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l’indagine sulle navi a perdere

Jolly Rosso, la «nave dei veleni» e le anomalie irrisolte

Il 14 dicembre 1990 il caso del cargo spiaggiatosi lungo le coste di Amantea, «imbarcato per essere affondato con tutto il suo contenuto»

Pubblicato il: 14/12/2021 – 7:13
di Francesco Donnici e Andrea Carnì*
Jolly Rosso, la «nave dei veleni» e le anomalie irrisolte

REGGIO CALABRIA Sono trascorsi 31 anni dal 14 dicembre del 1990. Quel giorno la Rosso, nave cargo della Linea Messina costruita nel 1968, si spiaggia sulle coste di Amantea, nella frazione di Campora San Giovanni. Un episodio che si intreccia con le indagini del pool coordinato dall’allora sostituto procuratore di Reggio Calabria, Franco Neri, di cui faceva parte anche il capitano di corvetta Natale De Grazia.
Il nome dell’imbarcazione era comparso anche nella documentazione sequestrata nell’abitazione di Garlasco dell’ingegnere Giorgio Comerio e finirà col tempo per entrare nel libro dei “misteri” conditi, in quel periodo, da una serie di situazioni sospette e strane presenze sulle spiagge del Cosentino.  

Le operazioni di recupero dei rifiuti scaricati in Libano

Fino al 1989, la nave era conosciuta col nome di Jolly Rosso, annoverata tra le “navi dei veleni”. L’anno precedente lo Stato italiano l’aveva noleggiata per recuperare oltre 2mila tonnellate di rifiuti tossici partiti dall’Italia e scaricati nel porto libanese di Beirut dalla Radhost il 21 settembre 1987. Un episodio che aveva aperto una crisi diplomatica su più  fronti con lo stesso governo libanese, destinatari di ingenti quantità di rifiuti prodotti dagli stabilimenti italiani.
Per evitare più gravi complicazioni, nel luglio del 1988, Vito Lattanzio, allora ministro per il Coordinamento della protezione civile – unitamente ai ministeri degli Esteri e dell’Ambiente – affidò le operazioni di decorticazione dei terreni contaminati, recupero dei fusti scaricati in Libano e rimpatrio in Italia ad un consorzio di società facenti capo alla Montedison Ecologia (Monteco). Direttore commerciale era Cesarina Ferruzzi, che in un’intervista rilasciata in quello stesso anno fece riferimento alla Cunski quale «nave utilizzata per trasportare i materiali necessari per la bonifica a Beirut» e ad una seconda nave «per effettuare il recupero dei fusti». La scelta, poi, ricadde sulla Jolly Rosso. Per entrambe le imbarcazioni seguiranno storie controverse.
Nel 2003 il collaboratore di giustizia Francesco Fonti, affiliato alla ‘ndrina Romeo di San Luca, darà le coordinate di tre navi «cariche di bidoni radioattivi» affondate a largo di Cetraro con l’ausilio della cosca Muto.

Le immagini del relitto fotografato dal rov della Nautilus durante le ricerche volute dal procuratore Giordano a largo di Cetraro

Le dichiarazioni – e successive ritrattazioni – non convinsero gli inquirenti finché il procuratore di Paola, Bruno Giordano non decise di riprendere in mano il fascicolo. L’indagine lo porterà, 12 settembre 2009, a ritrovare un relitto in una delle zone indicate dal pentito. Secondo la ricostruzione si sarebbe trattato proprio della Cunski, ma la tesi non verrà confermata da un’indagine parallela avviata dalla Procura nazionale antimafia, al tempo guidata da Piero Grasso, che si premurerà di dichiarare in diretta tv come a Cetraro «non ci fosse nessuna nave dei veleni». Di converso, palese fu l’approdo della Jolly Rosso lungo le coste calabresi.

Il caso del rinnovo del certificato di sicurezza

Dopo la spedizione libanese, la Jolly Rosso rimane in disarmo al porto di La Spezia. Un successivo viaggio verrà registrato direzione Malta, dove aveva sede centrale la Comerio Industry limited, società facente capo all’imprenditore lombardo referente italiano per la Odm.
A dicembre 1990 la nave – il cui nome nel frattempo è mutato in Rosso – viene ispezionata. Un documento del 6 dicembre della capitaneria di porto di La Spezia, a firma del capitano Francesco Donato, elenca una serie di «importanti deficienze». Negli alloggi dell’equipaggio si «denota marcata incuria e sporcizia», ma oltre a questo aspetto viene riscontrato che «lo scafo e la coperta, incluse le sovrastrutture, sono diffusamente interessati da vistosi e notevoli fenomeni rugginosi» e in particolare «la zona prodiera si presenta come un ammasso di ruggine». Motivi per i quali, in prima istanza, non viene rinnovato il certificato di sicurezza delle dotazioni d’armamento «anche a causa di un disarmo che eccede i tre mesi». In quella stessa data risultava però che il carico fosse già parzialmente imbarcato sulla nave.
Poco meno di 24 ore più tardi, un nuovo documento, sempre firmato dal capitano Donato, dispone il rilascio della certificazione che consentirà alla nave di intraprendere il viaggio per Malta dove arriverà il successivo 12 dicembre. 

