ROMA «Roma Capitale è nostra, l’abbiamo vinta». La frase è attribuita a Giuseppe Borrelli, imprenditore 51enne originario di Altomonte. L’avrebbe pronunciata dopo essersi aggiudicato l’appalto per lo smaltimento dei rifiuti nei campi rom della capitale all’epoca della giunta Raggi. Un affare milionario finito nelle mani di un uomo già sfiorato in passato dall’ombra dei rapporti con la criminalità organizzato e destinatario di due interdittive antimafia per i presunti contatti con le cosche di ‘ndrangheta Forastefano-Faillace e Bevilacqua-Abruzzese. Nel 2016, Borrelli si è trasferito nel Lazio, cercando di intessere relazioni utili ad espandere il suo business. «Non viene nessuno a controllare?», chiede – lo riporta l’edizione romana di Repubblica – in una conversazione intercettata dagli investigatori a Vincenzo Lucchetti, ritenuto dalla Dda di Roma il suo braccio destro. E Lucchetti lo rassicura: «Facciamo come vogliamo. In base ai formulari loro fatturano, più formulari mandiamo più c’è la fatturazione». Per la Dda di Roma ce n’è abbastanza per sostanziare l’accusa di aver creato un’associazione per delinquere dedita al traffico illecito di rifiuti, che avrebbe permesso a Borrelli di accumulare ingenti capitali e di ripulirli con l’acquisto di società e altri beni, grazie a una rete di fidati collaboratori calabresi, molti dei quali a loro volta contigui alle ‘ndrine, e di prestanome. L’inchiesta conta 23 indagati ed è partita dalla denuncia di una società del gruppo Acea e sfociata, alla luce delle indagini portate avanti dallo Sco, dalla squadra mobile di Latina e dalla polizia stradale del Lazio, in 8 arresti e sequestri per circa 3 milioni di euro.
Borrelli, finito in carcere, sarebbe il titolare effettivo della Moter srl, con sede ad Ariccia, e della Eco-ter, con sede a Roma. La prima, secondo la ricostruzione del sito Latina Tu, aveva vinto l’appalto per lo smaltimento dei rifiuti liquidi proveniente da un impianto oggi gestito da Acea, da cui è partita la denuncia di irregolarità. I liquami non sarebbero stati smaltiti in discarica, ma direttamente nella sede della Moter, dove venivano scaricati sui terreni e nelle fogne.
Secondo gli investigatori, Borrelli sarebbe l’imprenditore di riferimento della cosca Forastefano di Cassano. Grazie a una rete di prestanome avrebbe acquisito o creato aziende nel Lazio nonostante due interdittive antimafia avessero colpito le sue società (una a Cassano allo Jonio, l’altra a Rossano) nel 2016. Assieme a Borrelli – sempre secondo quanto riporta Latina Tu – sarebbe indagata anche l’ex compagna Giuseppina Forastefano (sorella del capoclan Antonio e legata in passato a Federico Faillace, altro elemento di spicco del gruppo ucciso in un agguato nel 2009). Per gli investigatori, l’imprenditore sarebbe legato alla cosca della Sibaritide e avrebbe un rapporto di vicinanza anche con il clan Bevilacqua-Abbruzzese. Dal passato spunta anche un coinvolgimento nell’inchiesta Omnia (datata 2007) della Dda di Catanzaro. E rapporti con la società di gestione della centrale Edison di Altomonte. Dalla Calabria, però, il gruppo Borrelli era riuscito ad arrivare a Roma Capitale, con un appalto che avrebbe portato a un fatturato giornaliero di 72 euro a tonnellata, circa 6.500 euro al giorno.
In carcere è finito Giuseppe Borrelli, cl. ’70. Ai domiciliari sono finiti Vincenzo Lucchetti; Giuseppe Bruno (c. ’69); Ioan Sosa (cl. ’75); Victor Hreapco (c.’60); Domenico Civale (cl. ’78); Carlo Buono (cl. ’70) e Salvatore Luigi Di Callo (cl. ’60).
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