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il ricordo

«Tra diritto alla vita e dovere di amare: la tragica scomparsa di Luigi Mamone»

Ho tentato per giorni di scrivere, trovare parole, un filo logico, la forza e la determinazione per mettere assieme qualche riga che potesse ricordarLo.Ma non si tratta di un pezzo come i tanti ch…

Pubblicato il: 21/12/2021 – 22:24
di Michelangelo Di Stefano
«Tra diritto alla vita e dovere di amare: la tragica scomparsa di Luigi Mamone»

Ho tentato per giorni di scrivere, trovare parole, un filo logico, la forza e la determinazione per mettere assieme qualche riga che potesse ricordarLo.
Ma non si tratta di un pezzo come i tanti che ho scritto con Lui; sì, certo, quando collaboravamo lo facevamo con passione, amore, onestà intellettuale, sfrontatezza, libertà di espressione e, molto spesso, controcorrente, fuori da schemi sociali, conformismi e stereotipi di sorta.
Qui il problema è ben diverso: non si tratta di sintesi, di argomenti da centrare o del numero di caratteri da incastonare; adesso il più grande ostacolo da affrontare è quello dell’emozione, quello di riuscire a scrivere senza condizionamenti, ad ampio respiro, e solo il Buon Dio sa quanto vorrei che ci fosse Luigi, qui, per darmi una mano a imbastire quello che è l’articolo più complicato che abbia mai chiosato.
Wish you were here, vorrei che fossi qui!: quante volte ho ascoltato questa canzone dei Pink Floyd che, oggi più che mai, sento vibrare dentro ripercorrendo al rewind una vita passata assieme all’amico a me più caro.
Non annoterò, però, i tanti pregi di Luigi, le Sue strabilianti competenze multidisciplinari, la Sua umanità e sensibilità, la Sua oceanica cultura, il Suo amore per il bello a tutto tondo o la Sua sete di sapere che nascondeva dietro una semplicità e umiltà disarmanti.
Una persona bella per davvero in ogni Sua espressione e sfumatura: sia stata quella del giurista, del colto giornalista, del fumettista, del manager sportivo o del letterato enciclopedico che riusciva a sciorinare a memoria canti danteschi e strofe di Leonida Repaci, ammaliando e cullando la platea con la Sua armonia gioiosa, fatta di una naturalezza che lasciava incantati.
Caso vuole che nell’ ultimo evento universitario organizzato assieme, Luigi abbia trattato un tema che, ahimè, non so quanto potrà mai cucirsi addosso alla Sua maestosa e indimenticabile figura: “Il diritto all’oblio. Esigenze di informazione giornalistica Vs il diritto alla privacy e alla presunzione d’innocenza”.
Del resto, le Sue volontà sono rimaste ben impresse ai posteri tra le silloge dei Suoi “Ultimi canti da Shangri-La”, una raccolta di poesie che condensa il Suo percorso di vita, i Suoi amori, le Sue passioni e i conflitti interiori; una chiosa raffinata e sfrontatamente cruda: un viaggio metafisico dove è possibile “trovarsi e perdersi nell’eterna dicotomia dell’amore e della morte, della vita che scorre e del tempo che va”.
Una lettura lucida, la Sua, fatta di coraggio e giammai di codardia, come nelle metafore raffinate con cui aveva dipinto le tenebre: “Adesso che ho il coraggio di guardare al tramonto in faccia al sole volto la schiena ai sogni chino il capo mi allontano fra barbaglii di luce. Sulle spiagge del tempo ardono i fuochi, dietro me sento la morte. Mistero, Pathos, sapore di mandorle amare. Alla soglia della porta giunti all’omega leverò alta la coppa di cristallo per brindare con te, Morte. Poi scaglierò la coppa dentro il fuoco e solo allora canterai vittoria. L’eco nel vento raggiungerà i monti dove si perde il passato dei padri. Dirà loro che il figlio sta arrivando stanco del viaggio, stanco d’essere andato senza meta, stanco d’andare ancora senza pace. Noi che fummo beffati dalla vita e che paghiamo di persona il sogno di una verde primavera, solchi alle mani, rughe intorno al viso, siamo quelli di sempre che andiamo all’imbrunire incontro al sole, gioiamo al fremito del vento, calpestiamo nei viali foglie morte come noi che morti siamo dentro ricordando fanciulle amate invano”.
Dicevamo della bioetica.
Nell’approccio occidentale, ancora troppo abbottonato alle convenzioni, si sta iniziando a disquisire di tematiche prima tabù; un prestito linguistico adattato dal lessico polinesiano tapu, rivolto a descrivere etichette, comportamenti e consuetudini che non devono essere infranti.
Ed è così che si è iniziato a parlare, ad esempio, del diritto al suicidio assistito o di quello all’aborto, andando a collidere con dogmi e stereotipi di “sepolcri imbiancati” miopi quanto voraci.
