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INCHIESTA “CAVALLI DI RAZZA”

Le chat criptate per trafficare armi. «Per qualsiasi cosa, sempre buono avere dell’esplosivo»

Il sistema di sicurezza canadese usato sui telefoni dei narcos. Il ruolo di Pasquale La Rosa. Le conversazioni: «Se uno rompe i coglioni, due di queste e si zittisce»

Pubblicato il: 24/11/2021 – 6:22
di Francesco Donnici
Le chat criptate per trafficare armi. «Per qualsiasi cosa, sempre buono avere dell’esplosivo»

REGGIO CALABRIA Decine di chat criptate nelle quali venivano programmati summit, scambi e compravendite di droga ed armi. Questo sono riusciti a ricostruire gli investigatori della Squadra mobile di Milano e della Guardia di finanza di Como in collaborazione con la polizia federale Svizzera ed Europol nell’ambito del filone milanese dell’inchiesta “Cavalli di razza” (collegata ai filoni calabrese e toscano denominati “Nuova narcos europea”) che ha portato, lo scorso 22 novembre, alla convalida di 48 dei 54 fermi sottoscritti dalla Dda guidata da Alessandra Dolci.  

I criptofonini con tecnologia “Sky ECC”

Gli indagati utilizzavano dei “nickname” «che potevano essere sostituiti in qualsiasi momento» come unica accortezza. Ma il linguaggio delle chat era del tutto esplicito come testimoniano i casi in cui venivano addirittura allegate le foto dello stupefacente e delle armi da trattare. L’apparente sicurezza proveniva dall’impiego di criptofonini utilizzanti la tecnologia “Sky ECC”, prodotta in Canada dalla “Sky Global”, tra le società più importanti del settore. Il colosso canadese era finito nell’occhio del ciclone lo scorso marzo, dopo l’incriminazione del “Ceo” Jean-Francois Eap, accusato dalle autorità di Usa e Canada – in concorso con un ex distributore di smartphone crittografati – di vendere, ai narcos internazionali, dispositivi che avessero il deliberato scopo di impedire controlli e ingerenze delle forze dell’ordine. «Nell’ambito dei suoi servizi – aveva dichiarato l’accusa – la società garantisce che i messaggi archiviati sui suoi dispositivi possano e saranno cancellati da remoto dall’azienda se il dispositivo viene sequestrato o altrimenti compromesso dalle forze dell’ordine». Di questa circostanza, con tutta probabilità, poteva essere a conoscenza uno degli indagati, il classe 87 Rocco Mandaglio (nelle chat “Sonny Boy” o “Bro”) che, secondo quanto ricostruiscono gli inquirenti, «si era recato all’abitazione di alcuni coindagati per consegnare questo apparato radiomobile di fabbricazione spagnola, dotato di programma di criptazione (canadese, ndr) che si ritiene potesse essere impiegato per compravendite di droga». Tra questi anche Pasquale La Rosa – che nelle chat diventa “Bugatti” – classe 93, che utilizza le apparecchiature per coordinare gli scambi anche durante il periodo di detenzione domiciliare. In una chat del 22 novembre 2020 tra altri due indagati, Antonino Chindamo e Domenico Garieri, entrambi residenti in Svizzera, veniva fatto riferimento ad alcuni arresti: «Compà hanno aperti non so quali cell oggi… e hanno fatto… non so quanti arresti mò vedo se dice qualcosa di sky… per questo non vanno bene in questi giorni…». Chindamo risponde garantendo per la tenuta del sistema di sicurezza da loro utilizzato: «Non è detto che hanno aperto anche sky… No compà sky mò hanno fatto saltare encro (encrochat, tecnologia utilizzata in precedenza dalle organizzazioni come disvelato da altre indagini, ndr) in luglio e collegata a questa operazione un sistema rumeno… sky ancora resiste… da come ho capito». Un sistema così poco permeabile da diventare «sputtanato» tra gli “addetti ai lavori” dell’organizzazione. Almeno fino all’intervento di Europol.

La forza d’intimidazione del gruppo “La Rosa”

Dopo aver violato il sistema, le autorità sono riuscite a ricostruire traffici e membri – almeno in parte – dell’organizzazione. Per la maggior parte traffici di droga, ma non solo. Nelle chat vengono trovate anche diverse conversazioni che rimandano a traffici d’armi (anche d’assalto) o esplosivi spesso importati dalla Svizzera alla Calabria.