Le testimonianze (e i timori) dell’equipaggio

Prima di giungere alla meta designata, la Rosso fa tappa a Napoli dove il marinaio Giovanni Borrelli, membro dell’equipaggio, chiede di sbarcare. Secondo quanto riportato nei verbali di sommarie informazioni di altri membri dell’equipaggio, «aveva paura di rimanere a bordo» per via delle condizioni della nave.
Interessante, in tal senso, quanto riferito il successivo 19 marzo 1997 dal cuoco della Rosso: «Avevo il sospetto che nel carico c’era qualcosa che doveva affondare con tutta la nave. […] Subito dopo l’incidente ho rilasciato una intervista in cui dicevo tutta la verità, cioè che è stato corrotto qualcuno per farci partire da La Spezia e […] in virtù di queste dichiarazioni sono stato licenziato in tronco dalla società Messina».
L’uomo sostiene di aver avuto sempre il sospetto che «la nave sia stata fatta affondare apposta perché, fra le altre cose, doveva andare alla demolizione, ma chi la doveva demolire non l’ha accettata perché aveva ancora a bordo residui tossici del carico precedente».
Un anno prima, il 20 marzo 1996, era stato sentito a La Spezia Silvano Zannello, il quale conferma che «le condizioni della nave non erano ottime». «Siamo partiti dal porto di La Spezia con destinazione finale Malta, con scalo intermedio a Napoli, con un carico pari al 50 per cento delle possibilità» riferiva l’ufficiale.
Nello scalo partenopeo sarebbero stati scaricati alcuni container, ma altri ancora erano stati caricati a bordo. Stessa operazione a Malta dove sarebbe stato trasbordato l’intero carico «e ricaricati 10-15 container pieni e molti vuoti di ritorno». Alcuni contenevano «materiale elettrico destinato a Porto Sudan». Luca Zembo, il mozzo, oltre che sulla Rosso vantava esperienze anche sulle navi Jolly Arancione e Jolly Bianco. «Tra l’equipaggio – racconta – non riuscivamo a capire l’utilità del viaggio anche perché il carico non giustificava il viaggio in considerazione del volume del carico […] a meno che il contenuto di quei pochi containers era di rilevante valore».

Dopo la tempesta nello Stretto di Messina la nave arriva ad Amantea

La nave durante la traversata

Nella stessa giornata la nave riparte da Malta con destinazione La Spezia prima e Port Sudan poi, con 9 container pieni (contenenti nylon, tabacco e prodotti per bevande) e altri vuoti. La sera del 13 dicembre attraversa lo Stretto mentre le condizioni del mare sono pessime. «Molte navi anche più grosse della nostra – ricorda Zembo – avevano sostato nello Stretto per ripararsi in attesa di affrontare il mare in condizioni più favorevoli». L’equipaggio «cominciò a bestemmiare» anche perché «non vi era tutta l’urgenza di arrivare a destinazione in considerazione del carico». Ma il comandante Luigi Pestarino decide di procedere nel viaggio. Una decisione che varrà a lui e agli allora vertici della Messina un’accusa poi archiviata per “naufragio” in base ad un fascicolo aperto dalla procura di Paola.
Il mattino dopo, intorno alle 8, la nave si trova a largo della costa di Falerna, a 15 miglia da Campora, quando lancia l’Sos per aver imbarcato un notevole quantitativo di acqua. L’equipaggio viene tratto in salvo da una nave che transitava nelle vicinanze mentre la Rosso conclude il suo viaggio sulla spiaggia di Amantea alle 14.05.