Eppure se si va indietro di qualche anno, le accezioni karakiri o banzai rimandavano a gesti estremi di onore ed eroismo delle comunità orientali dove, al contrario, la mancata immolazione avrebbe comportato vergogna e disonore.
Di esempi ce ne sono a iosa, alle volte con interpretazioni diametralmente opposte: Allahu akbar è una esclamazione per i musulmani né più né meno come il nostro “il buon Dio è grande”, salvo che sia urlata da uno jihadista prima del suo sacrificio in un attacco terroristico.
Nell’antica Roma i soldati preferivano togliersi la vita piuttosto che diventare schiavi; ai tempi delle colonizzazioni, scesi dalle navi negriere, gli uomini incatenati preferivano il suicidio piuttosto che adattarsi a condizioni di vita disumane.
Nelle guerre mondiali i nostri paracadutisti sceglievano di immolarsi, perchè rimanere prigionieri del nemico avrebbe comportato disonore: memento audere semper e il teschio con una rosa in bocca erano il simbolo della X flottiglia MAS della nostra Regia Marina; gli uomini dell’intelligence avevano in tasca la loro extrema ratio: una capsula di cianuro.
Andando ancora indietro, ai padri della filosofia e della δημοκρατία greca, Socrate preferì non sfuggire alla morte, bevendo liberamente la cicuta, perché “…è meglio subire un’ingiustizia piuttosto che commetterla…” e “la morte non è un male perché o è un sonno senza sogni, oppure dà la possibilità di visitare un mondo migliore…”, si legge nel dialogo “Critone” di Platone.
Luigi, che amava questi parallelismi, non era solo un cultore della filosofia, della storia o della letteratura, ma si era ben introdotto nelle scienze forensi e conosceva in modo approfondito, ad esempio, gli aspetti del profiling e le tante dinamiche dietro un’analisi della scena in presenza di un suicidio.
Conosceva la differenza tra un evento di impeto rispetto a quello premeditato e le conseguenti modalità di esecuzione di quel tragico gesto; e la scelta di Luigi è stata lucida in tutta la sua assurda progettazione ben sapendo cosa sarebbe accaduto dopo.
Ben consapevole che chi lo avrebbe soccorso sarebbe stato Gaetano, togliendogli il cappio dal collo violentato dai segni pergamenacei.
Quel ragazzino, mentre cercava di rianimare chi, qualche ora prima lo aveva amorevolmente baciato dicendogli “ti voglio bene”, stava già comprendendo in quegli attimi di essere diventato, di punto in bianco, un uomo tutto d’un pezzo, il faro della famiglia.
Mi scuso per il cambio di registro e per la cruda freddezza con cui sto trattando questi aspetti che tanto mi fanno male, ma ciò è necessario perché Anita, Gaetano, Federica e Giuseppe comprendano lucidamente cosa è accaduto e rileggano in questo gesto estremo il coraggio di un padre e di un marito che non ha esitato rinunciare alla propria vita nella sciocca, annebbiata, distorta presunzione che così facendo avrebbe cautelato quegli affetti.
Luigi era, purtroppo, andato in burn out, accecato da una ferita profonda che si portava dentro l’anima da troppi anni; terribilmente amareggiato per l’ennesima stilettata di un mondo che tanto aveva amato; atterrito per una vicenda professionale che lo aveva ridotto in un cul de sac senza essere riuscito a trovare un giudice neppure a Berlino.
Ma Luigi era troppo confuso, amareggiato, ferito, smarrito per comprendere che tutto si sarebbe risolto; del resto, il mondo là fuori aveva altro a cui pensare.
Fuori dal focolare domestico, purtroppo, perdiamo la solidità di quella “bolla di sicurezza” che ci ossigena, ci regala linfa quando più ne abbiamo bisogno e Luigi, forse per colpa un po’ di tutti quanti noi, a un certo punto si è sentito solo, perso in un tunnel buio senza una via d’uscita.
Ecco, allora, in quell’astratto concetto bioetico del diritto alla vita, il reale significato del bene incommensurabile da proteggere a costo di Se stesso: l’amore per la Sua famiglia.
Ecco l’intepretazione di quel “trovarsi e perdersi nell’eterna dicotomia dell’amore e della morte, della vita che scorre e del tempo che va” (da Trovarsi e perdersi).
Luigi Caro i Tuoi insegnamenti cammineranno sulle nostre gambe e la Tua poesia viaggerà da un lato all’altro della Terra, da qui fino a Shangri-La, urlata dalle nostre voci:
“Tornarono i cavalieri ricoperti di ferite, con le sciabole spezzate, sulle spoglie del re. Tornarono i cavalieri, i cavalli bianchi al passo, trasportando sopra un carro le spoglie del re. Tornarono i cavalieri, nella notte senza luna, al castello illuminato per accogliere il re” (da L’ultimo canto di morte a Shangri-La)

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