LAMEZIA TERME Un continuo scambio di messaggi e informazioni tra la “locale” di Aosta e la “casa madre” calabrese. Un rapporto garantito dai messaggeri incaricati di recapitare le ’mbasciate a soggetti non identificati, appartenenti o comunque ritenuti contigui alla ‘ndrangheta. Per i giudici della prima sezione penale della Corte d’Appello di Torino, si tratta di una organizzazione che «presenta tutti gli elementi strutturali richiesti dal dettato dell’articolo 416 bis del codice penale alla luce di principi affermati dalla giurisprudenza di legittimità in materia di articolazioni territoriali del sodalizio mafioso costituite fuori dal territorio di origine». Il passaggio è contenuto nelle oltre 800 pagine di motivazioni della sentenza del processo “Geenna”, svoltosi con rito abbreviato (leggi qui).
C’è un episodio che chi indaga reputa importante nell’intenso scambio di informazioni tra le ‘ndrine del nord e quelle calabresi. Si tratta di una delle tante “mbasciate” conferite da Marco Fabrizio Di Donato a Nicola Prettico. Gli investigatori captano una conversazione registrata nell’abitazione di Di Donato e intercorsa tra quest’ultimo e Filippo Rastello, nel corso della quale si parla di una grossa mancanza di “rispetto” commessa da Prettico. Secondo quanto ricostruito, Prettico avrebbe dovuto portare una “mbasciata” in Calabria ad una persona, che a causa del mancato recapito del messaggio, viene poi arrestata. I rapporti tra Di Donato e il “messaggero” si interrompono per un lungo periodo subito dopo il loro viaggio in Calabria necessario a giustificare quanto accaduto a chi di dovere.
Nell’ottica dei rapporti con la “casa madre” calabrese, Prettico viene invitato a San Luca per partecipare ad un incontro «con la società», una riunione di ‘ndrangheta. «Va a mangiare e bere in Calabria» confessa Di Donato a Rastello, un’espressione legata al comportamento imprudente di Prettico che avrebbe raggiunto la Calabria in aereo e con l’Iphone, violando le regole basilari di prudenza per eludere i controlli delle forze dell’ordine. Ad aspettarlo uno dei fratelli Nirta. «Questo è un coglione pericoloso ma per lui eh! Poi mi viene a dire a me “eh adesso che c’è l’incontro con la società” e tu vai in Calabria con l’aereo?». Di Donato si sfoga con Rastello e si mostra piuttosto preoccupato per Prettico e per un possibile intervento delle forze dell’ordine. «La mattina ci sono minimo tre posti di blocco, a mezzogiorno cinque o sei, dopo le sei di sera c’è il coprifuoco, quindi il fermo lo acchiappi perché non c’è nessuno in giro. Sai quando ci vado io? Ad agosto, quando è tempo di mare… cosa sei venuto a fare? In ferie a trovare i parenti». Nicola Prettico si trattiene in Calabria solo tre giorni. E’ il mese di gennaio 2016 quando il suo cellulare aggancia la cella nelle zone di Polistena e Cittanova. Ad aprile 2016, raggiungerà altre due volte la “casa madre”. Su e giù come il Nasdaq per portare “mbasciate”, e informare i referenti della situazione ad Aosta.
Nel corso di una telefonata intercettata, Di Donato lancia la proposta a Bruno Nirta per l’acquisizione del “Prince”, locale notturno di Prettico, da parte di soggetti residenti nella locride e cita alcuni nomi “Marafioti” e “Giampaolo”. E’ Nirta, questa volta, a farsi portatore della “mbasciata” in Calabria. La corrispondenza tra la “casa madre” e la “locale” è continua, ma le “mbasciate” non servono solo a risolvere liti e contenziosi. E’ il 18 novembre del 2016 quando Roberto Alex Di Donato incontra il proprietario di una pizzeria. L’imprenditore viene reso edotto circa la «visita» che avrebbe ricevuto da parte da parte di soggetti non identificati. «Tu digli che sei a posto», tranquillizza Di Donato. Quest’ultimo individua la persona che passerà dal ristoratore e lo tranquillizza dicendogli che è un soggetto che a San Luca gode di scarsa reputazione. Poi fornisce dettagli su come dovrà comportarsi qualora una o più persone dovessero presentarsi da lui. «Tu ti metti a ridere…”guardate io penso che sono apposto, se non andate via da qua, vi prendo a calci nel culo”…basta…vedi che rimangono con la bocca aperta». Per gli investigatori è chiaro come l’episodio sottenda una richiesta di denaro per la protezione dell’esercizio commerciale. L’episodio è indicativo «della probabile presenza sul territorio di soggetti riconducibili a diversi contesti di criminalità organizzata e del progressivo consolidamento degli equilibri fra le diverse ‘ndrine presenti in Valle d’Aosta». La ferma reazione del ristoratore all’avvertimento ricevuto e il supporto reso da Roberto Alex Di Donato mostrano invece la saldezza del vincolo associativo instaurato tra gli associati della “locale” di Aosta.
La tratta Aosta-Reggio Calabria è assai trafficata. I frequenti viaggi portano anche i calabresi a raggiungere il nord per definire alcune situazioni e risolvere con le classiche “mbasciate” eventuali problemi. A tal proposito, gli investigatori segnalano la presenza in Valle d’Aosta di Orazio Ierace, figlio di Michele, ritenuto esponente della cosca Petullà-Ierace-Bianchino operante a Cinquefrondi. L’episodio è cristallizzato in una conversazione intercettata con interlocutori Marco Fabrizio Di Donato e Francesco Mammoliti. «Ho visto il figlio di Michelino», dice Di Donato e Mammoliti. Che invece, cita un incontro a Saint Vincent e definisce «un montato di testa», il rampollo della cosca calabrese. Ierace, in quella occasione, avrebbe offerto il suo aiuto a Mammoliti per aiutarlo in un momento di difficoltà economica. Una proposta rispedita al mittente: «so che hai un sacco di problemi» dice Ierace e Mammoliti risponde seccato: «io non me la passo bene proprio, ma voglio stare tranquillo per i fatti miei».
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