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Migranti, da problema a risorsa per la Calabria. Ecco come

Sono in pochi a rimanere considerando la regione solo un approdo. Una diversa rete di accoglienza rappresenterebbe un riscatto per i territori. Greco: «Va gestita con un approccio giusto»

Pubblicato il: 16/12/2021 – 10:00
di Roberto De Santo
Migranti, da problema a risorsa per la Calabria. Ecco come

COSENZA Affrontare un fenomeno per certi versi epocale come quello dei flussi migratori perché frutto di un più complesso mutamento degli assetti economici e sociali globali, non può avere un approccio emergenziale. Un fenomeno, per questo, complesso e che merita l’attenzione massima di tutte le istituzioni per i risvolti anche positivi che potrebbero acquisire territori attualmente marginali come quello calabrese. Un territorio che sempre più è frontiera, ma solo come punto di approdo temporaneo, di quel mondo in movimento rappresentato dalle popolazioni in fuga dall’aree più difficili e fragili del pianeta: Africa subsahariana, Siria, Iran, Iraq ed Afganistan. Ma anche le zone più prossime alle coste calabresi: Tunisia, Marocco ed Egitto. Intere fette di umanità in marcia per fuggire da conflitti, carestie e povertà alla ricerca di un futuro diverso. Visi, storie e corpi che approdano in Calabria considerandola solo una tappa di un lungo percorso che li porterà nei territori più ricchi del Continente, principalmente il Nord Europa.
I dati sugli sbarchi nella regione, infatti, se sono cresciuti nel tempo non è cresciuto il numero di quanti alla fine decidono di restare in regione. In tre giorni – dal 20 al 23 ottobre – per fare un esempio sono state oltre 1.300 le persone giunte lungo le coste dello Jonio calabrese. E non è stato l’unico caso.

Fonte: ministero dell’Interno

Si stima che nel corso del 2021, dai dati delle Prefetture, sono arrivate in Calabria oltre 6mila persone, decisamente molte di più di quelle giunte nella regione nel corso del 2020 quando complessivamente sbarcarono 2.500 migranti. Ma gran parte di quelle persone concentrate principalmente nei Centri di accoglienza straordinaria, poi sono andate via. Il dato del ministero dell’Interno sulla presenza di migranti al 15 dicembre scorso nelle strutture calabresi d’accoglienza è pari a 3.638 persone di cui 2.313 nei centri Sai ed il resto nei centri di accoglienza.
Così finora la risposta delle istituzioni a questo fenomeno è stata improntata solo a contenere quanti sono arrivati in Calabria, così come in altre regioni, in strutture che a volte diventano ingestibili e da cui si scappa. Si punta ad un approccio Hotspot cioè a realizzare centri di prima accoglienza, senza creare reti di integrazione e valorizzazione vera di quel patrimonio umano che arriva sulle coste calabresi e che se ben regolata potrebbe divenire risorsa viva per un territorio che in materia di spopolamento soprattutto delle aree interne è in testa rispetto alle altre regioni del Paese. I numeri dei centri di seconda accoglienza garantiti dalla rete Sai sono decisamente bassi rispetto alle esigenze.

I dati del ministro dell’Interno, indicano che complessivamente in Calabria i posti letto sono pari a 2.975 e attualmente sono attivi 111 progetti. Lì possono essere ospitati solo coloro i quali godono già – dopo un lungo e travagliato iter – di un sistema di protezione, essendogli stato riconosciuto lo status di rifugiato, di minore non accompagnato o di soggetto con disagio mentale o disabilità fisica. Per gli altri ci sono solo i Cas, un limbo da cui spesso si scappa anche per mancanza di prospettive future. Ed incapacità della pubblica amministrazione di affrontare un fenomeno visto più come un problema che come una risorsa su cui scommettere.    

Greco: «Non è un fenomeno nuovo né un’emergenza»

Un cambiamento in atto su scala globale. Non nuovo e né emergenziale se gestito con un approccio giusto. Così Walter Greco, ricercatore universitario che insegna Sociologia Politica e Teorie e ricerche sulla globalizzazione all’Unical, definisce il fenomeno dei flussi migratori che interessano anche la nostra regione. Greco – che è anche il coordinatore del Corso di Alta Formazione in “Qualificazione dei servizi pubblici a supporto dei cittadini di Paesi terzi (Capacity building) – Ca.P.I.Re” – sostiene la necessità di «attrezzare una rete dell’accoglienza e dell’integrazione di alto profilo» comprendendo però «prima quanti hanno desiderio di restare». «Solo così – afferma – si potrà essere in grado di dare risposte e assistenza vera e organizzare il futuro delle nostre città». E sul “modello Riace”, il professore sottolinea la necessità di difenderlo e rilanciarlo visto che rappresenta un «allargamento e un potenziamento delle forme partecipative che sono alla base delle espressioni democratiche».

