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l’intervista

Gratteri sulla riforma del Csm: «Il correntismo fa male alla magistratura e al Paese»

In una lunga intervista con Giovanni Minoli, il procuratore di Catanzaro parla di «necessità di cambiamento». E per quanto riguarda la Calabria: «Alla ‘ndrangheta interessa che resti in uno stato d…

Pubblicato il: 01/12/2021 – 6:50
Gratteri sulla riforma del Csm: «Il correntismo fa male alla magistratura e al Paese»

Riforma del Consiglio superiore della magistratura: «Il correntismo fa male alla magistratura e al Paese e bisogna puntare sul sistema elettorale, cambiare sistema elettorale». Riforma Cartabia: «In Italia spesso si cerca di risolvere problemi complessi tagliando, ghigliottinando o strozzando». Le prime cause civili, contro i diffamatori, presentate a 63 anni. L’ultimo libro e le  origini dell’insediamento della ‘ndrangheta al Nord. La Calabria che, per il malaffare, «deve restare in uno stato di perenne bisogno». Una lunga intervista quella che il procuratore di Catanzaro, Nicola Gratteri, ha concesso a Giovanni Minoli nella sua trasmissione “Il mix delle cinque” su Radio Uno. La riproponiamo integralmente.

Il primo argomento affrontato è la Riforma del Consiglio superiore della magistratura. Il presidente Mattarella, in veste di presidente del Csm, ha parlato e ha stigmatizzato l’autoreferenzialità dei suoi componenti chiedendo un cambiamento di metodo per l’elezione del Csm.

Procuratore Nicola Gratteri, candidato alla Direzione nazionale antimafia, sono parole chiare e sufficienti quelle di Mattarella?
«Queste sono cose che, in modo meno solenne, io penso e dico da sempre. È necessario questo cambiamento e questo lo si avverte da tempo». 

Cos’è indispensabile per far cambiare il metodo?
«
Bisogna innanzitutto considerare i meriti più che le appartenenze. Il correntismo fa male alla magistratura e al Paese e bisogna puntare sul sistema elettorale, cambiare sistema elettorale».

Lei è favorevole al sorteggio?
«Sì, sono favorevole al sorteggio puro, cioè dividere l’Italia per macroaree come se fossero le elezioni europee, rispettare le proporzioni: 80% giudici, 20% pubblici ministeri. Rispettare le proporzioni di primo grado, secondo grado e Cassazione. E poi sorteggiare. Chi è in grado di scrivere una sentenza sarà sicuramente in grado di valutare, scrivere un parere per un procuratore o qualunque presidente di sezione o presidente di Tribunale».

Adesso sul tavolo c’è la riforma Cartabia. Lei è stato duro nel giudicarla. Cosa non va soprattutto?
«In Italia spesso si cerca di risolvere problemi complessi tagliando, ghigliottinando o strozzando. Le riforme come quelle della giustizia vanno fatte modificando contemporaneamente piccole, medie e grandi cose, altrimenti la macchina non funziona. Non esiste una ricetta solo per il processo contro la criminalità organizzata o per il processo contro la criminalità comune. Esistono regole e procedure che devono valere per tutto il sistema. Con questa riforma – soprattutto nel secondo passaggio che c’è stato al Consiglio dei ministri, quando poi si è mediato e si è fatto quell’elenco dove sono stati inseriti i processi di criminalità organizzata e i reati di natura sessuale, sulle fasce deboli sostanzialmente – è stata messa una toppa. Se era fatta bene la riforma nella prima versione, perché è stata necessaria questa toppa? Ma poi a me non preoccupavano i reati di criminalità organizzata. Tranne Rinascita-Scott, o altri pochi processi che hanno da 150/200 imputati in su, processi con 50 o 100 imputati in appello si riesce a farli in due anni e un anno in Cassazione. Ma quello che a me preoccupa come cittadino, prima ancora che come magistrato, è quel 50% di processi, chiamiamoli di Procura ordinaria, per i quali già i procuratori generali, che già i presidenti di Corte d’Appello hanno detto “attenzione, in due anni non ce la faremo a concludere”. Allora se già statisticamente noi diciamo che non si faranno, perché si insiste su questo, perché non si va a monte? Perché non si tipicizzano e si riducono le possibilità di appello o di ricorso per Cassazione? Molte volte appello e Cassazione sono quasi strumentali per perdere tempo, per arrivare alla prescrizione. Questo, ovviamente, mi porterà molte critiche ma “il re è nudo”». 

Procuratore lei è stato accusato dai suoi detrattori di istituire maxi processi nei quali fa arresti a strascico che poi si rivelano dei flop al vaglio dei giudici. Ma quali sono i numeri veri di Rinascita Scott?
«Intanto pochi giorni fa si è concluso il processo con rito abbreviato, dove c’erano 90 imputati. Ci sono state 70 condanne, Sui 20 assolti non c’era nessuno detenuto, nessuno di questi era indagato per associazione mafiosa, ma solo reati fine, per due di questi c’è stata la prescrizione…»

Sono critiche in mala fede?
«Io ribadisco che c’è gente che si alza la mattina per attaccarmi. A volte senza una ragione, in modo sistematico e continuativo ma io ormai ormai, alla veneranda età di 63 anni, mi sto attrezzando, ho cominciato a fare cause civili così vediamo se si continua a scrivere cose false nei miei confronti. E comunque vorrei ribadire: noi come Procura chiediamo misure di custodia cautelare, il gip emette l’ordinanza, poi, prima di arrivare al dibattimento, in media altri 40 magistrati leggeranno le stesse carte. Però poi si scrive che la colpa è sempre di Gratteri. Molte volte su una richiesta di custodia cautelare io metto solo il visto, l’indagine la istruisce il pubblico ministero con la polizia giudiziaria e il procuratore aggiunto». 

Nel sul ultimo libro “Complici e colpevoli” lei sostiene che sono gli imprenditori che hanno importato la ‘ndrangheta al Nord. È così?
«Hanno accettato i servizi gestiti dalla ‘ndrangheta, come la manodopera a basso costo, il trasporto degli inerti. Se proprio vogliamo dirla tutta, la ‘ndrangheta ha messo radici al Nord grazie a imprenditori e politici che hanno agito secondo logiche di convenienza». 

Sono loro i primi colpevoli, diciamo la verità
«Non è la metafora del contagio, riconducibile al soggiorno obbligato. Questa è una favoletta alla quale molti per molto tempo hanno creduto».

Ma la Calabria che ruolo ha in questa espansione?
«La Calabria è una delle regioni più povere, la ‘ndrangheta è una delle mafie più ricche. In Calabria sono rimaste sempre le briciole della ricchezza accumulata dalle mafie, dalle famiglie di ‘ndrangheta».

Funziona da fornitrice di manovalanza?
«La Calabria continua a essere la casa madre, continua a essere il luogo dove esiste il Crimine, l’organismo che autorizza l’apertura di locali di ‘ndrangheta in Italia e nel mondo. C’è il cordone ombelicale che non si spezza, ma (la Calabria, ndr) non è il luogo dove la ‘ndrangheta investe le proprie ricchezze». 

È interesse della ‘ndrangheta mantenere povera la Calabria?
«Se la Calabria resta povera, chi ha bisogno chiede e poi si vincola. La Calabria deve restare in uno stato di perenne bisogno». 

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