VIBO VALENTIA Il collegio del Tribunale di Vibo Valentia lo scorso 23 dicembre ha rigettato l’istanza di revocare la misura cautelare in carcere presentata dagli avvocati difensori di Giancarlo Pittelli, noto penalista di Catanzaro, ed ex parlamentare di Forza Italia, imputato nel processo Rinascita-Scott con l’accusa di concorso esterno. Pittelli si trovava ai domiciliari quando ha inviato una raccomandata al ministro Mara Carfagna chiedendole di aiutarlo “in qualunque modo”. Questo avveniva lo scorso 8 ottobre.
Pittelli scrive: «Sono detenuto in ragione di accuse folli formulate dalla Procura di Gratteri ed asseverate dalla giurisdizione asservita». L’ex parlamentare avverte che si sta preparando «una nuova istanza nel merito e un’interrogazione parlamentare che Vittorio Sgarbi proporrà quale primo firmatario».
Aggiunge che «Piero Sansonetti, che non mi ha mai abbandonato, conosce tutti gli atti e i particolari dell’inchiesta a mio carico».
La Segreteria del ministro Carfagna manda la lettera all’Ispettorato di Pubblica sicurezza di Palazzo Chigi che la inoltra a sua volta alla Squadra Mobile di Catanzaro e infine giunge sul tavolo del procuratore Nicola Gratteri. Dal canto suo, la Procura chiede al collegio del Tribunale di Vibo Valentia, che presiede il processo Rinascita Scott, un aggravamento della misura cautelare. Richiesta accolta dalla terna del collegio – Brigida Cavasino, Gilda Romano, Claudia Caputo – e il sette dicembre Pittelli torna in carcere e viene mandato a Melfi.
Il 20 dicembre scorso i difensori di Pittelli, Salvatore Staiano e Guido Contestabile, hanno chiesto al collegio dei giudici di revocare la misura cautelare in carcere. Hanno sostenuto che la lettera al ministro, anzi all’ex amica, potesse essere inviata. Hanno descritto Pittelli come un uomo professionalmente, moralmente e finanziariamente distrutto che aveva chiesto aiuto, che si rivolgeva alla parlamentare, non al ministro. Hanno parlato di «Parkinson incipiente».
Ma i giudici non hanno revocato la propria decisione. Hanno spiegato che «il regime degli arresti domiciliari è del tutto differente da quello della custodia carceraria». Visto che il carcere è una misura più afflittiva dei domiciliari «il legislatore interviene a disciplinare in maniera specifica diversi aspetti della vita dei soggetti ristretti in strutture penitenziarie, quali ad esempio i colloqui e le comunicazioni con l’esterno».
«A ciò si aggiunga – hanno scritto – che la corrispondenza e le comunicazioni verso l’esterno da parte della persona ristretta nell’istituto penitenziario, sono naturalmente tracciabili, mentre le comunicazioni del soggetto sottoposto al regime degli arresti domiciliari, laddove non precedute da apposita autorizzazione, sfuggono a qualsiasi possibilità anche astratta di controllo». Dunque Pittelli, che si trovava ai domiciliari quando ha inviato la lettera alla Carfagna, era sottoposto a restrizioni nel comunicare con l’esterno.
Non solo Pittelli ha trasgredito a regole imposte ma «il contenuto della missiva dimostra un aggravamento delle esigenze cautelari» perché l’imputato, spiegano i giudici, «nel contenuto della missiva, fa riferimento a contatti con più soggetti (anche diversi da membri del Parlamento) e all’intenzione di intraprendere iniziative volte ad incidere sullo svolgimento del processo». (a.truzzolillo@corrierecal.it)
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