Walter Greco, insegna Sociologia Politica e Teorie e ricerche sulla globalizzazione all’Unical

Professore il fenomeno migratorio verso l’Italia che vede come sponda prediletta anche la Calabria sembra non arrestarsi. Esiste un’emergenza?
«Beh, guardi. Molte volte quello che si crede di vedere non è la realtà. I prestigiatori, in televisione ci fanno credere quello che vogliono ma, a guardare bene il trucco c’è sempre.  Noi, intendo l’Italia siamo al centro del Mediterraneo, e la Calabria lo è ancora di più: va da sé che se qualcosa si muove in questo “piccolo” bacino chiuso, prima o poi finisce per arrivare da qualche parte sulle nostre coste.  Quello che dovremmo tenere a mente – soprattutto noi calabresi – è che quello che vediamo accadere oggi sulle nostre spiagge, non è un fenomeno nuovo e, per certi versi, non è nemmeno una emergenza. Mi spiego, brevemente. Il Mezzogiorno d’Italia, e quindi la Calabria innanzi tutto, è da sempre una terra di approdi di popolazioni che solcano i mari, che arrivano qui, che stanno, si fermano si fondono fino ad aspettare un altro arrivo. Siamo il risultato di un mescolamento di geni che probabilmente non ha eguali in altre parti. Dalle antiche popolazioni preistoriche, alle colonie greche, ai romani, bizantini, arabi, normanni, albanesi, e così via fino ad oggi, chiunque è venuto qui ha contribuito a plasmare il territorio, a dare forma alla popolazione. Nelle radici di molti vocaboli dei nostri tanti dialetti, la storia rivive ogni giorno. No, davvero, mi creda: non è un fenomeno nuovo. E non è nemmeno una emergenza: perché bisogna stabilire in partenza cosa è una emergenza e come si misura.  Le dico, sull’onda degli allarmismi che passano in televisione, ad esempio, la gente si sente davvero sotto assedio e, se ne vuole la prova, la invito a fare un piccolo “esperimento”: provi a chiedere alle persone che incontra normalmente per strada, che abitano nella sua via, che frequentano gli stessi posti che le sono familiari, provi a chiedere loro di indicarle la percentuale di stranieri che vivono in Calabria. Ora, in assenza di una informazione precisa, la gente crea le proprie aspettative sulla base di sensazioni, cioè “se c’è l’emergenza immigrati, può darsi che sia io a non vederla ma, di certo diventa innegabile che ci sia. Le svelo il risultato.

I dati che un osservatorio privilegiato come quello dell’Ufficio Migrantes stima la presenza di stranieri regolari nella nostra regione in poco più di 100.000.  Laddove si deve intendere, per stranieri, tutta la popolazione che non è italiana quindi africani ma anche francesi, tedeschi, ecc. I cittadini dell’Unione Europea sono ben più della metà. Rumeni in testa, gli altri si disperdono in una nuvola di etnie ed identità che è difficile riuscire a seguire. Basta pensare che i primi 20 paesi di origine costituiscono la quasi totalità degli stranieri residenti. Il resto sono parti terminali di percorsi biografici che per chissà quale casualità si sono arenati qui da noi. Se è un’invasione, è molto più simile ad una armata Brancaleone che ad una divisione corazzata. La popolazione residente in Calabria, secondo l’Istat, è di circa 1.860.000 abitanti e se facciamo il rapporto coi dati dell’Ufficio Migrantes, vediamo che abbiamo 5 stranieri ogni 100 calabresi. Non sono tanti da far gridare all’invasione; forse non sono nemmeno pochi, si potrebbe obiettare: diciamo che sono quelli che sono. Il fatto è che, per ritornare al nostro piccolo “esperimento”, la gente interrogata dichiara che gli stranieri presenti sono il 20, il 30 o anche il 40%. Proprio in questi giorni, all’interno del Progetto Ca.P.I.Re, dal Laboratorio C.A.T.I., sto coordinando una survey telefonica, un sondaggio ad un campione rappresentativo della popolazione italiana, che indaga sul rapporto tra italiani e stranieri, e le risposte su questo punto acquistano connotati surreali. Misure e percezioni infondate che, poi, orientano comportamenti ed alimentano false paure. È un’emergenza? Lascio a lei ed alla pazienza di chi legge trarre le conclusioni».

