LAMEZIA TERME Il “rispetto” portato dai gruppi criminali al capocosca di Filadelfia Rocco Anello emerge anche dalle percentuali che questi riceveva sulle estorsioni effettuate da altri clan. Un esempio è quello raccolto, in un verbale del giugno 2018, dal collaboratore di giustizia Santo Mirarchi che racconta di un’estorsione da 300mila euro fatta ai danni dell’impresa Astaldi che curava lavori sulla 106 all’altezza di Borgia.
Le parole del pentito sono ora agli atti del processo “Imponimento” istruito dalla Distrettuale antimafia di Catanzaro proprio contro le cosche Anello e Fruci di Filadelfia, il cui potere, secondo l’accusa, si estendeva dal Vibonese fino alla città di Lamezia Terme.
Ma procediamo per gradi.
«Fino al 2009 a Roccelleta non c’era un locale di ‘ndrangheta e l’organizzazione ‘ndranghetistica ivi operante quindi “attivava” con Filadefia dove c’era una locale capeggiata da Rocco Anello». Il collaboratore di giustizia Santo Mirarchi, 37 anni, fino al 2016 – anno in cui ha deciso di saltare il fosso – è stato anello di congiunzione tra le cosche crotonesi e quelle del Catanzarese. Come racconta lo stesso Mirarchi, davanti al pm della Dda di Catanzaro Antonio De Bernardo, l’attuale collaboratore si inserì nella criminalità organizzata di Roccelletta di Borgia nel 2001/2002 e il suo gruppo faceva capo a Massimo Falcone il quale, stando alle dichiarazioni di Mirarchi, era entrato in contrasto con il clan capeggiato da Nando Catarisano (Mirarchi lo chiama per tutto il verbale Caterisano ma il riferimento è al capocosca Nando Catarisano). I dissapori per il controllo del territorio portarono un gruppo di giovani affiliati a Catarisano a fingersi alleati di Massimo Falcone per poter scoprire il luogo della sua latitanza e poterlo uccidere.
Nel frattempo Mirarchi si era inserito in un gruppo criminale in cui vi erano esponenti di etnia rom che operavano su Catanzaro e fornivano aiuto agli alleati di Vallefiorita e Roccelleta. L’asse Crotone-Catanzaro, però, non si è mai spezzato, tanto che Mirachi parla di rapporti con la cosca di Santino Gigliotti. Un rapporto personale molto forte, fatto di battezzi di mafia e battesimi di figli. Santino Gigliotti ha battezzato il figlio maschio di Mirarchi e nel 2009 gli diede il suo benestare per la concessione dei “meriti” da parte della criminalità organizzata. L’affiliazione avvenne nel carcere di Siano: Mirarchi ricevette due doti di ‘ndrangheta e divenne “camorrista”. Nella sua copiata portava Gino Costanzo di Catanzaro, Santino Gigliotti, Mario Gigliotti, Ciccio Pizzata e Vincenzo Manfredi.
«I rapporti tra i principali esponenti della ‘ndrangheta di Roccelletta e Rocco Anello erano risalenti nel tempo – dice Mirarchi –. Preciso intanto che allora come oggi tra i principali esponenti del gruppo di Roccelletta c’erano, Nando Caterisano, il suo braccio destro Salvatore Abbruzzo, inteso Tubetto, Francesco Gualtieri detto Ciccio, Antonio Cosco e altri. Di questo gruppo faceva anche parte Salvatore Graziano, nipote di Nando Caterisano, il quale ad esempio si riforniva di droga, in particolare cocaina e marijuana da Rocco Anello, in ragione del rispetto ‘ndranghetistico che c’era tra Nando Caterisano e Rocco Anello. In realtà questo stretto legame con Rocco Anello, Caterisano lo aveva, per cosi dire, ereditato da Massimo Falcone di cui aveva preso il posto. Il legame di Falcone con Anello risaliva addirittura alla sua affiliazione, perché era stato Turi Pilò a interessarsi per far sì che Rocco Anello affiliasse Falcone alla ‘ndrangheta». Mirarchi specifica che Salvatore Abbruzzo, detto Tubetto, inizialmente faceva parte del gruppo di Pilò, poi era passato con Massimo Falcone e, alla morte di questi, era diventato il braccio destro di Catarisano. Molto di quello che racconta Mirarchi, oggi rappresentato dall’avvocato Michele Gigliotti, dice di averlo appreso da Massimo Falcone ma anche per esperienza personale avendo incontrato Rocco Anello in un paio di occasioni anche in compagnia di Falcone.
