CORIGLIANO ROSSANO Al danno, la beffa. Prendere il Covid in “trasferta” da non residente e rimanere rinchiuso in casa da un mese in attesa di un risultato: storie di ordinaria follia (sanitaria) tutta a tinte calabre. È quanto sta accadendo a Saverio Bevacqua, libero professionista residente a Perugia da anni ma nato e cresciuto a Longobucco.
Alle falde della Sila Grande vivono i genitori e le radici richiamano sempre. Così, Saverio, a metà novembre decide di tornare a casa per qualche giorno. In paese da tempo è attivo un grosso focolaio Covid e nei primi giorni della visita ai genitori, il padre inizia a manifestare dei sintomi. Il medico di famiglia consiglia a padre, madre e figlio di effettuare un tampone di controllo, proprio a causa dello sviluppo pandemico sul territorio.
I tre si recano in farmacia il 19 novembre ed il test rapido antigenico dà esito positivo. Diligentemente, da non residente, Saverio decide di anticipare la comunicazione al Dipartimento Igiene e prevenzione della sede di Rossano dell’Asp.
«Appreso l’esito del test ci poniamo in quarantena ma solo il 23 novembre siamo raggiunti dall’ordinanza che ci comunica l’isolamento obbligatorio a partire dal 19 novembre. Il 29 novembre – racconta al Corriere della Calabria – effettuiamo il primo tampone molecolare: il giorno dopo arriva la risposta dei test ai miei genitori e il 2 dicembre il mio. Ripetiamo i test appena sette giorni dopo, il 7 dicembre».
Come da prasi, anche se forse troppo presto, il tampone viene ripetuto per verificare l’avanzamento dell’infezione e una eventuale negativizzazione. Ma è da quel giorno che iniziano i veri problemi.
«È dal quel giorno, il 7 dicembre – riferisce ancora Saverio Bevacqua – che stiamo vivendo in una sorta di limbo, in attesa dei risultati, così come un’altra decina di persone in paese. Chiedo spiegazioni all’ufficio, dal quale mi rispondono che in mancanza dell’esito del test non possono sbloccare la quarantena. Da quanto abbiamo avuto modo di capire i ritardi sembrano addebitabili al laboratorio tamponi dell’ospedale di Rossano che non invia i risultati all’Asp».
Proprio il laboratorio del “Giannettasio”, nei mesi scorsi, è stato al centro delle cronache, nel bel mezzo della pandemia, a causa di ritardi e sospensione del servizio. Talvolta per mancanza di reagenti, altre per carenze di personale.
«Il personale degli uffici dell’Asp – dice ancora Saverio – è comunque gentilissimo, sia a Rossano che a Cosenza. Il problema, però, è rappresentato dalla tipologia di comunicazioni fornite: vengono riferite solo al telefono. Mi è viene suggerito, per esempio, di recarmi a Rossano per un altro tampone. Ma se durante il tragitto mi dovesse fermare la polizia – si chiede – come potrei dimostrare che non sono in quarantena o che sto andando a fare un test?».
Al danno, quindi l’aver contratto il Sar-Cov-2, la beffa di non avere i risultati e la conseguente “prigionia” casalinga, senza poter tornare a Perugia a lavorare.
«In Umbria, dopo aver effettuato un test, per iscritto ci viene comunicata anche la carica virale, qui si viene raggiunti solo da notizie telefoniche. Sono da un mese a Longobucco e vorrei tornare al mio lavoro – conclude Saverio Bevacqua – anche perché da libero professionista non posso permettermi assenze per lunghi periodi».
Il Calvario sanitario vissuto da Saverio è, purtroppo, routine. «Ma davvero – chiede sorpreso al telefono – la sanità calabrese è ridotta così?». (l.latella@corrierecal.it)
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