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‘Ndrangheta in Valle d’Aosta, la confessione del pentito: «Si sono presi la mia vita»

Il narcotraffico, i collegamenti con la Calabria e le possibili ritorsioni. Il racconto dei collaboratori di giustizia nel processo “Geenna”

Pubblicato il: 21/01/2022 – 7:36
di Fabio Benincasa
‘Ndrangheta in Valle d’Aosta, la confessione del pentito: «Si sono presi la mia vita»

AOSTA Oltre alle intercettazioni telefoniche ed ambientali, nel corso delle indagini scaturite dall’inchiesta “Geenna” assumono rilievo le dichiarazioni rese dai collaboratori di giustizia. Rocco Ieranò e Domenico Agresta, insieme ad altri pentiti, hanno contribuito alla ricostruzione cronologica dei fatti presenti negli atti e contestati agli indagati. Daniel Panarinfo, invece, ha fornito spunti interessanti per l’accusa sulla presenza ed operatività della locale di Aosta e sull’appartenenza alla stessa di alcuni imputati, tra cui Bruno Nirta.

I racconti di Ieranò, Agresta e Varacalli

Rocco Ieranò, originario di Cinquefrondi, si pente nel 2013. Vicino alle cosche Foriglio-Petullà di Gioia Tauro, è considerato elemento di spicco della criminalità organizzata calabrese reggina e dunque in grado – per gli inquirenti – di fornire dettagli utili in relazione ai fatti contenuti nel procedimento Geena. Il collaboratore di giustizia riferisce informazioni sulle «attività illecite di Francesco e Domenico Mammoliti nel settore degli stupefacenti poste in essere negli anni 90’». I due fratelli sono ritenuti «molto vicini» alla famiglia di ‘ndrangheta degli Ierace di Cinquefrondi con rapporti diretti con Orazio Ierace («affiliato con la dote di Vangelo nel locali di Cinquefrondi») per quanto attiene il traffico di droga sul mercato valdostano. «I Mammoliti – racconta Ieranò – non sono stati battezzati però sono rispettati perché vicini ad alcuni componenti ‘ndranghetisti». E’ Ierace a raccontare, al pentito, della famiglia Mammoliti: «i due fratelli si spararono – negli anni 90’ – per questioni di soldi, uno dei due viene arrestato, erano soldi provento del traffico di droga». Sulla presenza di un locale in Valle D’Aosta, il collaboratore di giustizia precisa: «Non so se c’è un locale. Al 90% se ci sono calabresi “attivi” nei luoghi di origine è possibile che formino un locale anche nel luogo di emigrazione. In Valle d’Aosta ci sono soprattutto calabresi di San Giorgio Morgeto».
Altro pentito che aggiunge dettagli interessanti in merito alle dinamiche criminali in Valle d’Aosta è Domenico Agresta. Che con le sue dichiarazioni, ha permesso agli uomini della Dia di smascherare i colletti bianchi della “locale” di Volpiano. Appartenente ad una «delle famiglie di ‘ndrangheta più importanti del Piemonte» viene ritenuto attendibile dalla Corte di Assise di Milano all’esito del processo a carico di Rocco Schirripa per l’omicidio del Procuratore Bruno Caccia. Agresta sceglie di collaborare al termine del processo “Minotauro”, coinvolgendo numerosi esponenti della criminalità calabrese, senza risparmiare i suoi familiari. Sulla possibile esistenza di una struttura delocalizzata della ‘ndrangheta ad Aosta, il collaboratore rende dichiarazioni il 3 novembre del 2016: «Mi sembra vi siano altri due “locali”, uno a Bardonecchia e uno ad Aosta (…) So solo che ad Aosta abita Giuseppe Nirta, fratello di Domenico cha viva in Colombia». Vengono considerate di rilievo investigativo, infine, le dichiarazioni di Rocco Varacalli. Il collaboratore di giustizia racconta che: «Bruno Nirta, affiliato alla ‘ndrangheta, faceva parte della “Società Maggiore”, quantomeno con la dote della “Santa”, inquadrato nell’omonima famiglia di ‘ndrangheta di San Luca, definita Nirta-Scalzone». Bruno Nirta, sempre secondo il pentito, si occupava del «traffico di cocaina a Torino e provincia».

