VIBO VALENTIA La Corte d’appello di Catanzaro ha accolto la richiesta della Dda e dunque non sarà il giudice Tiziana Macrì a presiedere il collegio del Tribunale di Vibo nel processo “Petrolmafie” sui presunti illeciti perpetrati dalle cosche del Vibonese nell’affare degli idrocarburi. Nell’udienza del 13 dicembre scorso, la stessa Macrì aveva dichiarato di aver già depositato una richiesta di astensione al presidente del Tribunale di Vibo Valentia Erminio Di Matteo, che quest’ultimo aveva però respinto.
In particolare la Macrì riteneva “Petrolmafie” una costola di “Rinascita Scott” e, a tal proposito, la Corte di Cassazione si era già espressa certificando il profilo di incompatibilità. In sostanza, quando ricopriva il ruolo di gip a Catanzaro aveva disposto dei decreti di intercettazione richiamando nel merito l’associazione mafiosa proprio nell’ambito del procedimento “Rinascita-Scott”.
La Dda, rappresentata dal pm Antonio De Bernardo, ha ribadito nella richiesta di ricusazione che «la dottoressa Macrì ha espresso un giudizio di gravità indiziaria in ordine all’esistenza delle articolazioni di ‘ndrangheta tra loro collegate operanti nei territori di Limbadi, San Gregorio d’Ippona, Sant’Onofrio e Zungri». La dichiarazione di ricusazione era stata proposta anche dall’avvocato Francesco Sabatino nell’interesse del suo assistito Antonio Prenesti, condannato a 4 anni di reclusione nel processo “Dinasty” proprio da Tiziana Macrì. L’accoglimento dell’istanza della Dda di Catanzaro assorbe la dichiarazione di ricusazione avanzata dall’avvocato Sabatino.
Per i giudici della Corte d’Appello valgono le stesse ragioni che hanno portato all’incompatibilità di Tiziana Macrì nel processo “Rinascita Scott”, considerato il fascicolo “madre” dal quale si è poi sviluppata l’inchiesta denominata “Petrolmafie”. La questione tornerà adesso sul tavolo del presidente del Tribunale di Vibo che dovrà nominare un sostituto per completare il collegio giudicante. Restano al loro posto, invece, i giudici Roberta Ricotta e Laerte Conti.
Nel processo risultano imputate 54 persone accusate, a vario titolo, di associazione di stampo mafioso, estorsioni, riciclaggio, reimpiego di denaro di provenienza illecita in attività economiche, intestazione fittizia di beni, evasione delle imposte e delle accise anche mediante l’emissione e l’utilizzo di fatture per operazioni inesistenti, contraffazione e utilizzazione di documenti di accompagnamento semplificati.
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