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Grande Aracri e Martorano-Stefanutti legati dal 2004: dai contatti in carcere ai videopoker e le estorsioni ai Vrenna

La ricostruzione degli ultimi 17 anni di sodalizio lungo l’asse Calabria-Basilicata maturato negli ambienti criminali legati alla ‘ndrangheta

Pubblicato il: 30/11/2021 – 6:48
di Giorgio Curcio
Grande Aracri e Martorano-Stefanutti legati dal 2004: dai contatti in carcere ai videopoker e le estorsioni ai Vrenna

LAMEZIA TERME Per gli inquirenti il legame tra la cosca “Martorano-Stefanutti” e i “Grande Aracri” di Cutro è, tra tutti, quello più significativo sia dal punto di vista della concreta operatività criminale, sia dalla rilevanza che meglio descrive il rango mafioso del sodalizio criminale lucano. È questa una delle risultanze investigative chiave e al centro della nuova inchiesta “Lucania Felix” condotta dalla Dda di Potenza e che ha portato all’arresto di 37 persone, 28 in carcere e 9 ai domiciliari.

L’egemonia dei Grande Aracri

I Grande Aracri, infatti, sono egemoni non solo nel Crotonese ma anche su vaste aree dell’Emilia Romagna e della bassa Lombardia, controllando capillarmente e militarmente territori e province come quelle di Reggio Emilia, Modena, Parma, Mantova e Cremona. Dall’inchiesta “Lucania Felix”, coordinata dalla Dda di Potenza, è emerso un rapporto strettissimo e permanente di collaborazione tra i due clan, con riunioni operative, sia in Calabria che in Basilicata, per la pianificazione, l’organizzazione e l’esecuzione della attività criminali attraverso il reimpiego di ingenti quantità di denaro provenienti dal business del videopoker, dello spaccio di droga e delle armi da fuoco, oltre che dalle attività estorsione e recupero crediti verso imprenditori debitori. 

Partner preferenziali

Per i Martorano-Stefanutti, ne sono convinti gli inquirenti, i Grande Aracri sono a tutti gli effetti partner preferenziali, la dimostrazione di come anche le cosche criminali lucane abbiano trovato sponda nelle più potenti cosche legate alla ‘ndrangheta calabrese, proiettandole al contempo in una dimensione non più locale ma restituendole forma e sostanza al pari delle altre mafie nazionali. 

I contatti nel carcere di “alta sicurezza” di Melfi

Una genesi, quella dei Martorano-Stefanutti, che affonda le radici – secondo l’accusa – nei rapporti criminali nati all’interno del circuito penitenziario, dove si sono rafforzati nel corso degli ultimi anni tra le celle del carcere di “alta sicurezza” di Melfi dove per molto tempo sono stati ristretti contemporaneamente esponenti del clan Martorano-Stefanutti non solo con altre famiglie lucane come i Di Muro-Delli Gatti di Melfi o i Mitidieri e Scarica di Policoro, ma anche con i clan della potente ‘ndrangheta calabrese quali appunto i Grande Aracri, ma anche i Manfredi-Nicoscia di Isola Capo Rizzuto e i Giampà-Torcasio di Lamezia Terme.

L’estorsione ai Vrenna

I primi contatti con i Grande-Aracri, invece, risalgono, per gli inquirenti, al 2004, quando Dorino Rocco Stefanutti ha condiviso la detenzione nel carcere di Viterbo con Ernesto Grande Aracri, fratello di Nicolino “mano di gomma”, poi alimentati da Donato Lorusso con incontri avuti in Calabria e a Potenza. Un legame tanto solido da permettere al clan lucano di estendere le richieste estorsive a imprenditori calabresi in terra lucana. «…a me dovete dare un pensierino, ho troppi detenuti da mantenere… non pretendo tanto ma mi dovete darei soldi altrimenti vi sfregio dove voglio qui oppure a Crotone… chiedete a Papanice, a Cutro oppure a Isola e fino a Catanzaro chi sono, prendete informazioni». Così si rivolgeva Lorusso agli autisti della ditta di Crotone impegnata nella raccolta dei rifiuti all’ospedale “San Carlo” di Potenza, facente capo alla famiglia Vrenna. Un tentativo di estorsione per il quale lo stesso Lorusso è già stato condannato. 

I vertici del clan potentino

Secondo gli inquirenti, dunque, al vertice del clan, ci sarebbe Renato Martorano, considerato dagli inquirenti il boss in possesso di cariche di osservanza ‘ndranghetistica, riconosciuto non solo dai sodali lucani ma anche da quelli calabresi. Così come Dorino Rocco Stefanutti, già imputato in diversi processi di mafia come “Nibbio III” e “‘Ndragames”, già condannato in “Ieanadue” e nel processo riguardante l’omicidio di Donato Bruzzese. I due, per gli inquirenti, sceglievano gli affiliati, distribuivano gli incarichi e provvedevano all’ideazione, la pianificazione, l’organizzazione e l’esecuzione del programma criminoso della cosca tra cui l’estensione la propria influenza al controllo delle attività economiche, d’accordo con i sodali di Matera e Cosenza, nelle sale da gioco e dei videopoker. Altro elemento di spicco nel clan sarebbe, secondo l’inchiesta della Dda di Potenza, anche Donato Lorusso, reggente del clan in caso di detenzione dei due boss, tuttora accreditato tra i Grande Aracri, omaggiato di “codici di mafia” contenenti cariche criminali, riti, regole e la “favella” utilizzata dagli associati per “rintagliare” l’appartenenza criminale degli interlocutori. Lorusso, inoltre, è stato condannato nel processo “No Lace” per aver richiesto denaro ad un’impresa del crotonese operante a Potenza per assistere i detenuti ma è anche imputato nel processo “‘Ndrangames”.  (redazione@corrierecal.it)

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