L’apporto di Daniel Panarinfo

Gli investigatori segnalano la presenza in una vettura di Daniel Panarinfo e Bruno Nirta. E’ il 23 gennaio 2016 e le intercettazioni permettono di scoprire la partecipazione dei due ad una «intensa attività di narcotraffico». Non solo traffici illeciti: la loro amicizia è scandita dalla passione per i tatuaggi che si trasforma in una iniziativa editoriale. I due, infatti, tentano di pubblicare un libro sui tattoo degli appartenenti alla ‘ndrangheta: un progetto editoriale che presentano insieme a Torino nella sede di una società. Il rapporto sembra solido come mostrano le decine di intercettazioni raccolte dagli investigatori. Che certificano la presenza di entrambi a San Luca, Torino e in Spagna, a Barcellona, «dove incontrano altre persone». Qualcosa cambia quando (il 3 luglio del 2016) Francesco Nirta, fratello di Bruno e Giuseppe, si toglie la vita sparandosi un colpo di pistola nelle montagne di San Luca. Bruno Nirta rientra in Italia e nel frattempo, Panarinfo contatta un avvocato, manifestando la volontà di iniziare un percorso di collaborazione. Il 21 luglio 2016, giorno del suo rientro in Italia dalla Spagna, il pentito viene arrestato e dopo il fermo conferma ai magistrati la volontà di vuotare il sacco. Al momento dell’arresto occupa la posizione di “contrasto onorato”, espressione con cui nel gergo ‘ndranghetista è indicato il ruolo dell’aspirante affiliato nel periodo di prova.
Sin dall’inizio del suo rapporto con la giustizia, Daniel Panarinfo rende dichiarazioni auto accusatorie: si assume la paternità di un quantitativo di stupefacente sequestrato il 20 aprile 2016 ad un altro soggetto. Il carico gli era stato affidato da Bruno Nirta «che lo aveva acquistato in Spagna per una cifra vicina a 148mila euro, perché provvedesse alla custodia e cooperasse per la collocazione sul mercato». Nonostante il sequestro, Nirta chiede di incassare il denaro utilizzato per l’acquisto della sostanza stupefacente, Panarinfo però i soldi non li può restituire e inizia a pensare ad una collaborazione con la giustizia.

Il viaggio in Spagna

Cruciale nelle indagini e nel rapporto tra Bruno Nirta e Daniel Panarinfo è il viaggio compiuto in Spagna. Il soggiorno è organizzato «per avviare una attività di narcotraffico con il Sudamerica, avvalendosi di una ditta di copertura intestata ad un cittadino spagnolo». In terra spagnola, il pentito incontra due latitanti e conosce una serie di personaggi di primo piano della ‘ndrangheta. Nonostante gli affari e i danari in ballo, Panarinfo sceglie di collaborare con la giustizia perché – come anticipato in precedenza – «dopo la vicenda della cocaina» si mette nei guai. «Ho raccontato a Bruno Nirta e ad altri una marea di palle per sopravvivere. Mi sono anche inventato l’esistenza di una persona che doveva portarmi dei soldi per guadagnare tempo e fingevo di ricevere messaggi ed email, nel senso che me li spedivo da solo e li facevo leggere ai fratelli Nirta. Insomma ho perso la fiducia di Bruno Nirta e non sapevo come fare a restituire i soldi, ho capito di essere in pericolo di vita». Ma c’è un altro motivo che avrebbe spinto il pentito a saltare il fosso. «Ho visto quanto erano falsi tra di loro. Quando ero con Bruno mi parlava male di suo fratello Giuseppe e viceversa. Anche Giuseppe mi parlava male di Bruno dicendo che era troppo nervoso, che faceva scappare la gente e la minacciava. Non a caso veniva chiamato il “terribile».
«Senza che me ne accorgessi si sono presi la mia vita».

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