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L’autodifesa di Pittelli in aula. «Io massacrato, mi è stata tolta la pelle. Mantella? Un furbo»

Lunghe dichiarazioni spontanee (con il vizio delle illazioni su chi non può difendersi) per l’ex parlamentare imputato per mafia

Pubblicato il: 18/01/2022 – 21:49
di Alessia Truzzolillo
L’autodifesa di Pittelli in aula. «Io massacrato, mi è stata tolta la pelle. Mantella? Un furbo»

LAMEZIA TERME Ha annunciato che le sue dichiarazioni non sarebbero state brevi e che sarebbero state le prime e le ultime pronunciate durante il processo Rinascita-Scott che lo vede imputato per concorso esterno in associazione mafiosa. Una lunga autodifesa quella imbastita dall’avvocato, ed ex parlamentare, Giancarlo Pittelli nel corso dell’udienza del processo Rinascita di questa sera. Una difesa divisa in capitoli per meglio organizzare i pensieri e gli argomenti. Pittelli parla del «massacro mediatico nei suoi confronti» contro il quale lui ha scritto a istituzioni e giornali non «per avvelenare i pozzi» ma per raccontare una «verità ineludibile». Dice di non essere un folle e un visionario e che le sue parole «saranno pietre in questo processo». Scansa le accuse che gli vengono mosse, secondo le quali, dice, «avrei pervertito la mia intera vita, avrei insozzato la toga di mio padre e di mio nonno per interessi di mafia».
Per chiarire la sua posizione e sfogare la sua angoscia avrebbe scritto a Mara Carfagna. Perché, dice, dal 19 dicembre 2019 «io esisto nei servizi giornalistici che hanno trattato anche argomenti di gossip sulla mia vita privata». «Si è fatto strame – ha detto Pittelli – della mia vita, della mia famiglia, di 40 anni di attività professionale. Una campagna di stampa senza precedenti nella storia di questa regione». «Mi è stata tolta la pelle, sono un uomo per bene e onesto», ha aggiunto PIttelli dicendo che sono stati messi nero su bianco fatti storicamente falsi. Secondo l’ex parlamentare «di tutto ciò avrebbe dovuto occuparsi il Parlamento quando Sgarbi nell’estate del 2020» andò a Nuoro a trovare il parlamentare insieme ad altri deputati.

La Massoneria

Il primo capitolo degli argomenti trattati da Pittelli è quello sulla Massoneria.
Giancarlo Pittelli racconta di essersi iscritto alla Massoneria nel 1983 quando l’avvocato di Cosenza Ernesto D’Ippolito gli propose di candidarsi al Parlamento nel Partito Liberale e di iscriversi nella sua loggia massonica. Pittelli afferma di avere rinunciato a uno scranno sicuro e di avere deciso di iscriversi alla loggia massonica nella quale erano presenti «medici, avvocati, funzionari, professori universitari». L’imputato afferma che le attività e gli argomenti trattati in massoneria «non era cosa per me interessante». L’avvocato si fece trasferire alla loggia di Catanzaro dove c’erano riunioni ogni mercoledì pomeriggio. Per lui «una perdita di tempo», racconta in video collegamento. Dice di avere partecipato a 10 riunioni in tutto e mai a convegni. Nei primi anni ’90 si dedica a al lavoro e alla politica come responsabile alla Giustizia del nascente Ppi.
«Nel 1991 mi fu proposto da Forza Italia di candidarmi alla presidenza della Regione Calabria e io rifiutai e indicai Chiaravalloti». Pittelli specifica: «All’epoca in cui facevo il politico non ero iscritto alla Massoneria. A me la Massoneria non ha dato mai nulla, né incarichi professionali da enti pubblici regionali, provinciali o comunali».

