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Un anno di sbarchi a Roccella Jonica. «Emergenza gestita senza urlare e coltivare tensioni»

Nel 2021 le persone arrivate nel porto della Locride sono 4.790. Il racconto di sindaco e operatori: «Lavoriamo per dare dignità all’accoglienza»

Pubblicato il: 02/01/2022 – 10:29
di Francesco Donnici
Un anno di sbarchi a Roccella Jonica. «Emergenza gestita senza urlare e coltivare tensioni»

ROCCELLA JONICA «Stiamo assistendo a un paradosso mai visto prima nella storia dell’umanità. Mentre miliardi di persone sono state effettivamente bloccate dal Covid-19, decine di milioni di altre sono sfollate all’interno dei loro stessi Paesi». La frase utilizzata dal direttore generale dell’Oim (Organizzazione Internazionale delle Migrazioni), Antonio Vitorino in occasione della presentazione del World migration report 2022 riassume quanto sta accadendo nel mondo dal circa due anni a questa parte. In particolare, nell’anno appena passato, agli innumerevoli conflitti internazionali già in atto si sono aggiunte la crisi in Afghanistan e la malcelata riluttanza di alcuni Paesi dell’Unione europea alle migrazioni che attraversano i loro confini.
Dal 1970 al 2020 il numero di migranti a livello internazionale è cresciuto da 84 a 281 milioni. Un inarrestabile flusso di vite che quest’anno, molto più degli anni passati, ha interessato la Calabria e in particolare il porto di Roccella Jonica. Dall’inizio del 2021 allo scorso 28 novembre si sono registrati in tutto 51 sbarchi (55 quelli complessivi nella Locride contando quello avvenuto a Bianco lo scorso 28 dicembre). In totale sono arrivate al porto “delle Grazie” 4.790 persone. Il giorno “nero” è stato lo scorso 21 ottobre quando, a poca distanza l’uno dall’altro, si sono contati sei sbarchi. Più di mille persone nell’arco di una settimana. Non una vita è andata perduta anche grazie al lavoro di Istituzioni, Autorità e cittadini che da aprile in poi si sono trovati a fronteggiare un’emergenza che andava oltre i mezzi a disposizione.
Non sono mancate le difficoltà, ma nemmeno la costanza nel realizzare l’obiettivo che la catena di operatori impiegati nelle strutture si era prefissato: dare, quanto più possibile, dignità all’accoglienza. «Dico sempre che non possiamo fare molto: siamo preparati, ma non sempre ci sono le condizioni migliori per poter operare. Facciamo del nostro meglio per rendere più caloroso l’arrivo delle persone. Non pensiamo di essere eroi del quotidiano; ci impegniamo per chi ne ha più bisogno». Concetta Gioffrè, presidente del comitato “Riviera dei Gelsomini” della Croce Rossa Italiana, al Corriere della Calabria, descrive uno degli anni più intensi vissuti lungo le coste della Locride.

«Un’emergenza gestita senza urlare e coltivare tensioni»

Roccella Jonica, 21.10.2021 (foto: F.Donnici)

«Non abbiamo mai avuto episodi di intolleranza o insofferenza. La popolazione è stata puntualmente informata di quello che accadeva. E poi, sono ormai quasi quindici anni che Roccella gestisce questo fenomeno e la popolazione ha sempre risposto bene. Questo è un elemento di cui andiamo sempre molto fieri come comunità». Al racconto degli operatori si aggiunge anche quello del sindaco Vittorio Zito, che ci confessa la soddisfazione soprattutto riguardante l’approccio della sua comunità. Il primo cittadino più volte ha definito Rocella un unincum a fronte delle carenze in termini di strutture e personale. Ma la narrazione calabrese intorno agli sbarchi – non soltanto nella Locride, ma in tutta la regione – può considerarsi un unicum anche perché priva di episodi negativi, spesso fomentati da talune componenti politiche. «I numeri sono stati dieci volte maggiori rispetto a due anni fa e per questo il sistema di prima accoglienza è andato in crisi, ma vorrei fare mie le parole pronunciate dal prefetto (presente insieme al capo della polizia, Lamberto Giannini, al concerto della banda musicale della Polizia di Stato nella città della Locride, ndr) lo scorso 15 dicembre: “Tutto è stato gestito senza urlare e coltivare tensioni”».
«Tutti – aggiunge il sindaco Zito – abbiamo lavorato sotto forte pressione per cui bisognerà ora dotare tutte le componenti impegnate della forza in termini di personale, uomini e mezzi per poter affrontare questo tipo di emergenza». Oltre a Comune e prefettura, la filiera degli sbarchi coinvolge giocoforza anche le autorità sanitarie: «A volte il blocco dell’attività è legato alla mancanza di posti idonei ad ospitare i migranti per il periodo di quarantena e ci auguriamo che per il periodo in arrivo si possa far fronte anche a questa necessità».

