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«Lavoro digitale e rischio caporalato»

A pochi giorni dalla presentazione della proposta di direttiva della Commissione europea per il miglioramento delle condizioni di lavoro nelle piattaforme, l’Inapp (Istituto nazionale per le anali…

Pubblicato il: 04/01/2022 – 19:15
di Giusy Raffaele
«Lavoro digitale e rischio caporalato»

A pochi giorni dalla presentazione della proposta di direttiva della Commissione europea per il miglioramento delle condizioni di lavoro nelle piattaforme, l’Inapp (Istituto nazionale per le analisi delle politiche pubbliche) fotografa la categoria dei lavoratori delle piattaforme digitali (cd. Platform workers) che, nel periodo 2020/2021, risultano nel complesso 570.521,  rappresentando l’1,3% della popolazione tra i 18 e i 74 anni. Si tratta  non solo di rider, ma di “un insieme eterogeneo di attività che vanno dalla consegna di pacchi o pasti a domicilio allo svolgimento di compiti on line (traduzioni, programmi informatici, riconoscimento immagini)”. I lavoratori delle piattaforme sono per i tre quarti uomini. Sette su dieci hanno un’età compresa tra 30 e 49 anni, con i giovani tra 18 e 29 anni, concentrati soprattutto nella categoria dei lavoratori occasionali. Il titolo di studio non è particolarmente diverso rispetto a quella della popolazione generale, se non per una maggiore presenza di diplomati. Chi lavora tramite piattaforme come attività principale presenta livelli di istruzione più elevati (dal diploma in su), mentre chi lo fa occasionalmente presenta titoli di studio più bassi.  Due terzi lavorano per piattaforme location-based, in cui i compiti assegnati vengono svolti in una località specifica, mentre un terzo svolge attività rese solamente sul web. Il rischio di una nuova forma di caporalato digitale è direttamente proporzionale alle ridotte condizioni di autonomia del lavoratore e alla presenza di forme contrattuali irregolari. Ne è un esempio il fatto che 3 lavoratori su 10 non hanno un contratto scritto, il 26% dei lavoratori non gestisce direttamente l’account di lavoro per accedere alla piattaforma e nel 13% dei casi il pagamento viene gestito da un ulteriore soggetto esterno. La valutazione viene effettuata sulla base del  numero di incarichi portati a termine (59,2% dei casi) e del giudizio dei clienti (42,1%). Una valutazione negativa o una mancata disponibilità nello svolgimento degli incarichi comporta un peggioramento della qualità degli incarichi, con la riduzione soprattutto di quelli più redditizi o con il peggioramento degli orari di lavoro. Questo conferma il ruolo centrale dell’algoritmo nel coordinare e valutare la prestazione lavorativa arrivando perfino ad escludere totalmente il lavoratore dall’accesso alla piattaforma. In sostanza si è molto lontani dal falso mito del lavoro libero, autonomo e creativo tipico della “gig economy”ma di un vero e proprio lavoro dipendente, fortemente controllato, che, in mancanza di valide alternative occupazionali, rappresenta per chi lo esercita l’attività principale.

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