Come nasce il termine massomafia: gli scontri con De Magistris

Secondo l’ex parlamentare il termina massomafia è stato coniato nel 2007 in seguito agli scontri, giudiziari e non, avuti con l’ex pm di Catanzaro Luigi De Magistris. Scontri che, tra le altre cose, portarono a un processo a Salerno lungo 12 anni quando a De Magistris venne tolta l’inchiesta Poseidone. Secondo Pittelli fu De Magistris nel 2007 a coniare il termine massomafia nel 2007 per indicare una borghesia corrotta e i cosiddetti poteri forti. Argomenti che l’ex pm poi divenuto politico ha portato negli anni sui giornali e nelle trasmissioni televisive: Da Santoro, Travaglio, Gomez. Con questi argomenti, dice Pittelli, «De Magistris si è fatto quattro campagne elettorali». «Ecco dove nasce il mito di Pittelli massomafioso capace di aggiustare i processi». Secondo l’imputato è qui che i pentiti lo hanno sentito e lo hanno poi riportato nelle loro dichiarazioni. «E’ da vergognarsi sentire le parole dei vari Virgiglio e Mantella», dice Pittelli il quale prosegue: «Io non sono mai entrato nella stanza di un magistrato se non per un saluto o una richiesta più che lecita». Poi rivolge la sua analisi a quei magistrati registrati a cena a casa sua. «Andate a guardare di cosa abbiamo parlato – dice rivolgendosi ai giudici – citateli tutti, uno per uno».
Pittelli ha poi raccontato di essersi iscritto di nuovo alla Massoneria del Grande Oriente d’Italia 27 anni dopo esserne uscito, «su sollecitazione di un amico chirurgo di Soverato». «Una sola volta – racconta – mi sono rivolto a un vertice della Massoneria per una truffa subita a Ravenna», una questione che il massone non risolse e che si concluse per altre vie.
Dice che nel periodo in cui era intercettato sua figlia studiava alla Luiss e mai ci sono state intercettazioni su richieste di raccomandazioni per lei. Che i suoi cognati sono costruttori e in 40 anni non hanno mai partecipato a un appalto pubblico.
E per quanto riguarda Mantella e le sue dichiarazioni contro di lui, definisce il collaboratore di giustizia «un furbo» che ha capito «che l’obbiettivo in questo processo ero io».

I dissapori con Petrini

Per quanto riguarda i dissapori con Marco Petrini, magistrato, ora sospeso, nella corte d’Appello di Catanzaro, Pittelli racconta che i loro rapporti erano cominciato bene. A Pittelli il magistrato era stato indicato come «un fine giurista» e l’avvocato era andato a salutarlo appena questi era arrivato a Catanzaro. Solo in seguito si accorse della freddezza con cui Petrini lo trattava. Lo affrontò e gli chiese il perché di quel distacco. Il giudice gli spiegò che giravano dicerie sul suo conto e che era stato fatto un esposto contro di lui e il magistrato era convinto che fosse stato Pittelli il quale, però, gli rassicura di non avere fatto alcun esposto. Con l’inchiesta Genesi della procura di Salerno, nella quale viene coinvolto Petrini con l’accusa di corruzione in atti giudiziari, in un primo momento il giudice tira in ballo anche Pittelli la cui posizione poi verrà stralciata. Oggi in aula Pittelli ha raccontato di avere appreso dagli atti di Salerno che Petrini, nonostante i chiarimenti, lo ritenesse autore dell’esposto contro di lui.

I rapporti con Luigi Mancuso

Altro capitolo delle dichiarazioni di Pittelli è quello sui rapporti con Luigi Mancuso che lui difese per la prima volta, con successo, nel 1981. Mancuso gli era stato indirizzato da un cliente catanzarese. Fino al 2007 lo ha difeso in moltissimi processi. «Mai avuto con lui screzi di alcun genere – dice Pittelli – mai ricevuto richieste illecite da parte sua». Nel 2007 per una banale incomprensione Luigi Mancuso gli revocò la nomina. I rapporti si riallacciano nel 2016 quando Pittelli riceve una telefonata da Giovanni Giamborino «che non sentivo da 15 anni o più». Giamborino, considerato dall’accusa il braccio destro di Mancuso, gli chiede se il suo studio era ancora allocato a casa del padre di Pittelli e poi va a trovarlo con Pasquale Gallone. Gallone si limitò ai saluti mentre Giamborino cominciò a perorare la causa di tale Basile un imprenditore di Vibo che, dopo 12 anni, chiedeva il compenso per dei lavori che aveva fatto in uno studio di Roma. Pittelli spiega che ciò che lo indispettì fu il fatto che il professionista, che avrebbe potuto incontrarlo a Catanzaro in qualunque momento, mandò Giamborino a chiedergli i soldi dei lavori. La vicenda dei lavori risale al 2005, quando Pittelli, racconta doveva aprire «uno studio associato con il professor Pecorelli». «Era tutto intestato a me – dice l’imputato – ma a marzo 2007 ricevo un avviso di garanzia, tutti scappano e io resto col cerino in mano, con lo studio intestato, la segretaria da pagare, i lavori da pagare». A Giamborino che dopo 12 anni va a chiedere i soldi di Basile Pittelli racconta che rispose, in un primo momento «che non ne volevo sapere niente. Non l’ho voluto incontrare neanche quando mi hanno detto che era amico o parente di un magistrato. A Giamborino dissi che gli avrei corrisposto il giusto». Dopo circa un mese dall’incontro con Giamborino questi propone di «ricucire i rapporti con Luigi Mancuso, cosa alla quale aderii subito. Era stato il mio primo cliente nel 1981». Giamborino porta Pittelli a Limbadi e con Mancuso chiariscono lo screzio del 2007. Poi Pittelli gli racconta il fatto di Basile e «Mancuso mi disse che non erano cose che lo riguardavano e non gli importava niente». Pittelli dice di aver accettato di incontrare Basile nel 2018/2019 nel suo studio. Questi gli presentò un conto da 200mila euro che Pittelli non giudicò congruo per i lavori fatti. Comunque in seguito, siamo nel periodo in cui Pittelli perse la madre, rassicurò Basile che avrebbe onorato il credito.