«All’epoca il mio gruppo partecipava all’estorsione relativa ai lavori sulla statale 106 all’altezza di Borgia e, in virtù dei rapporti che ho descritto, una parte dei proventi di questa estorsione e precisamente la somma di euro 50mila euro, spettava a Rocco Anello». Mirarchi racconta di avere appreso queste informazioni, dopo la morte di Falcone, direttamente da Nando Catarisano. «L’estorsione venne consumata in danno dell’impresa Astaldi», dice Mirarchi il quale specifica che «l’estorsione era stata inizialmente gestita da Falcone e dopo la sua morte il danaro è stato ricevuto da Catarisano». In sostanza Catarisano «ebbe circa 300mila euro e ne consegnò 50mila a Rocco Anello».
«Fra il 2000 e il 2006 Salvatore Cossari (deceduto in un agguato nel 2008, ndr) aveva avuto un appalto per il posizionamento delle cosiddette antenne relative alla telefonia cellulare che dovevano essere installate nelle montagne rientranti nei comuni di Roccelletta, Filadelfia e Vallefiorita. Ho partecipato ad una serie di discussioni – racconta Mirarchi – nel corso delle quali Salvatore Cossari diceva che per eseguire questi lavori doveva avere l’assenso di Rocco Anello. Sempre secondo quanto mi disse Salvatore Cossari, Rocco Anello diede il proprio benestare, per cui i lavori vennero eseguiti ed Anello ebbe la propria parte. Io stesso ho lavorato nell’installazione di queste antenne quale gruista, anche se mi facevo solo vedere dalle forze dell’ordine e non lavoravo percependo comunque lo stipendio». Mirarchi racconta anche che Rocco Anello era interessato a controllare gli appalti boschivi ricadenti nel comune di Roccelletta e Filadelfia. «Ricordo – racconta Mirarchi – di un imprenditore vicino agli Anello che veniva favorito al quale, tramite la compiacenza degli addetti agli uffici comunali, veniva indicata con precisione l’offerta da fare. Ricordo il nome di battesimo dell’imprenditore boschivo favorito che è Salvatore, che si occupa anche della produzione di carbone di legna».
Anello avrebbe anche ricevuto il provento di un’estorsione dai fratelli Abramo, fra il 2000 e il 2004, «in ragione della costruzione dei capannoni industriali in località Germaneto». A chiedere loro l’estorsione fu inizialmente Salvatore Cossari, ma, dice Mirarchi «gli Abramo, fecero presente di essere legati ad Rocco Anello, pertanto l’estorsione venne pagata a quest’ultimo che comunque fece in modo di fare aggiudicare i lavori a Salvatore Cossari e le forniture di calcestruzzo a Senese, imprenditore vicino agli accoscati di Roccelletta». Il collaboratore precisa di essere venuto direttamente a conoscenza di quanto riferisce «in quanto lavoravo presso il cantiere come guardiano. Per cui notavo e partecipavo alle discussioni che intercorrevano fra Rocco Anello, i fratelli Abramo e Salvatore Cossari oltre a Tonino Senese. Alle discussioni partecipava anche Massimo Falcone e il nipote di Salvatore Cossari che si chiama Giuseppe Cossari. Ricordo che Rocco Anello ebbe 200.000 euro a titolo estorsivo, quelli di Roccelletta vennero ricompensati con gli appalti e con l’assunzione di diversi guardiani tra i quali anche me».
Gli equilibri cambiano nel 2009, quando «fu formato un locale di ndrangheta su responsabilità e decisione della ‘ndrangheta di Cirò e con il benestare di Nicolino Grande Aracri, “mano di gomma”, e degli Arena. Nel 2012/2013 Nicolino Grande Aracri, con il benestare dei Mancuso e di Reggio Calabria, ha formato la provincia di ‘ndrangheta a Cutro». Per far si che Cutro divenisse provincia di ‘ndrangheta si era dovuta spettare la scarcerazione di Nicolino Grande Aracri «il quale aveva dovuto poi ottenere il consenso dei Mancuso e di Reggio Calabria, in particolar modo dei De Stefano. Della provincia di Cutro facevano parte le organizzazioni criminali di e quindi i territori di Cutro, Lamezia, Soverato, Sellia Marina, Isola Capo Rizzuto e tutta Catanzaro». Cosenza, spiega Mirarchi, è esclusa da questo circuito perché «da Cassano a salire Grande Aracri non comandava ma comandavano gli Abbruzzese».
Anche Cirò, essendo locale di ‘ndrangheta a se stante, «non è sotto la provincia di Cutro. In poche parole, dice il collaboratore «Grande Aracri non “mangia” a Cirò».
Mirarchi descrive i Mancuso e i De Stefano «tra le famiglie più importanti dell’intera ‘ndrangheta, fondatrici della stessa. Senza il consenso di queste due famiglie la nuova provincia non sarebbe stata riconosciuta da nessuno». (a.truzzolillo@corrierecal.it)
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