LAMEZIA TERME Casi e circostanze hanno ridisegnato, nel corso degli ultimi anni, un quadro allarmante e al tempo stesso desolante. In Calabria, così come nel resto della penisola, medici, infermieri e personale sanitario ogni giorno si ritrova a fare i conti con il rischio di essere aggrediti, verbalmente e fisicamente, malmenati e minacciati. E in moltissimi casi – più di quanto si è portati a credere – dalle parole si passa ai fatti con conseguenze molto spesso imprevedibili. Ad essere uguali, invece, sono gli scenari: aree di pronto soccorso, ambulatori e ingressi di reparti. Un paradosso indecifrabile se si considera che chi subisce l’aggressione è deputato a salvare la vita di un paziente o comunque curarlo, ritrovandosi invece esposto e nel mirino di familiari violenti.
Un quadro della drammatica situazione che attanaglia ormai da tempo gran parte dei presidi ospedalieri calabresi l’ha offerto al Corriere della Calabria Pino Rubino, segretario Generale aggiunto FP Cisl Reggio Calabria. È lui a spiegarci come uno dei più “comuni” e frequenti fattori di rischio sia la scarsa informatizzazione del nostro sistema sanitario. «I referti e i documenti di laboratorio – dice – viaggiano ancora sulle gambe degli operatori sanitari che, uscendo dai reparti o dal pronto soccorso, si trovano di fronte al rischio di aggressioni». Episodi frequenti interessano tutta la Calabria, da Nord a Sud, accomunati «dalla mancata organizzazione – spiega Rubino – che porta a risultati che molto spesso non corrispondono alle aspettative dei familiari dei pazienti». Scene di violenza ingiustificata, ad esempio, si ripetono seguendo lo stesso copione durante gli interventi delle ambulanze del 118. «Le persone spesso sono prevenute e aspettano il loro arrivo con brutte intenzioni».
Come racconta la cronaca degli ultimi mesi, a causa dell’esplosione dirompente della pandemia da Covid-19, si sono letteralmente moltiplicati gli episodi di violenza allarmante e immotivata. «Ci sono stati molti casi in cui i familiari – ci racconta ancora Rubino – avevano letteralmente paura per l’incolumità del loro parente, quasi come se non volessero staccare lo sguardo dal loro caro. Ma nello stesso tempo è logico che qualcuno debba pur occuparsi di loro, delle loro cure. Ci sono stati poi parenti, ai quali non era permesso entrare in ospedale come tutti, che hanno reagito cercando di entrare di forza e malmenando i sanitari».
Uno scenario preoccupante che non può che avere ripercussioni, anche professionali, su tutto il personale medico e sanitario degli ospedali e degli ambulatori calabresi, già drammaticamente gravato da orari di lavoro massacranti e dagli effetti della pandemia. E poi ci sono le possibili soluzioni individuate da più parti e messe, in passato, sui vari tavoli istituzionali, ma senza successo. «Avevamo pensato ai posti di Polizia di Stato nei pronto soccorso – ci racconta ancora Pino Rubino – tante persone pretendono e sanno comunque di non essere contrastati e quindi si spingono oltre». «Certo, ci sono le guardie giurate, ma non è proprio la stessa cosa e poi sono troppo poche». A Melito ce n’è una sola, due a Locri, tre al “Pugliese-Ciaccio”, pochissimi anche all’Annunziata, tutti edifici troppo grandi per essere presidiati da guardie giurate. «In ogni caso a fare la differenza è il posto di Polizia, è la presenza dello Stato che non c’è. La tendenza recente è quella di sistemare telecamere di sorveglianza che sono pure servite magari ad individuare poi i responsabili ed arrestarli ma, nell’immediato, nel fermare l’azione, non è proprio la stessa cosa».
Tra le soluzioni, forse quella più percorribile in tempi brevi, è tappare la falla della mancanza di personale che, soprattutto nel campo medico e sanitario, per di più in piena emergenza pandemica, rappresenta l’emergenza delle emergenze. «Bisogna assumere personale – ci spiega infine Rubino – è forse questo il fattore più importante della diffusa disorganizzazione. C’è poi la mancata informatizzazione di alcuni percorsi, altro elemento aggiuntivo di rischio. E poi il 118: pochi mezzi e poco personale a disposizione». (redazione@corrierecal.it)
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