Le preoccupazioni per l’indagine a proprio carico

Pittelli, poi, nel tentativo di difendersi dalle gravi accuse che gli vengono mosse, rispolvera quello che pare essere divenuto un (apparentemente) comodo cliché: quello di avanzare illazioni su chi non può difendersi. Oggetto delle considerazioni dell’ex parlamentare, oggi ristretto nel carcere di Melfi, è il compianto direttore del Corriere della Calabria Paolo Pollichieni, più volte citato da Pittelli nel corso delle proprie dichiarazioni spontanee, con poco riguardo (ma per qualcuno è un trascurabile particolare) per la famiglia del giornalista scomparso nel maggio 2019.
Pittelli, quando è stato arrestato, è stato trovato in possesso di un foglio sul quale erano annotati nomi, frasi, date. Tra questi compare anche il nome di Paolo Pollichieni, più volte segnato anche con la sigla P. P.
Pittelli afferma, nel corso delle sue spontanee dichiarazioni, di avere cominciato a preoccuparsi per una indagine a proprio carico in un primo momento tramite il suo amico Marinaro che «era un amico carissimo e fidanzato con una collega del mio studio». «Marinaro – prosegue Pittelli – mi disse che un pm della Procura di Catanzaro gli disse di non frequentarmi più». Questo primo episodio già mette in allarme Pittelli che, racconta, nel 2018 era stato coinvolto dal vescovo di Catanzaro in un progetto politico per la Calabria gestito dal monsignore e da Paolo Pollichieni. «Io feci un elenco di 250 nomi di galantumini e di gentildonne che conoscevo», racconta l’imputato. La prima notizia che Pittelli avrebbe ricevuto da Pollichieni è che «l’avvocato Staiano (attuale difensore di Pittelli) era iscritto nel registro degli indagati». A questo punto Pittelli si chiede perché questa notizia non venga riportata nei faldoni del maxi processo. «Io mi preoccupai moltissimo – prosegue Pittelli – perché Pollichieni mi disse, nella stanza del vescovo, che io ero indagato e che l’operazione sarebbe dovuta scattare entro a novembre 2018». Cosa che non è avvenuta. «A gennaio – prosegue Pittelli – Pollichieni mi dice che era stata depositata una informativa nella quale si diceva che ero massone e vicino ai Mancuso». L’ex parlamentare dice che venne informato di «non essere più gradito nel progetto del vescovo». «Da gennaio/febbraio 2019 io non sono più in me – proseguono le dichiarazioni – ero agitato e scrivevo. Andavo spesso anche dal vescovo il quale contattò un magistrato ma poi si strinse nelle spalle e io non parlai più con lui».
Pittelli dice di avere scritto appunti per tenere viva la memoria. Aveva scritto “Mancuso anni ‘80” perché Pollichieni gli aveva detto che non era più gradito perché amico di Mancuso. Appuntò “Gratteri” pensando di avergli fatto un qualche sgarbo. Segnò “De Magistris”, per le ragioni già riportate. E scrive più volte PP riferendosi a Paolo Pollichieni, un giornalista che non potrà mai replicare perché morto il 6 maggio 2019, sette mesi prima dell’operazione Rinascita-Scott.

La Procura depositerà un’informativa (anche) sulle dichiarazioni di Pittelli

Al termine delle dichiarazioni di Giancarlo Pittelli, il sostituto procuratore Annamaria Frustaci ha annunciato alle parti l’avviso di deposito di un’informativa del Ros centrale datata 7 gennaio 2022. Il documento, da quanto ha spiegato il magistrato, dovrebbe riprendere alcuni degli argomenti trattati dall’imputato nelle sue dichiarazioni spontanee. Il deposito degli atti è stato eseguito in previsione dell’ascolto dei testi di polizia giudiziaria del Ros centrale. (a.truzzolillo@corrierecal.it)

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