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L’inchiesta

«Che posso fare? Non voglio morire di fame». La disperazione dei cosentini vittime di usura

Prestiti elargiti con l’aggiunta di interessi e in alcuni casi con oro e assegni ceduti in «garanzia». L’incubo dei “clienti” piegati dai debiti

Pubblicato il: 20/12/2021 – 16:34
di Fabio Benincasa
«Che posso fare? Non voglio morire di fame». La disperazione dei cosentini vittime di usura

COSENZA Luigi (utilizziamo un nome di fantasia) è in difficoltà economica. Ha una moglie invalida a carico e tre figli da mantenere: guadagna poco più di 1000 euro al mese e a fatica riesce ad occuparsi della sua famiglia. Fino a quando non decide di chiedere del denaro in prestito ad “un amico”. Un vecchio compagno di scuola a cui confessa il momento difficile che sta attraversando, i sacrifici compiuti e le molteplici rinunce. A gennaio 2019, incontra Carlo Porco, oggi sottoposto all’obbligo di dimora perché coinvolto nell’operazione condotta dalla Guardia di Finanza di Cosenza nei confronti di sette persone indagate a vario titolo per i reati di usura, esercizio abusivo del credito e spaccio di sostanze stupefacenti. L’indagato si mette a disposizione, offre all’amico 900 euro e impone di «pagare 150 euro al mese a titolo di interessi fino alla completa estinzione del prestito». Luigi accetta e si impegna a pagare puntualmente dopo aver ricevuto lo stipendio, e in caso di inadempienza il mese successivo salda le “rate” pattuite. Nel mese di maggio 2020, Luigi grazie ad un extra sullo stipendio riesce a saldare la restante parte del debito. «E sì sempre il lunedì te li porto, eh?», «cinquanta euro te li regalo e me ne porti duecento», dice Porco intercettato dalle Fiamme gialle. Secondo chi indaga, nella conversazione i due «fanno espresso riferimento da un lato all’importo capitale oggetto del prestito (900 euro), dall’altro, ad una ulteriore somma dovuta a titolo di interesse (200 euro) poi “scontata”.

Gli altri “prestiti”

«Conosco Carletto da un anno e mezzo, abbiamo fatto qualche scommessa insieme. E’ capitato in qualche circostanza di chiedere un prestito, a volte 50 euro altre volte 100». A parlare è un altro “cliente” di Carlo Porco che confessa agli investigatori di aver ricevuto delle somme di denaro in prestito dall’indagato e di aver restituito poi la stessa somma con l’aggiunta di un tasso di interesse. «Se mi prestava 50 euro dopo una settimana dovevo portargliene 60, se mi prestava 100 euro dovevo portarne 110». I finanzieri grazie alle captazioni registreranno diversi episodi di presunti prestiti a strozzo. In una occasione, un uomo disperato chiede del denaro a Porco. «Carlo che posso fare? Non posso morire di fame!» e l’indagato risponde: «a me non interessa niente, tieni qua 370 e 5…420…440…430». Porco concede il prestito ed uno sconticino: «Mi lasci dieci euro? 10 euro…». Il cliente fatica a pagare con regolarità e Porco si infastidisce: «la paghetta che ti ho dato stamattina, quella me la devi dare hai capito?».
Altre persone sentite dagli investigatori, ammetteranno di aver ricevuto denaro in prestito ma negheranno qualsiasi tasso di interesse. Dall’analisi delle conversazioni captate, tuttavia, sono «emersi numerosi contatti» tra Porco e i “clienti” che in molti colloqui fanno riferimento a “divise”, “sigarette” o “cose”. Termini che sarebbero stati utilizzati per mascherare lo consegna delle somme di denaro. «Sono senza una sigaretta»… «Oggi passo, più tardi passo, mi dai quelle cose?».

I prestiti concessi in cambio di «garanzie»

Sulle somme inferiori a 100 euro «non mi chiedeva interessi o garanzie». A parlare è uno dei presunti “clienti” di Pasquale Falvo, finito ai domiciliari, al termine dell’indagine delle Fiamme gialle di Cosenza. Gli investigatori raccolgono le confessioni di chi avrebbe ricevuto denaro in prestito, salvo poi restituire la cifra pattuita con l’aggiunta degli interessi. «Gli ho chiesto 700 euro, pagavo mensilmente ed alla fine ho restituito 900 euro riconoscendogli, di fatto, 200 euro a titolo di interessi». Per ottenere il prestito, vista la somma, Falvo avrebbe chiesto al suo interlocutore oro e tre orologi in garanzia, poi restituiti. Stessa sorte sarebbe toccata ad un altro presunto cliente che dopo aver ricevuto 2000 euro in prestito, avrebbe concesso in garanzia tre assegni del medesimo importo. Non tutti però hanno ricevuto in cambio i beni ceduti a titolo temporaneo. «Gli ho restituito 1000 euro in due tranche da 500 euro dandogli 100 euro in più quali interessi. Ad oggi non mi ha restituito l’oro che gli ho dato». A parlare è un conoscente di Falvo, che come altri aveva messo sul tavolo alcuni beni di proprietà per ricevere il denaro richiesto. «Ricordo di avergli dato una parure composta da un collier e bracciale in oro giallo, un anello in oro giallo con una pietra, un completo di anello e orecchini in oro giallo con delle pietre e altri orecchini».

«Non sto guadagnando, mi vergogno»

Molti dei prestiti concessi venivano restituiti nei tempi e con le modalità pattuite. Ma il Covid ha messo in ginocchio la maggior parte degli imprenditori e delle famiglie calabresi. E così, capitava a qualcuno di non riuscire a mantenere fede ai patti stabiliti. Intercettato, un uomo confessa a Pasquale Falvo il momento difficile che vive. Un lungo messaggio in cui, chi ha ricevuto il denaro, ammette di non poter far fronte al debito per via di sopraggiunti problemi economici. «Buongiorno Pasquà, mi devi scusare, mi vergogno, non sto guadagnando un centesimo, vediamo se lo prendo oggi e chiamo e ti dò. Mi devi credere sull’anima di mia mamma, ti posso assicurare che sono con cinque e dieci euro in tasca». I giorni passano e il debito resta insoluto. «Pasquà mi devi credere sono con sette centesimi in tasca».

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