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«Sti africoti hanno fatto un bordello». Dalla rissa in discoteca alla “lezione di ‘ndrangheta” dei Valenzisi

La lite in un locale di Cantù tra Valenzisi e il nipote di Palamara e le linee guida spiegate dal padre Antonio per «tenere ordinato il territorio»

Pubblicato il: 27/11/2021 – 10:51
di Giorgio Curcio
«Sti africoti hanno fatto un bordello». Dalla rissa in discoteca alla “lezione di ‘ndrangheta” dei Valenzisi

MILANO «Pa’, scusa l’ora. C’è un problema a Cantù con il cugino di Leo Palamara. Ha detto che sei cornuto». Inizia così la conversazione intercettata dagli inquirenti tra Antonio e Giuseppe Valenzisi, rispettivamente padre e figlio, finita nell’ambito del filone milanese dell’inchiesta “Cavalli di razza” (collegata a quelli della Dda di Reggio e Firenze denominati “Nuova narcos europea”) che ha portato, lo scorso 22 novembre, alla convalida di 48 dei 54 fermi sottoscritti dalla Dda guidata da Alessandra Dolci. I due – secondo l’accusa – non sarebbero soggetti qualunque ma elementi legati alla ‘ndrangheta e alla locale di Fino Mornasco, tra le più influenti in Lombardia. Per gli inquirenti Antonio Valenzisi intrattiene incontri e stabili relazioni con gli affiliati, detiene armi e gestisce le attività di narcotraffico. 

La lite in discoteca

E la chiamata avvenuta alle 4.15 del mattino del 22 febbraio del 2020 ne è la prova. Un contrasto quello insorto in una nota discoteca di Cantù con i soggetti ritenuti appartenenti alla famiglia Palamara di Africo che preoccupa inizialmente il padre Antonio Valenzisi, al punto da invitare il figlio a tornare, e in fretta, per evitare altri guai. «Ok Giuseppe, vienitene a casa, mi fai un favore?» dice al figlio, «che domani lo sistemo io, provvedo poi vedo con suo cugino». Poi le raccomandazioni, addirittura – è scritto nel fermo – piangendo e profferendo le parole «Noo, Giuseppe noo!» e poi pregandolo: «…vieni qua! vieni qua! vieni qua! per favore!… per favore te lo chiedo!». Il timore su ciò che potesse accadere al figlio e che la lite, poi, potesse degenerare a sfavore del figlio hanno fatto impensierire Antonio Valenzisi al punto di incontrare subito il figlio in un noto bar di Caslino. Nel frattempo gli inquirenti hanno captato diverse conversazioni, anche ambientali, ma anche le immagini di videosorveglianza che – secondo l’accusa – mostrano l’arrivo di Giuseppe Valenzisi insieme ad altre persone e i ripetuti rimproveri da parte del padre. 

«’sti paesani tuoi non hanno una guida»

Ma, come riusciranno a documentare più tardi gli inquirenti, nella stessa mattinata, sarà ancora Antonio Valenzisi a discettare le regole di ‘ndrangheta da seguire, e la necessità – soprattutto – di mantenere “ordinato” il territorio. «(…) sti cuatrari senza regole… ‘sti paesani di oggi, no rispetto no regole non sanno che il territorio deve restare ordinato, niente non valgono niente». E ancora: «(…) ma può essere che questi paesani tuoi non hanno una guida, non hanno una regola, non hanno niente… non valgono niente… mi fa svegliare la mattina, la notte questo mi chiama che litiga con quel pisciaturu», riferendosi alla lite avvenuta solo qualche ora prima tra il figlio e il cugino di Leo Palamara. 

«Dentro i loro ambienti non possono fare quello che vogliono»

La vicenda verrà poi affrontata ancora il giorno successivo tra i fratelli Antonio e Roberto Valenzisi, considerato anche lui – secondo l’accusa – appartenente alla locale di Fino Mornasco, attivo nella gestione dello spaccio e dei rapporti con altre famiglie, risolvendo anche una serie di “conflitti” di altre famiglie mafiose. «(…) sabato ha litigato di nuovo Giuseppe (ndr Giuseppe Valenzisi) con quelli di Cantù…sti “pisciaturi” di merda» dice Antonio al fratello, che risponde: «(…) quattro “sfacciuna” dei paesani suoi. Si spaccia per cugino». «Ora glielo dico, gli dico – continua poi Antonio Valenzisi – ma può essere che in questo paese di Africo non avete i coglioni per insegnargli ai “cristiani”, ai “cutrari” come devono stare…che dentro i loro ambienti non possono fare quello che vogliono…sti “porcherusi” di merda.. così gli ho detto “porcherusi” di merda.. perché tu non puoi, vanno in discoteca a fare discussioni ogni volta che le persone si spaventano di andare là che si litigano con questi quattro…». 

I contrasti con gli “africoti”

Quello con gli “africoti” è evidentemente un problema che ha radici lontane. In una conversazione tra i due fratelli – captata dagli inquirenti – l’argomento torna di attualità quando Roberto Valenzisi racconta al fratello di un diverbio avuto tempo addietro con un compaesano, forse all’interno di un locale, e per questioni legate ai soldi, poco più di 5 euro. «(…) gli ho detto sai che qua siamo tutti calabresi però un pò di educazione la dovremmo avere.. e ha detto: “ma perché sei calabrese? lo potevi dire.. non lo potevate dire prima!” e io gli ho detto: “perché se uno è calabrese lo trattate in un modo e se non è calabrese lo trattate in un altro no?». E poi la chiosa: «(…) gli africoti li odio… già li odiavo prima…solo Leo (ndr Leo Palamara) mi è simpatico..forse non ha un cazzo a che fare…». «Se uno mi parla di africoti il cervello alle stelle…un bordello hanno fatto.. la figlia terrorizzata per cinque euro..dovevo dirgli che sono calabrese».

Le regole di ‘ndrangheta in Lombardia

Per l’accusa si tratterebbe di conversazioni che evidenzierebbero – ancora una volta – quanto siano fondamentali, per l’esistenza e la sopravvivenza della ‘ndrangheta, le “regole” di comportamento. Le violente esternazioni di Antonio Valenzisi, per gli inquirenti, sono «un rabbioso appello all’educazione dei giovani al rispetto delle regole di ‘ndrangheta» e che hanno un senso in quanto da una parte provengono da un soggetto che della ‘ndrangheta fa parte, dall’altro sono diretti a soggetti che, in quanto anche loro appartenenti alla stessa organizzazione criminale, possono recepire e condividere quelle rimostranze. (redazione@corrierecal.it)

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