CATANZARO Il documento che riporta l’iscrizione di Giuseppe e Sebastiano Caffo, attuale commissario della Camera di Commercio di Vibo Valentia, nel registro degli indagati sarebbe agli atti dell’inchiesta Petrolmafie della Dda di Catanzaro. Gli imprenditori della distilleria che produce l’Amaro del Capo, diventato negli anni un simbolo dell’enogastronomia calabrese e italiana, respingono ogni addebito. Ma l’inchiesta del quotidiano “Domani” scuote l’azienda di Limbadi perché mette in relazione il gigante dei distillati con gli interessi della potente cosca Mancuso. Gli imprenditori risulterebbero «indagati per complicità con l’associazione mafiosa calabrese (la ‘ndrangheta) e riciclaggio».
«Le ipotesi di reato – si legge su “Domani” – sono contestate in un’iscrizione sul registro degli indagati che risale al marzo 2021 e che è stata depositata in un fascicolo di un’altra inchiesta sugli affari della famiglia Mancuso nel traffico di carburante e petrolio. Entrambe le indagini sono coordinate dalla procura antimafia di Catanzaro guidata dal magistrato Nicola Gratteri e sono state condotte dal Ros dei carabinieri. Non sappiamo se da marzo a oggi siano state prorogate le indagini nei confronti dei proprietari dell’Amaro del Capo o sia stata chiesta l’archiviazione». Dalla procura nessun commento, mentre Giuseppe Caffo respinge ogni accusa: «A me non è arrivato niente, noi facciamo tutto in regola. Se qualcuno mi vuole sentire sono disponibile».
Al centro del caso vi sarebbe una informativa del Ros dei carabinieri, in seguito alla quale sarebbe stato disposto «l’inserimento nel registro degli indagati di Giuseppe Giovanni Caffo detto Pippo e di Sebastiano Giovanni Caffo detto Nuccio per i reati di concorso esterno in associazione mafiosa e riciclaggio». Poche righe anche quelle in cui gli investigatori fanno riferimento – sempre secondo quanto riportato da “Domani” – a «fattivi e concreti interessamenti dei predetti (esponenti del clan Mancuso, ndr) verso l’attività di imprenditoria della “Distilleria Caffo”, diretti a promuovere ed estendere la vendita del prodotto liquoroso “Vecchio Amaro del Capo” nel Nord Italia e all’estero». In sostanza, la cosca avrebbe progettato «attività promozionali» pur non avendo alcun ruolo nell’azienda, da cui l’inchiesta. Il fatto, secondo quanto appreso, emergerebbe da un’intercettazione agli atti dell’inchiesta “Petrolmafie”, una captazione ottenuta durante una delle cene nelle quali i Mancuso avrebbero progettato di ampliare i propri affari nel settore dei carburanti. Caffo non era presente. E a “Domani” spiega: «In azienda non è mai venuto nessuno per dirmi “portiamo l’amaro fuori”. Non c’è una mia parola di intercettazione con questi signori».
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