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il processo

“Villa Verde”, il buen retiro degli uomini della mala per sfuggire al carcere

Attesa la sentenza del Tribunale di Cosenza chiamato a giudicare quattro imputati, ritenuti parte di un “sistema” per agevolare i boss

Pubblicato il: 25/12/2021 – 13:02
di Fabio Benincasa
“Villa Verde”, il buen retiro degli uomini della mala per sfuggire al carcere

COSENZA Un’ultima udienza prima della sentenza. Volge al termine il processo in corso al Tribunale di Cosenza e legato all’inchiesta “Villa Verde”, sul presunto sistema” adottato per permettere ai boss di sfuggire al carcere attraverso false perizie mediche ottenute con la connivenza, secondo l’accusa, di medici, avvocati e pubblici ufficiali. Il Pm Stefania Cardarelli, al termine della requisitoria, aveva invocato pene severe per i quattro imputati. Per Luigi Arturo Ambrosio, medico, legale rappresentante della clinica “Villa Verde” sono stati chiesti 10 anni di reclusione; per l’altro medico Gabriele Quattrone 5 anni; nei confronti di Franco Antonio Ruffolo, psicologo in servizio nella clinica “Villa Verde” di Donnici l’accusa ha chiesto una condanna a 9 anni, infine per Caterina Rizzo, sposata con Antonio Forastefano, considerato capo dell’omonima cosca, è stata chiesta la pena a 4 anni e mezzo. Dopo la discussione degli avvocati della difesa: i legali Nicola Rendace, Innocenzo Palazzo, Vincenzo Belvedere e Carlo Monaco, resta ancora l’ultima arringa che spetta all’avvocato Franco Sammarco, prima della pronuncia della sentenza prevista a Gennaio 2022.

L’indagine “Villa Verde”

«Se il boss vuole evitare il carcere e il regime duro del 41 bis ci sono due strade che possono essere intraprese una è quella della collaborazione l`altra è sanitaria. Quest`ultima in particolare è stata seguita dagli esponenti della cosca Forastefano». Queste le parole utilizzate dall’allora procuratore di Catanzaro Vincenzo Antonio Lombardo, nel corso della conferenza stampa indetta per illustrare ai giornalisti i particolari dell`operazione denominata “Villa Verde”. Dall`indagine – secondo l’accusa – sarebbe emerso uno spaccato di complicità tra professionisti ed esponenti di primordine delle organizzazioni criminalità per ottenere benefici. Un circuito di relazioni tra professionisti e boss.

Le confessioni di Mantella

Il collegio difensivo ha tentato – nel corso del procedimento – di smontare le tesi accusatorie mosse dai collaboratori di giustizia sentiti come testi nel processo. Villa Verde, clinica psichiatrica a Donnici, nel comune di Cosenza era diventata una sorta di buen retiro per gli uomini della mala che preferivano la casa di cura al carcere. Andrea Mantella, collaboratore di giustizia, ha confessato di esserci finito dentro grazie ai buoni “uffici” operati dagli avvocati e corrompendo periti che avallarono la sua simulata depressione. «Essendo detenuto con un reato ostativo – spiega Mantella – non potevo uscire dal carcere se non per una ragione di incompatibilità per motivi di salute». Ma la depressione «era tutta una barzelletta. Tutti in carcere fanno i depressi, si fanno crescere la barba, stanno con le stampelle. Poi escono e li trovi che vanno a giocare a tennis». Il racconto di Mantella è simile a quello reso dal pentito Samuele Lovato, in passato intraneo alla cosca Forastefano attiva nella Sibaritide. «Essendo detenuto con un reato ostativo – spiega Mantella – non potevo uscire dal carcere se non per una ragione di incompatibilità per motivi di salute». A Villa Verde non si sentiva mai solo e addirittura avrebbe ricevuto la visita dei suoi uomini: Salvatore Mantella, Salvatore Morelli, Domenico Macrì, Domenico Tomaino, Antonio Pardea.

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