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L’intervista

Calabria “cenerentola” del turismo. Becheri: «Resta ancora senza appeal»

Uno dei massimi esperti italiani del settore indica le debolezze del comparto. E sul futuro: «Si attraggano prima turisti domestici ed europei»

Pubblicato il: 27/11/2021 – 6:50
di Roberto De Santo
Calabria “cenerentola” del turismo. Becheri: «Resta ancora senza appeal»

LAMEZIA TERME Invertire il paradigma della distribuzione delle risorse a pioggia, utilizzando le somme in arrivo in Calabria dai fondi comunitari e dal Piano nazionale di ripresa e resilienza per renderla finalmente attrattiva come meta turistica. Ad iniziare dal turismo domestico per cui la regione non riesce a sfondare nonostante i milioni di euro già spesi. E non sono pochi (come vi abbiamo raccontato qui) visto che negli ultimi 13 anni per far decollare il turismo sono stati impegnati oltre 295 milioni. Una sfida da vincere rendendo competitivo anche quello che dovrebbe essere un cavallo di battaglia del comparto calabrese: il turismo balneare. Finora relegato a meta di viaggiatori di prossimità, senza ambizioni di fare il salto di qualità. Soprattutto in termini di attrazione di turisti stranieri e di alta gamma. Sono le linee di intervento che suggerisce di seguire Emilio Becheri, uno dei maggiori esperti di Economia del Turismo, membro dell’Aiest (Associazione internazionale esperti scientifici del Turismo), coordinatore fin dalla nascita del Rapporto sul Turismo italiano, ritenuto il principale riferimento per le politiche del turismo in Italia e dal 1992 direttore della rivista di economia, marketing e beni culturali Turistica “Italian Journal of Tourism”. Becheri, che ha anche organizzato il primo master sul Turismo in Italia al Politecnico di Milano ed ha nel suo background docenze alle Facoltà di Economia delle Università di Firenze e di Catania e presso la Iulm di Milano, individua sei punti deboli del turismo calabrese: «scarso appeal per i turisti dall’estero e anche per gli italiani delle regioni del Centro-Nord; arretratezza delle strutture ricettive e mancanza di strutture di grande qualità; la presenza di una domanda non particolarmente abbiente, in altre parole presenza di un turismo povero». A cui si aggiungono «una forte concentrazione stagionale delle presenze, la carenza di personale qualificato. Senza dimenticare una buona quota di turismo non rilevato e sommerso». Aspetti che definisce, elementi di «non poco conto».

Emilio Becheri, coordinatore fin dalla nascita del Rapporto sul Turismo italiano

Professore, in regione sono arrivate non poche risorse per il turismo. Cosa non ha funzionato?
«È sicuramente vero, ma bisognerebbe verificare come sono state impiegate e quali azioni innovative sono state intraprese, che relazione c’è stata fra i vari impieghi. Ho la sensazione che non vi sia stata una vera e propria programmazione e quindi neppure un coordinamento. Inoltre, poche sono state le azioni con effetti duraturi nel tempo; spesso l’effetto di certe attività si è esaurito appena finito il finanziamento pubblico, come è avvenuto per esempio, per le varie iniziative culturali che vengono definiti “attrattori culturali”».

Qual è l’immagine percepita della Calabria?
«Purtroppo la Calabria non gode di una buona immagine ed è percepita più in negativo che in positivo, come regione da evitare piuttosto che da visitare. Insomma, prevalgono i condizionamenti negativi rispetto a quelli positivi. La Calabria è poco conosciuta come lo sono diverse altre regioni del Mezzogiorno. Le uniche eccezioni per il Sud sono solo la Campania, la Sicilia e la Sardegna che godono anche di una immagine positiva. Quel che manca in Calabria è una città di grande richiamo, una città pivot di grandissima attrazione come possono essere Palermo e Catania per la Sicilia e Napoli per la Campania. E poi è assente un prodotto eccezionale di grande richiamo per il pubblico, i Bronzi di Riace in questo senso hanno finito il loro effetto prima di cominciarlo. E anche sul fronte del turismo balneare i mari della Calabria, ad esempio, non sembrano avere lo stesso livello di appeal di quelli della Sardegna, pur se sono riconosciuti di grande qualità e rappresentano comunque una grande attrazione per il turismo di prossimità. All’immagine della regione è connessa anche la configurazione dell’economia del turismo della regione, che incassa, per ogni soggiorno dei turisti, meno della metà della media delle altre regioni; in modo analogo alle Marche e alla Basilicata, che sono, da questo punto di vista, le regioni più “povere”».