Presenza dei migranti in Italia (Fonte: Ministero dell’Interno)

Secondo lei è possibile affrontare alla radice il fenomeno migratorio e quali interventi occorrerebbero attivare per ridurre i flussi?
«Viviamo in un mondo globale che diventa sempre più complesso, e di cui i flussi migratori sembrano essere la punta emergente di tutte le contraddizioni. Ovviamente lei mi pone una domanda individuando nel fenomeno migratorio un problema da “ridurre”. Le rispondo che, secondo me non ogni cosa sta nella nostra disponibilità. Le persone si muovono e, come specie umana, lo facciamo da che siamo scesi dal primordiale albero della savana e ci siamo messi a camminare. Siamo arrivati dappertutto “a piedi”. Oggi che tutto questo è reso più facile dai mezzi di trasporto, dalla loro rapidità e dalla sostanziale economicità, è ovvio che l’idea di spostarsi diventi meno “esotica”, più alla portata dell’immaginario collettivo. Certo, tutto ciò ha un significato qui in Italia ed uno diverso in Africa, o in Bangladesh, ma questo non sembra riuscire ad invertire una tendenza che, anche nei fatti, è innata. Noi, che un tempo davamo l’addio alle amate sponde “per terre assaje luntane”, oggi partiamo a bordo di veloci aerei, abbiamo lasciato ad altri le nostre valige di cartone piene di sogni. Ma i flussi non si fermano. Ed hanno un vantaggio. Come ho riscontrato in una recente ricerca, condotta assieme a diversi colleghi francesi, la globalizzazione è davvero riuscita a cambiare una cosa nel modo di spostarsi ossia che mentre una volta gli italiani – anche i calabresi, se vogliamo – quando arrivavano in America o in Europa, erano sostanzialmente diversi dalla popolazione del posto; adesso l’omogeneizzazione culturale sempre più spinta rende sostanzialmente simili i migranti e gli autoctoni. Soprattutto nelle giovani generazioni, assistiamo ad una tendenziale dilatazione entro uno spazio unico degli elementi culturali.

Un soccorso in mare di migranti giunti vicini le coste calabresi

Un sedicenne di Dakar, sostanzialmente, ha le stesse aspirazioni di un ragazzo del centro di Cosenza. Una volta giunti a destino, si vestono degli stessi abiti, partecipano alle stesse feste, mangiano gli stessi cibi globalizzati. Chiediamoci cosa è una squadra come il Paris Saint Germain agli occhi di un ragazzo marocchino e probabilmente scopriremo che non c’è nulla di diverso rispetto a quello che prova un ragazzo francese “DOC”. I nostri simboli più vincenti, le migliori squadre di calcio altro non sono che una modalità espressiva di una immedesimazione entro una cultura sempre più comune, come la musica, come la street art. Soprattutto i ragazzi, non chiedono il permesso di entrare e nemmeno di essere aiutati ad integrarsi perché si sentono, ed in fondo sono già parte di una cultura globale.  Credo che ciò che vediamo oggi, in tendenza diventerà sempre più simile ai risultati di questa ricerca, cioè i flussi, per tornare alla sua domanda, si supereranno solo perché cambierà il significato degli spostamenti. Mio padre emigrò in Germania, mio figlio andrà in Germania, se vorrà, e lo stesso accadrà dall’Asia o dall’Africa verso le altre parti del mondo. Ognuno porterà la propria soggettività, la propria identità ma, in senso metaforico, sarà come passare da una stanza all’altra e non più varcare la soglia di una nuova abitazione».

