CROTONE «Cercare la libertà, in una terra come la nostra, è la cosa più coraggiosa che c’è». Francesca e Luca presentano così DaMe – social housing, un progetto «cucito» dall’incontro tra i loro sogni, esperienze e competenze.
Si tratta di un “social housing” nato lo scorso 24 dicembre 2020. Uno spazio «con camere private e servizi in condivisione per donne dai diciotto anni in su, di qualunque provenienza o età, anche con bambini». Non una “casa rifugio”, ma un luogo dove chi arriva intraprende un percorso, che può durare dai sei ai dodici mesi, per «ritrovare il suo spazio» e diventarne protagonista in un’ottica di scambio e integrazione.
Sorprende quasi scoprire una realtà simile nel pieno centro di Crotone, a pochi passi dal lungomare.
La storia parte proprio dalla città pitagorica dove sia Francesca Zimatore, oggi 28enne, che Luca Greco, 43 anni, si sono conosciuti. Era il 2017 e il loro pare un incontro in qualche modo scritto, come raccontano al Corriere della Calabria.
«Ho vissuto tanti anni nella violenza, da adolescente e per un lungo periodo della mia vita», dice Francesca. Lungo si rivela anche il percorso che passo dopo passo la aiuterà ad uscire da un isolamento imposto, per riappropriarsi della propria vita. Nasce in lei «un desiderio di fare qualcosa per le altre donne e ragazze», che abbiano vissuto esperienze simili o che solo sentano il bisogno di tornare in contatto con una libertà persa, negata o mai vissuta.
«È faticoso ricostruirsi una vita quando tutto sembra essere andato perduto. Una vita oltre la violenza o qualsiasi condanna ti sia capitata». Ma Francesca sa anche che si può rinascere. Ed è proprio durante questo percorso che incontra Luca, al tempo parroco di Crotone. «Da sempre – racconta – mi sono impegnato a costruire un futuro e una speranza per il nostro territorio. Dopo gli studi, ho deciso di tornare in Calabria per seguire il mio percorso», che partiva dalla scelta di prendere i “voti” fatta a 24 anni.
Le loro storie si incontrano e nasce così DaMe. «Non so – riflette Luca – se l’incontro personale abbia facilitato l’incontro di progettualità di vita e di sogno o se trovare questo sogno in comune ci abbiamo reso facile incontrarci come persone».
La prima ragazza, Maria, era già pronta per entrare nel percorso a febbraio 2020. Poi è scoppiata la pandemia che non solo ha fatto slittare l’avvio del progetto, ma ha reso più difficile esplicarne il più profondo senso di scambio e socialità.
DaMe è un nome con un triplice significato tra cui quello che incarna l’essenza del progetto nato circa due anni fa dopo la partecipazione ad un bando di Fondazione con il Sud.
«L’housing – spiega Luca – nasce da un’idea di condivisione: far vivere accompagnati un’autonomia in relazione con gli altri». Elemento, questo, che la differenzia da una casa rifugio per donne vittime di violenza. «Noi siamo lì insieme agli operatori per sostenere la loro autonomia e renderla proficua. Per questo accogliamo donne con storie diverse, che provengono da diverse realtà. E loro trovano una reale possibilità per dire “mi faccio da me, con le mie forze”».
La facciata è color cielo con delle rondini disegnate. Qui si incontrano storie diverse e comuni all’un tempo. Donne che cercano di riannodare il filo della propria vita o che si lasciano dietro situazioni e contesti famigliari opprimenti. Il cuore pulsante si trova all’interno di un “condominio sociale”; di un immobile di proprietà della Diocesi che prima di finire in disuso per circa vent’anni ospitava un asilo gestito dalle suore. «Il nostro è anche un progetto di riqualificazione urbana e il primo anno lo abbiamo dedicato quasi interamente a restaurare il bene che ci ospita», dice Francesca. L’housing può accogliere fino a dodici donne per volta. Sono però previsti anche percorsi particolari con più ore o soggiorno completamente gratuito «come sostegno alla povertà abitativa» per «facilitare un reinserimento sociale che sia quanto più completo e pieno». Nell’immobile sorgono anche altre attività che compongono una “Casa di città” «dove diverse realtà possono svolgere le loro attività a prescindere da noi». In altre parole è «uno spazio a disposizione della città dove ci sono anche associazioni, enti privati e una ludoteca con vari servizi». Le donne che usufruiscono dell’housing possono trovare spazi loro e gestire direttamente l’accoglienza delle altre persone affinché ci sia uno scambio. «Spesso – dice Francesca – è la solitudine quella che non fa rinascere. Qui vogliamo abbattere i confini della città».
Le attività sono gestite dalla cooperativa Kairos composta da sette persone che collaborano al progetto. Insieme a loro altri cinque operatori esterni.
Iniziative che variano da corsi di yoga e scacchi fino a percorsi di formazione professionale svolti in convenzione con altri enti. «Più che un centro d’ascolto siamo una possibilità concreta».
Tra le persone che hanno abitato DaMe ce ne sono state molte provenienti da fuori regione, alcune anche dall’estero. «È bello – dice Francesca – pensare che Crotone e la Calabria potrebbero diventare punto di riferimento, in questi percorsi, anche per altri territori». Invero, il carattere innovativo del progetto, pare – almeno dopo la conclusione di questo primo anno di attività – aver ottenuto maggiori riscontri più fuori che dentro i confini regionali. «I bisogni vanno resi consapevoli. Il bisogno di autonomia – sottolinea Luca – in Calabria c’è solo che forse non viene ancora cercato come dovrebbe. Parlo dell’autonomia che va contro la mentalità imperante», che spesso inibisce l’approccio a progetti che aiutano a guardare oltre le mura figurate e reali di taluni contesti. «L’autonomia di queste persone da contesti famigliari un po’ incatenanti o determinate situazioni personali manca particolarmente in questa regione. Le stesse ragazze, senza il sostegno della comunità, spesso fanno fatica ad aprirsi intraprendendo questi percorsi. Fanno fatica a fare un passo in realtà molto semplice».
Difficoltà comuni in una regione che deve ancora aprirsi a percorsi che nella sostanza appaiono già essenziali. «Abbiamo proposto al Comune servizi in forma gratuita senza avere grande riscontro». Diventa così più difficile far conoscere il progetto a donne e ragazze che potrebbero averne bisogno, ma che ignorano l’esistenza di una realtà simile sul loro territorio. «Siamo un’oasi che non ha troppi ponti affinché queste donne possano raggiungerci. – dice Francesca – Alcune donne, ad esempio, ci hanno raccontato di essersi rivolte al Comune o ad altri enti, ma nessuno aveva parlato loro di questo percorso o ci avevano presentati come una casa rifugio». E invece DaMe propone dei percorsi strutturati e «non lavora sulle emergenze», rimarca Luca. «Su Crotone si è spesso più intenti a risolvere le emergenze e così non ci si prende il tempo di progettare». Esempio pratico è l’emergenza abitativa, che «non viene percepita come un qualcosa dove investire veramente. L’housing, in tal senso, «è una modalità nuova e del futuro perché abbatte costi, impatto ambientale, separazioni, isolamento: tende verso la cultura della vera condivisione fattiva». (redazione@corrierecal.it)
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