Una delle chat avente ad oggetto una vendita d’armi

Tra i nomi che ritornano c’è quello di Pasquale La Rosa alias “Bugatti”, figlio del “Mammasantissima” Giuseppe La Rosa detto “Peppe La Vacca”. Per la Dda è il capo dell’articolazione svizzera della “locale” di Fino Mornasco «con compiti di decisione, pianificazione e di individuazione delle azioni e delle strategie».
Dal contenuto di una chat, in particolare, secondo gli investigatori «è stato possibile apprendere come il vero elemento di riferimento per il reperimento di armi in territorio svizzero fosse lui». Nella conversazione, un soggetto rimasto ignoto alle autorità chiede a La Rosa «una strada per armi…un po’ di tutto…importante che riusciamo ad avere prezzo […] almeno una 20 per volta». A tale richiesta, La Rosa risponde: «Va bene allora gli dico pezzi misti…pistole…mitra…e di dirmi il prezzo…gli scrivo…domani rientra mio cugino» facendo riferimento, secondo gli investigatori, a Tommaso Alessi, definito «suo uomo di fiducia», che lo coadiuva in questa attività. Secondo la procura, «la possibilità di fare ricorso all’uso delle armi consente all’organizzazione di presentarsi e operare come “credibile” e “senza scrupoli”». Vengono documentate plurime attività volte a dimostrare non soltanto la detenzione ai fini della vendita della armi, ma anche il loro utilizzo da parte dell’articolazione svizzera del gruppo “Belcastro-La Rosa” anche in chiave di «una potente (ri)affermazione del controllo del territorio». Così in un caso risalente a luglio 2020 che vede protagonista un soggetto, titolare di un bar di Zurigo, che racconta (ad altri, tra cui Michelangelo La Rosa, che nel frattempo ha preso le redini del gruppo dopo l’arresto del fratello Pasquale) di aver esploso cinque colpi di arma da fuoco verso la vettura di un soggetto che era solito frequentare un bar concorrente. La “colpa” della vittima designata era stata quella di transitare nel piazzale antistante il suo bar facendo rumore. «Se passi un’altra volta ti sparo» era stata la minaccia in seguito concretizzata: «Quando spari sembra un cannone…non fa pi pi…certe castagne tante», racconta il soggetto ad alcuni degli indagati esaltando il tipo di arma utilizzato. «Il motore gliel’ho bucato da una parte all’altra». Un atto che aveva sortito l’effetto sperato di spaventare il malcapitato, che dopo aver realizzato chi era stato a sparare, era corso a scusarsi: «Perché io non lo sapevo…mi hanno costretto…ho dovuto fare».       

«Se qualcuno rompe i coglioni, due di queste e si zittisce»

Il materiale esplosivo e al plastico proposto in chat da Scarfò

Tra gli indagati rileva anche la figura di Giuseppe Scarfò, classe 90 originario di Polistena, che nelle chat criptate diventa “Popeye”. A lui vengono contestati il traffico di stupefacenti e la detenzione illecita di armi ed esplodenti «con intenzione di provvedere alla loro commercializzazione» . Che sarebbe vicino ad altri soggetti indagati – benché tra le contestazioni a suo carico non ci sia l’associazione mafiosa – gli inquirenti lo evincono anche dalla conta delle presenze al suo matrimonio celebrato in Calabria ad agosto 2020. Tra i vari, figura anche Michelangelo La Rosa. Scarfò gestisce le sue attività insieme al cugino, Antonio Valenzisi, almeno fino all’arresto di quest’ultimo avvenuto il primo giugno 2020. I due condividono un box a Cadorago, nel Comasco, dove vengono occultati materiali per la lavorazione della cocaina di cui discute nelle chat criptate come ricostruito da Europol dopo la violazione delle utenze in uso a Pasquale La Rosa e Antonino Chindamo. Il 26 febbraio 2020 Scarfò parla di possibili vendite d’armi con un altro soggetto cercando inizialmente di piazzare una pistola calibro 45. Nella prosieguo della conversazione propone materiale «…esplosivo ed al plastico…», che all’occorrenza poteva essere usato «pure se qualcuno rompe i coglioni…due di queste e si zittisce…sempre buono averlo per qualsiasi cosa…», allegando le foto per dimostrarne l’effettiva disponibilità. (redazione@corrierecal.it)

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