La Calabria è in prima linea sul fronte dell’accoglienza, l’Italia e l’Europa stanno facendo abbastanza per sostenere la regione?
«Ah, l’accoglienza. Eh, ma qui davvero torniamo indietro nei secoli, ai tempi di Ulisse e Nausicaa. Lo straniero qui da noi è sempre stato meritevole di attenzione. Suscita curiosità, ammirazione. Lo straniero nella nostra memoria storica non arriva mai come portatore di sventure, raramente è una minaccia. Siamo talmente abituati ad accogliere ed a confrontarci con chi sbarca che quasi non si fa caso al resto. Lo scafo in mare, una mano che chiede aiuto, il vagito di un bimbo, ecco, da noi fanno scattare meccanismi automatici di riconoscimento dell’altro come di una parte di noi stessi. Non credo che sia per via del fatto che siamo stati migranti pure noi, credo sia qualcosa di più profondo. Anche dal Veneto sono partiti milioni di emigranti. Non credo che da noi possa succedere una replica di quello che succede al confine tra Polonia e Bielorussia. O i fili spinati in Ungheria. Possiamo restare umani a prescindere. Poi, è vero, c’è la vergogna di San Ferdinando, ma è un’altra storia, quella. Mi chiedeva se l’Europa e l’Italia facciano abbastanza? Mah, credo che entrambe adesso abbiano altri pensieri. Però una cosa potrebbero fare, ma non tanto in aiuto alla Calabria. Potrebbero prendere consapevolezza di come i cambiamenti in atto si verifichino ad un punto di snodo della storia, di come essi siano strutturali e non incidentali. I fenomeni sono sempre più globali. Ma purtroppo l’unica voce che si leva è quella di Papa Francesco che, e lo dico da laico, è la sola persona che ha capito la vera natura dei problemi. Lui, certamente parla come personalità religiosa, è vero, ma le sue analisi e molte delle sue ricette sembrano essere assolutamente condivisibili da tutti o, perlomeno, da tutti quelli che abbiano ancora un minimo di cervello».

Uno dei tanti sbarchi di migranti avvenuti sulle coste calabresi

Ad affrontare spesso gli sbarchi sono gli enti locali che devono attivare rapidamente servizi per chi approda in Calabria. Sono attrezzati?
«Questo è il nodo veramente critico. È l’anello debole. In un mondo costantemente accelerato, una politica che non è in grado di reagire istantaneamente serve a poco. Una pubblica amministrazione che non riesca a capire e fare proprio lo sforzo insito nell’affrontare una situazione epocale non rende un bel servizio ai propri utenti o al territorio in genere. La conoscenza dei fenomeni e la loro complessità richiedono uno sforzo costante di aggiornamento. Credo che, in questo senso, il raccordo tra centri formativi e pubblica amministrazione possa giocare un ruolo decisivo».

A questo proposito l’Università può rappresentare un caposaldo per rafforzare la formazione del personale qualificato, sia nell’affrontare la prima accoglienza sia nel gestire i livelli di integrazione. Quale attività è stata avviata dal suo Ateneo?
«All’interno del dipartimento di Scienze Politiche e Sociali, anche con il supporto della Scuola Superiore di Scienze delle Amministrazioni Pubbliche, nell’Università della Calabria abbiamo messo a punto uno strumento che riteniamo possa essere un valido ausilio di aggiornamento nella lettura dei fenomeni legati all’immigrazione.  Il progetto in essere, denominato Ca.P.i.Re  (Capacitazione pubblica interventi regionali Calabria)  finanziato, grazie allo stimolo della Regione Calabria che è soggetto proponente, dal Fondo asilo, migrazione e integrazione (Fami) 2014-2020, si compone di tre azioni specifiche. Una didattica, attraverso un Corso di Alta Formazione, del tutto gratuito, che rilascia 12 CFU ai partecipanti; un’azione di ricerca sul campo tramite una survey con metodologia CATI e, infine lo sviluppo di un’ azione di ricaduta sul territorio attraverso il coinvolgimento in specifici protocolli d’intesa tra i partner istituzionali del progetto quali Comuni, Prefetture, Asp, ecc. Il Corso di Alta Formazione, le cui iscrizioni sono attualmente aperte, a partire dall’indirizzo https://cafcapire.unical.it/ , è un progetto molto ambizioso, che giunge alla seconda edizione e che ha richiesto una lunga preparazione. I numeri della prima annualità ce lo hanno confermato. Il corso, originariamente pensato per 50 partecipanti, ha da subito visto crescere il numero di interessati ed alla fine i partecipanti sono stati quasi 70. Questo ci ha convinto ancor di più di quanto sia essenziale la necessità di non fermarsi: bisogna capire il mondo che cambia. In questa epoca “liquida”, dove le certezze dei quadri interpretativi sfumano ancor prima di svelarsi completamente, nel lavoro come nella vita bisogna sempre di più sapere diversificare la propria cassetta degli attrezzi. Il Corso di Alta Formazione Ca.P.I.Re è un corso aperto principalmente ai dipendenti della Pubblica Amministrazione, centrato sull’analisi dei fenomeni migratori, in cui verranno analizzati gli aspetti giuridici, le leggi italiane ed europee e come la normativa plasma il fenomeno, lo connota. Ma contiene anche attente riflessioni sul rapporto migranti/società e sulle molteplici sfaccettature in cui esso si presenta. Una parte verrà riservata all’analisi delle esperienze estere, perché viviamo in un mondo globale, in cui le politiche sono globali e sarebbe colpevolmente elusivo pretendere di risolvere tutto stando a casa nostra. Avremo esperti stranieri che verranno ad esporci le caratteristiche di un fenomeno complesso e globale. L’immigrazione in Grecia, molto simile a quella italiana, e quella francese, decisamente più complessa, saranno entrambe oggetto di approfondimenti teorici ed empirici. Le iscrizioni terminano il 30 dicembre ed il corso inizierà nella seconda metà di gennaio. Sempre sul sito, si possono trovare tutte le informazioni».