Le anomalie dei giorni successivi

Secondo i verbali, nessuno sarebbe salito sulla nave da quel momento fino a tutto il 15 dicembre. Il 16 dicembre viene stilato un rapporto di servizio dal vicebrigadiere della Guardia di finanza di Lamezia Terme, Comegna, dov’è riportato che «intorno alle ore 10.30 giungeva (il comandante rappresentante armatore della Jolly Rosso, ndr) Buccini e i tecnici accompagnati dal tenente Formante Vincenzo e Capo Vergine Antonio della capitaneria di porto di Vibo» chiedendo di salire a bordo per «rilevamenti tecnici».
Dal verbale successivo emerge un’anomalia: la chiave della cassaforte del comandante era già inserita nell’apposita serratura, a bordo. Circostanza inspiegabile se, come riportano gli atti ufficiali, fino a quel momento nessuno aveva avuto accesso alla nave.
A notarla l’anomalia, nell’esame degli atti alla procura di Paola, è l’istruttore di vigilanza della polizia municipale di Amantea, Emilio Osso.
Il 4 aprile del 2005 invia un’informativa al magistrato Francesco Greco per segnalare la circostanza rafforzante «l’ipotesi che qualcuno, in possesso della chiave della cassaforte, già prima della mattinata del 16 dicembre fosse già salito sulla Rosso».
La tesi trova conferma nel rapporto di servizio del 16 dicembre scritto dai sottoufficiali Vincenzo Formante e Antonio Vergine della capitaneria di Porto di Vibo Valentia dove viene aggiunto un particolare di rilievo: viene notato che il livello dell’acqua si era alzato rispetto al giorno prima poiché «personale della società» sarebbe «già salito a bordo dell’unità nella mattinata di sabato», ma nessun atto ufficiale attesta chi potessero essere i protagonisti del fatto.  
Dall’acquisizione dei registri di albergatori ad Amantea, effettuata dalla procura di Paola, emerge un unico albergo attivo nella località a dicembre 1990: l’Albergo Confortabile. Lì era stato ospitato il gotha della Messina durante i giorni che seguirono lo spiaggiamento della nave. Oltre a loro, i registri riportano solo i nominativi di altre due persone – che avrebbero pernottato lì nella notte tra il 17 e il 18 dicembre – originarie di Reggio e trasferitesi a Genova.

La scritta rimossa e gli ulteriori interrogativi

Nell’immagine a sinistra, del giorno dopo lo spiaggiamento, è presente la scritta sulla fiancata della nave

Dall’analisi delle foto della Rosso traspare un altro dettaglio. La scritta “Linea Messina”, riportata sulla fiancata della nave, sarebbe stata riverniciata e rimossa. Circostanza che non sottende particolari problematiche stante l’eventuale scelta della compagnia di far rimuovere la scritta. Piuttosto, desta perplessità che negli atti esaminati non si ritrovi alcunché sull’eventuale intervento per rimuovere la scritta dall’imbarcazione. Uno dei tanti dubbi che rimangono intorno alla Rosso.
Con l’archiviazione del procedimento vengono messi nero su bianco altri dettagli: la Rosso era dotata di uno «scafo a comparti e paratie stagne» tale che se l’acqua fosse entrata da un punto non si sarebbe estesa lungo tutta la nave. Nella proposta per l’assegnazione della medaglia d’oro al merito per Natale De Grazia, firmata dal procuratore Franco Neri il 22 maggio 2003, viene inoltre scritto della presenza di «penetratori» a bordo della nave, indicati dai marinai come «munizioni».
Come anticipato nel precedente approfondimento, il comandante della capitaneria di Vibo, Giuseppe Bellantone, interessandosi del caso, dopo aver effettuato personalmente gli accertamenti chiamò i vigili del fuoco vista la possibile presenza in stiva di materiale pericoloso. Dall’informativa del 16 giugno 1995 a firma del Capitano De Grazia emerge, infatti, che Bellantone richiese «accertamenti radiometrici» sulla Rosso.
Nell’atto emerge inoltre che la nave risultava iscritta nei registri della capitaneria di porto di Napoli al numero 1431. Negli stessi registri erano iscritte la C.te Rocio, affondata il 10 dicembre 1990, la Aso, affondata nel maggio del 1979, la Maria Pia M. affondata l’11 marzo 1986 e la Michigan affondata il 31 ottobre 1986. Ed, su queste basi, proprio De Grazia nota come il porto di Napoli potrebbe esser stata una delle stazioni d’imbarco «delle merci destinate a Malta, dove ha sede la Comerio Industry Ltd».
Elementi che si intrecciano all’interno di una narrazione labirintica che pare condurre sempre agli stessi punti. Tornano i nomi. Si incrociano gli atti, le vicende, le indagini. Rimangono inevase le risposte e fisse le tracce del lavoro di Natale De Grazia, dell’uomo prima ancora che dell’eroe. Una figura rimasta nel cuore di molti, ma che a molti altri, forse, poteva far comodo dimenticare. (redazione@corrierecal.it)

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