VIBO VALENTIA Dopo la condanna, definitiva, per gli omicidi di Antonio Bevilacqua e Nicola Abbruzzese, il presunto boss di ‘ndrangheta delle Preserre vibonesi, Nicola Emanuele, classe 1972, in carcere dal 29 maggio del 2019, tenta ora la via della Cassazione per ricorrere contro l’ergastolo e “l’inammissibilità” con la quale la Corte d’Appello di Salerno, lo scorso 29 settembre 2021, ha giudicato l’istanza di revisione della sentenza dell’8 luglio del 2014. Secondo i legali di Bruno Emanuele, gli avvocati Giuseppe Di Renzo e Vincenzo Galeota, la Corte «ha travisato la portata dell’istanza, ritenendola funzionale a fornire una rilettura postuma dell’istruzione probatoria». La difesa, invece, ne chiedeva «un’adeguata valorizzazione nell’ambito del primigenio quadro valutativo». Secondo gli avvocati, dunque, la Corte d’Appello «è andata oltre il perimetro potere decisorio proprio della deliberazione preliminare».
Parte integrate dell’istanza di revisione sono gli esiti di una nuova perizia e le dichiarazioni contrastanti di due collaboratori di giustizia, Tonino Forastefano, boss di Cassano che si autoaccusò dell’omicidio compiuto insieme ad Emanuele e Domenico Falbo. L’istanza dei due legali parte dalla ricostruzione dell’omicidio di Nicola Abbruzzese, avvenuto a Cassano allo Ionio l’8 giugno 2003. Secondo la consulenza dell’accusa, infatti, uno degli assalitori «sarebbe sceso dalla vettura, nel corso dell’agguato, e armato di Kalashnikov avrebbe esploso una serie di colpi all’indirizzo della vittima, ancora a bordo dell’auto». Ricostruzione che – secondo la difesa – contrasta con quanto dichiarato da Forastefano secondo il quale «Emanuele avrebbe iniziato a sparare quando ancora la loro vettura seguiva quella di Abbruzzese, ma il suo fucile automatico si sarebbe inceppato. A quel punto la vittima sarebbe scesa dall’auto ed Emanuele avrebbe continuato a sparare con il suo Kalashnikov rimanendo, però, all’interno dell’auto».
Il fatto storico contestato dai due legali è poi la dinamica dell’agguato ricostruito in sentenza, dando riscontro alle dichiarazioni del pentito Forastefano, attraverso una nuova perizia che – secondo la difesa – fornirebbe elementi divergenti rispetto alla ricostruzione della sentenza. Sarebbero infatti due i gruppi di bossoli che conducono all’esplosione da due armi diverse, appartenenti però alla stessa marca e allo stesso modello; le armi utilizzate non sarebbero esclusivamente Kalashnikov e un fucile calibro 12 come sostenuto da Forastefano, ma ben tre: un fucile da caccia calibro 12, e due carabine a canna rigata della stessa marca (ossia due Kalashnikov). Gli elementi, inoltre, evidenzierebbero uno spostamento «dell’esecutore o degli esecutori attorno alla vettura, ferma per aver impattato contro un muretto», un’azione di fuoco “in movimento” che contrasterebbe – secondo la perizia – con la posizione statica raccontata da Forestefano che indicava lo sparatore sempre all’interno della vettura. Insomma, l’apporto della perizia – secondo la difesa – incide, innovando, «sulle circostanze fattuali, totalmente inesplorate nel giudizio di merito».
Per quanto riguarda, invece, l’omicidio di Antonio Bevilacqua, avvenuto il 27 febbraio 2004, nell’ordinanza di revisione i due legali avevano sottolineato ulteriori elementi di criticità influenti tra cui la dichiarazione di Forastefano su Emanuele, descritto come «non particolarmente bravo con le armi» e gli ulteriori riscontri del perito secondo i quali non «sarebbero state eseguite sperimentazioni (…) per appurare la presenza di eventuali più sparatori sulla scena». Altro elemento segnalato dalla difesa di Emanuele è che il collaboratore Falbo, in fase di indagini preliminari, non abbia reso alcuna dichiarazione accusatoria nei confronti di Bruno Emanuele, mentre lo accuserà solo nell’interrogatorio del 28 marzo 2007 riconducendo l’omissione «a motivi legati alla particolare pericolosità del correo». Gli avvocati Di Renzo e Galeota hanno segnalato, infine, che in un procedimento di cui sempre Forastefano ha reso dichiarazioni a carico di Emanuele, la Procura di Catanzaro ha richiesto la sua assoluzione, sollecitando «l’esclusione dell’attenuante della collaborazione nei confronti di Forastefano, indotta dalla effettiva mancata dissociazione del collaboratore».
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