Il nuovo commissario regionale alla sanità ed il suo vice sembrano essersi messi “di buzzo buono” a cercare di riformare la sanità calabrese e di ripristinare il diritto alla salute anche per questi periferici cittadini italiani. L’idea della “Azienda zero” potrà essere forse buona per rendere più efficienti i meccanismi economico-finanziari e sembra ricevere un certo consenso nella politica di maggioranza e di opposizione.
Alcune perplessità vorrei comunque esprimere. Intanto il debito di oltre un miliardo che nessuna soluzione ordinaria e nemmeno l’Azienda zero potranno mai annullare e che potrà essere risolto solo con il suo azzeramento a carico dello Stato che, d’altra parte, attraverso i suoi commissari, ne ha determinato la più gran parte o forse addirittura tutto perché ritengo che i ratei fin qui versati abbiano assolto il debito fino all’arrivo del generale Pezzi. Esiste tuttavia un altro e forse più grande problema verso il quale la politica continua a tenere un atteggiamento molto poco coraggioso. Si tratta degli oltre trecento milioni all’anno di mobilità passiva che sembrano tra l’altro in crescita. Si tratta di una situazione di disagio non solo economico ma di esistenza, di qualità di vita dei calabresi e che crea d’altra parte anche un pesante aggravio finanziario per le spese indotte che accompagnano inevitabilmente l’emigrazione sanitaria. Voglio dire che la maggiore efficienza economica (ammesso che davvero la si possa raggiungere con le misure annunciate da Occhiuto e Bartoletti) non risolve automaticamente la situazione sanitaria. Quel che è sempre mancato in Calabria è stata l’incapacità di questa regione di rinnovare vecchi schemi per adeguarli alla medicina moderna e di creare un nuovo “sistema” sanitario. Ciò ha causato l’aggravarsi della storica mancanza di autosufficienza sanitaria della regione (determinata da decenni di iniqua ripartizione delle risorse destinate alla sanità) aggravando via via l’emigrazione e quindi il circolo vizioso che ha determinato la ulteriore riduzione delle risorse e quindi dei servizi ed altra emigrazione. La miope gestione del Piano di rientro invece di cercare di rompere quel circolo vizioso lo ha aggravato con i tagli lineari delle risorse disponibili.
La politica non ha avuto il coraggio di abbandonare i vecchi schemi di mediazione del consenso continuando pervicacemente ad assecondare, in cambio di voti, particolarismi, municipalismi, piccoli interessi di bottega. La politica non ha voluto o non ha saputo impegnarsi in una opera di educazione, di convincimento dei cittadini e del potere locale perché molto spesso anche i sindaci hanno fondato la propria sopravvivenza sulla difesa di posizioni conquistate ma diventate inutili e dannose.
Ancora una volta in queste settimane si sente parla di misure economico-finanziarie, di cambiamenti istituzionali delle Aziende sanitarie ed ospedaliere (e ben venga l’unificazione delle due aziende ospedaliere di Catanzaro) e via di questo tenore ma nulla che mostri di aver compreso che l’efficacia e, alla lunga, anche l’efficienza delle strutture sanitarie dipendono da una radicale riorganizzazione delle stesse verso una autentica “medicina di prossimità”. Nessuno, salvo poche riflessioni di cittadini ed operatori, sembra aver voglia di occuparsene, di aprire al di là della dialettica democratica, un rapido e decisivo confronto non legato agli interessi di parte ma a quelli superiori dei calabresi tutti.
Le migliori forze debbono essere laicamente coinvolte in un processo di questo tipo perché le forze culturali, tecniche, professionali, politiche, sindacali esistono in Calabria senza comunque escludere il ricorso all’esperienza degli altri.
Il Pnrr sembra invocato da tutti come l’opportunità per cambiare. Auguriamoci che nelle prossime settimane si possa vedere l’inizio di questo cambiamento ma è chiaro che è necessaria una “sterzata” tecnica, scientifica ma principalmente di approccio culturale. Senza questo tutto sarà inutile.
*Medico e già dirigente in sanità
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