Dall’immobile comunale alla tensostuttura

Al centro della discussione, con l’incremento degli approdi, l’immobile comunale deputato ad accogliere le persone che sbarcavano di volta in volta. I soli 120 posti disponibili e condizioni rese ancora più complicate dal maltempo di fine ottobre hanno portato alla dichiarazione di inagibilità. Ministero e prefettura hanno cercato di sopperire al problema chiedendo alla Croce Rossa di gestire una tensostruttura direttamente al molo che potesse servire per ospitare le persone durante le operazioni di prima accoglienza, prima di essere smistate. «L’utilizzo della tensostruttura al molo fa presagire che quello invernale sarà uno dei periodi più complicati», dice Zito. «Non abbiamo altri immobili disponibili per sopperire al problema nell’immediato. Nel periodo estivo mettiamo a disposizione il palazzetto dello sport adiacente al campo sportivo. Ma nel prosieguo dell’anno, con questa intensità di sbarchi, rischieremmo di bloccare le attività sportive nel loro pieno svolgimento». Nel frattempo, il Viminale è intervenuto annunciando l’apertura di un “hotspot” che dovrebbe essere ospitato proprio nella struttura prima in uso. «Il ministero – dice il sindaco – si è impegnato a fare degli interventi di adeguamento e ristrutturazione. Vedremo se saranno fatti. In ogni caso, sono interventi che richiedono almeno un anno di lavoro quindi per la prossima estate ci sarà da attrezzarsi senza considerare quell’immobile» che diventerà comunque un “hotspot” anomalo: «Per le caratteristiche che ha comunque non potrà ospitare più di un centinaio di migranti. Gli “hotspot” di solito hanno anche oltre 500 posti. Si tratterebbe più di un avamposto da utilizzare per la gestione degli sbarchi al porto».
La tensostruttura montata a fine ottobre (ed oggi in uso) ha una grandezza di circa 250 metri quadri e può ospitare fino a 140 persone per volta. «La struttura al molo – spiega Concetta Gioffrè – nasce per gestire l’arrivo in via temporanea: i tamponi, le procedure di  identificazione e l’eventuale spostamento verso le navi quarantena». Col tempo, però, «è divenuta vera e propria struttura ospitante di Croce Rossa. Noi gestiamo questa struttura insieme al Comune, che eroga i pasti attraverso gli operatori della Protezione Civile. La tenda doveva essere usata solo in via emergenziale, ma fino ad ora non è stato così».

Le rotte verso la Calabria e il caso dei minori “scomparsi”

La maggior parte delle persone sbarcate a Roccella sono arrivate da Siria, Iran, Iraq ed Egitto attraverso due rotte (oltre a quella libica). Una, secondo il sindaco, sulla base di quanto ricostruito dall’interlocuzione con le persone approdate, è «la rotta turca, che interessa persone di nazionalità afgana, iraniana, irachena e siriana. Partono di solito dai campi profughi in Turchia e si imbarcano per arrivare a Roccella». Si lasciano dietro conflitti, violenze e tensioni. Diverso, in parte, il discorso sulla «rotta egiziana» da dove «arrivano meno famiglie e più soggetti che intraprendono singolarmente il viaggio». Di solito, aggiunge Zito: «Si trovano in Italia solo di passaggio. Cercano condizioni di vita migliori rispetto a quelle che hanno in Egitto. Auspicano di trovare in Europa un futuro diverso». Soprattutto tra le persone arrivate dalla «rotta turca» diversi sono i minori. E proprio intorno alle presunte “sparizioni” di minori non accompagnati subito dopo gli sbarchi era stato lanciato un allarme. «I minori, a Roccella rimangono per un tempo brevissimo o comunque non più di una settimana anche se ci sono stati alcuni casi di minori che abbiamo dovuto ricoverare in una casa messa a disposizione dalla Caritas», risponde il sindaco sul punto. Poi aggiunge: «C’è però un equivoco di fondo che bisogna chiarire: né i minori, né i maggiorenni sono in stato di fermo quindi, spesso, quando si dice che scappano o scompaiono si tratta di allontanamenti volontari. Nessuno può impedire loro di allontanarsi dalla struttura. Non sono soggetti privati della loro libertà. Spesso scompaiono perché ci sono loro parenti. Comunità forti come quella egiziana, ad esempio, hanno reti diffuse in tutta Europa». In tal senso Zito cita il caso di un minore allontanatosi col padre che dopo aver appreso dello sbarco aveva raggiunto Roccella dalla Germania, «e abbiamo classificato quel caso come ricongiungimento». Ciò non toglie che «sia necessario rimanere vigili». Intorno alle “sparizioni” di minori spesso si celano anche storie di abuso o sfruttamento: «Sono dinamiche che vanno attenzionate e i minori vanno tutelati, ma senza che li si privi della loro libertà».

Lo sbarco «più sofferto» e l’arrivo della piccola Sana

Sbarco del 28 novembre 2021. Roccella Jonica (foto: Valeria Ferraro)

La più piccola delle persone approdate al porto “delle Grazie” è Sana, nata da appena due giorni. L’imbarcazione che ha condotto lei e la madre insieme ad altre 240 persone ha affrontato uno dei viaggi più pericolosi richiedendo una delicata e lunga operazione di trasbordo lo scorso 28 novembre. «Al loro arrivo erano molto provati», ricorda Concetta Gioffrè, presente per coordinare, insieme agli operatori della Croce Rossa, le operazioni di prima accoglienza. «È stato uno degli sbarchi più difficili che io ricordi. C’è stata la necessità di cambiare di vestiti le persone alcune delle quali hanno rischiato o sono andati in ipotermia». Alcuni bambini sono arrivati al porto del tutto privi di indumenti: «Dal punto di vista umano quel giorno era richiesta una particolare delicatezza nell’approccio. La piccola Sana (nome che in arabo significa anche “splendore”, ndr) era avvolta in due scialli. Io l’ho svestita ed un giubbotto le ha fatto da culletta prima nelle mani del medico poi nelle mie. La madre si è sentita male dopo l’arrivo, ma quando si è ripresa ha voluto subito la sua bimba. Ogni sbarco – conclude – rappresenta sempre un’incognita, per questo ci prepariamo ad essere pronti ad andare incontro alle necessità di tutti. Quella sera è stato sicuramente il più sofferto». (redazione@corrierecal.it)

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