compreso mio marito Celestino e c’era anche Patitucci. Si parlò dell’affidamento del monopolio dello spaccio di eroina», confessa la collaboratrice che aggiunge: «Ci fu una seconda riunione, ma questa volta Celestino non partecipò perché volevano estrometterlo». Al termine del summit si decise di consegnare il controllo dello spaccio di eroina in mano ai “Banana”. La cosa diede parecchio fastidio a Rocco Abbruzzese che – terminato l’incontro – «avrebbe fatto parole sul marciapiede con Antonio Abbruzzese detto lo “Strusciatappine». Del colloquio si accorsero Luigi e Nicola Abbruzzese che riferirono tutto a Marco (andato via dopo la fine del summit). Quest’ultimo, infastidito, avrebbe preso la pistola, raggiunto il “Pancione” e sparato ad una gamba.
Come anticipato, la seconda e decisiva riunione per affidare la gestione del traffico di droga ha provocato una lacerazione poi diventata insanabile nella famiglia Abbruzzese. La conferma arriva per ammissione della stessa Anna Palmieri. «Con la famiglia avevamo rapporti normali, prima della collaborazione. Con la sorella di Celestino, mia cognata Rosaria, abbiamo fatto pace al compleanno di “Micetto”. Ma non siamo mai state in guerra». Con Luigi Abbruzzese, invece, «c’erano rapporti di lavoro – chiamiamoli così – poi ci vedevamo alle feste. Dopo la scarcerazione di Celestino non si è mai presentato a casa mia». Dei rapporti tra i fratelli con particolare attenzione rivolta al business illecito della droga, chiede conto alla collaboratrice il presidente del Collegio giudicante, Carmen Ciarcia. «Luigi, Nicola e Marco ci vendevano la droga – sostiene Palmieri – ci trattavano come normali clienti, nessuno sconto e in più dovevamo vendere al prezzo stabilito da loro». «Io e mio marito gestivamo lo spaccio a Cosenza vecchia. Loro tre erano uniti e Luigi e Antonio erano al vertice. Nicola invece era un sottoposto». Su Luigi Abbruzzese, la Palmieri riferisce di un episodio relativo al periodo in cui Celestino Abbruzzese decise di collaborare con la giustizia. Secondo quanto raccontato dalla collaboratrice, Luigi Abbruzzese avrebbe raggiunto casa della madre di Anna Palmieri chiedendo di poter vedere i nipoti. «A mia figlia, la più grande, disse di ritrattare e che avrebbe pagato».
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