Lei contava tra i punti critici del turismo calabrese la scarsa presenza di stranieri. A cosa è dovuta?
«Il motivo della scarsa presenza degli stranieri è dovuto al fatto che la regione viene di fatto bypassata: i clienti esteri si recano in Campania e in Sicilia saltando la Calabria. È una circostanza che riguarda anche altre regioni del Mezzogiorno continentale che non hanno eccellenze, cioè, anche Abruzzo, Molise, Basilicata e Puglia. Per comprendere la dimensione basta citare alcuni dati.  Nel 2019, in Calabria solo il 23,1% delle presenze è dovuto agli stranieri a fronte del 50,5% riscontrabile come dato nazionale. Nel 2020, anno della Pandemia, la quota di presenze straniere nella regione è stato solo del 6,8% a fronte del 31,4% a livello nazionale. Numeri quelli legati al flusso di turisti stranieri distanti anche dalle altre regioni del Sud. In Abruzzo la quota di presenze straniere è stata del 12,8% nel 2019 e del 5,8% nel 2020, in Molise le rispettive quote sono state del 7,9% e il 4,3%. Mentre in Puglia la percentuale per il 2019 è stata pari al 24,9% e dell’11,8% l’anno scorso ed infine in Basilicata i due dati sono stati pari al 12,5% ed il 4,9%. Più in linea con quanto si verifica per le regioni del Centro Nord è l’andamento delle altre regioni del Sud, Campania, Sicilia e Sardegna: in Campania la quota di presenze straniere su quelle totali presenti è del 48,3% nel 2019 e del 18,0% nell’anno successivo, in Sicilia le rispettive quote sono il 50,5% ed il 22,0%. in Sardegna il 51,0% ed il 25,0».

La Calabria non è poco attrattiva solo per gli stranieri ma lo è anche per i residenti nelle regioni del Nord Italia.
«È un dato di fatto, gran parte dei flussi turistici nazionali che si registrano in Calabria, circa i due terzi (66,0%), proviene dalle regioni del Mezzogiorno, Calabria compresa. Se si aggiunge anche la vicina Lazio alle regioni del Sud il numero degli italiani provenienti da take area corrisponde a più di tre quarti del totale (77,8%) registrato in Calabria. Per questo dico che è inutile rincorrere giapponesi e statunitensi se prima non nasce un maggiore appeal per i paesi europei vicini e per le altre regioni italiane. Dai calabresi nel Mondo può essere attivato, invece, un interessante turismo di ritorno, come ben appare dal Primo rapporto sul turismo delle radici in Italia di Sonia Ferrari e Tiziana Nicotera pubblicato in questi giorni».

Il professor Becheri con Rocco Commisso, patron della Fiorentina calcio ed originario della Calabria

L’alta stagionalità è un altro elemento che caratterizza i flussi turistici in entrata in Calabria. Eppure, il clima mite, la presenza di attrattori culturali e delle montagne sul territorio potrebbero incentivare visite nella regione. Come lavorare anche su questo fronte?
«La stagionalità è quella più elevata dopo Puglia e Sardegna ed è questo forse il principale problema del turismo locale, pur se la regione è in prevalenza nettamente montuosa e con non poche risorse interne. La Regione è percepita solo come balneare. In uno studio di qualche anno fa, su flussi turistici nella regione, ho paragonato la Calabria ad una sorta di scatola vuota con pareti di acqua (il litorale) e con il nulla o quasi dentro».

Sono programmate ora nuove risorse che arriveranno in Calabria sia dai fondi strutturali sia dal Pnrr. Quale sarebbe il modo, secondo lei, più intelligente di utilizzare queste somme per far finalmente decollare il turismo calabrese?
«Certo che sarebbe utile, più che utile necessario. C’è un settore, ad esempio, che è già presente in diverse località, che ha vissuto momenti di difficoltà e che andrebbe ulteriormente sviluppato e riorientato secondo la logica dei wellbeing, quello termale e del benessere. È necessario abbandonare un orientamento ancora troppo fossilizzato sul sanitario e proporre la regione come destinazione antiage e del beauty. Le risorse perché ciò accada ci sono già, basta orientarle e promuoverle in tal senso secondo il paradigma del Global wellness, vincente in tutte le parti del Mondo. Un altro comparto da sviluppare con l’attivazione delle relative infrastrutture potrebbe essere quello congressuale. Ma ci sono altri aspetti da valorizzare e alcuni luoghi comuni che governano il turismo della regione da sfatare. Il primo è che bisogna sviluppare il turismo d’arte culturale invece del turismo balneare, perché si ritiene quest’ultimo già sviluppato. Non è così: in particolare il turismo balneare di qualità ha ancora ampi margini di sviluppo. Non troppo paradossalmente basti pensare alla densità dei flussi turistici sul litorale. Tenuto conto che la regione dispone di cica 800 km di costa, dei quali 716 balneabili, se il litorale regionale avesse la stessa densità turistica di quello emiliano-romagnolo, le presenze turistiche della Calabria sarebbero 5 volte quelle attuali; cioè alle presenze attuali ne dovrebbero essere aggiunte un numero che è pari a quattro volte tanto. Per dare una misura, le presenze Istat del 2019 sono state 9,509 milioni; quella aggiuntive applicando lo stesso paramento del caso Emilia-Romagna sarebbero 38,198 milioni, per un totale di 47,707 milioni. Ovviamente è solo un’ipotesi teorica, distante dalla realtà, ma indica in modo evidente le potenzialità ancora esistenti per i turismi del mare, anche se nessuno vuole proporre una riminizzazione della regione. Il primo passo da fare sembra, perciò, la razionalizzazione e lo sviluppo dei turismi del mare in condizioni di sostenibilità ed efficienza. Nel post covid vi sono le condizioni perché ciò possa accadere». (r.desanto@corrierecal.it)

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