L’ex sindaco di Riace, Mimmo Lucano che ha trasformato la città in un modello di accoglienza

Restando al tema dell’integrazione e dell’accoglienza, che idea si è fatta del modello Riace: aree interne e borghi desertificati in Calabria che potevano essere rivitalizzati dalla presenza di migranti. Poteva essere una soluzione?
«Parlare di Riace, adesso, sembra quasi come piangere sul latte versato. Riace (e Mimmo Lucano, che è tutt’uno col modello) ha avuto quanto meno il pregio assoluto di smettere di porre i fenomeni migratori come “il” problema e di riuscire a vedere più lontano del naso di parecchi policy maker.  Una risorsa, esattamente, una sorta di alleanza win-win in cui a guadagnarci sono sia le realtà locali che il sistema di accoglienza ufficiale, che i soggetti destinatari degli interventi: i rifugiati ed i richiedenti asilo.  È un progetto che necessariamente parte da un quadro di debolezza, ma è proprio lì che riesce ad attecchire, a prendere forma e ad imporsi: a diventare paradigmatico ed esportabile. Non credo che sarebbe potuto nascere in luoghi con economie floride e benestanti. Perché non è nato nella Pianura Padana, per esempio? Ma è un modello che va sostenuto, accudito e protetto, perché quello che non si dice mai a sufficienza, è che Riace, prima di essere un modello amministrativo o di governance, è un progetto politico, politico in senso ampio.

Un modello che ha al centro non una misura etica di accoglienza, non solo, ma di ribaltamento di una visione di partecipazione e convivenza. Da questo punto di vista, la visione di Riace è quella di un modello di allargamento e di potenziamento delle forme partecipative che sono alla base delle espressioni democratiche. Riace non dava certo fastidio perché due somarelli davano da lavorare a quattro stradini impegnati nella raccolta dei pochi rifiuti che un centro periferico riesce a produrre. Non si scomoda per così poco il ministro dell’Interno di una grande nazione, quale crediamo di essere. Pensiamo a cosa possa voler dire, ad esempio, che il nemico da sempre disegnato come brutto sporco e cattivo, in realtà non è altro che il frutto degli stessi problemi che condannano una consistente parte del mondo a convivere con guerre e carestie. Il punto è che se non si mette a tacere Riace c’è il rischio che tutti possano gridare che il Re è nudo. Che, forse, proprio a Riace si scopre che chi è rimasto e chi arriva, tutto sommato, possa stare dalla stessa parte. È questo che andava normalizzato in un piccolo comune sperduto alle pendici dell’Aspromonte. Riace iniziava a fare scuola e questo non è in linea con le esigenze del sistema di governance globale. Riace è stata smontata seguendo lo stile classico della peggiore sottocultura che questa terra è riuscita a creare. Non un confronto politico serio, in cui chi ha gli argomenti li mette in piazza, ma una serie di manovre fatte di formalismi giuridici. Mimmo Lucano di questo, in verità, è accusato, non d’altro. E vive il paradosso di venire giudicato con un metro amministrativo in una situazione che, ripeto, non lo è. Per questo appare sempre più incredulo, quasi disarmato davanti alle contestazioni che gli vengono addebitate. Mimmo Lucano verrà fuori da tutto, perché è vero che “ci sarà pure un giudice a Berlino” e che non tutto il senno umano è volato sulla Luna, ma il vero punto nevralgico è capire cosa faremo noi di quell’esperienza». (r.desanto@corrierecal.it)

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