Prima l’uovo o la gallina. E’ lo stesso dilemma che coinvolge la programmazione sanitaria con quella dei trasporti.
E’ molto facile optare per una scelta o per l’altra in una regione pianeggiante e scorrevole, attrezzata di tutto punto di una rete stradale agevole e ferroviaria soddisfacente, correttamente manutenute, attraverso le quali i siti abitativi riescano a godere di una facile e comoda condizione di percorribilità e di raggiungibilità dei luoghi di interesse collettivo.
Il difficile, finanche a rasentare l’impossibile, accade allorquando si prenda in considerazione in tal senso una regione dalla orografia difficile, per non dire impossibile, caratterizzata da catene montane e una rete viaria più simile ad un insieme di viottoli mal tenuti.
Nell’uno e nell’altro caso occorre comunque considerare preliminarmente la politica dei trasporti che si intenda attuare, quindi, la sua progettazione come strumento di distribuzione territoriale anche dei siti sociosanitari. Questi ultimi da considerare come segmenti di un insieme erogativo dei Lea, afferenti ai primari diritti sociali, dovuti alla collettività senza discrimine alcuno per come costituzionalmente sancito (art. 117, c. 2, lett. m). In quanto tali, ad essi siti va assicurata la migliore individuazione logistica e il più facile raggiungimento da parte di tutti, nessuno escluso, soprattutto degli appartenenti al ceto più debole. Ciò al fine di renderli concretamente godibili a chi, altrimenti, risulterebbe isolato dal sistema di tutela della salute territoriale e, dunque, lontano da ogni suo pronto utilizzo sociale. Un handicap venuto fuori con tutta la sua forza in questi due terribili anni nei quali il Sars-Cov2, in tutte le sue diverse configurazioni scientifiche, ha trovato un territorio completamente sguarnito di presidi difensivi e ospedali inadeguati all’esigenza.
Il problema di oggi è quello di capire il da farsi, alla luce delle occasioni offerte dal PNRR, funzionale a rintracciare nel tempo scadente nel 2026 la soluzione migliore a far collimare e coincidere il soddisfacimento del fabbisogno viario con quello epidemiologico. Quest’ultimo inciso sensibilmente da un coronavirus che sembra non finire mai, con le sue varianti ancora pronte a moltiplicarsi, e dagli esiti del post-Covid che promettono poco di buono.
I tempi previsti dalla generosa programmazione europea 2021-2026, prescindendo dalle misure individuate e dai tempi attuativi previsti, soprattutto quelli riferiti alla scansione delle scadenze fissate per assicurare una assistenza sanitaria territoriale più efficiente, efficace e immediata, comporteranno una fatica abnorme per le istituzioni impegnate. Queste ultime, spesso a corto di burocrazie professionalizzate e invero non attrezzate allo scopo, saranno in molte ad accedere all’outsourcing ovvero a corsi accelerati di una formazione, che questa volta dovrà essere davvero tale.
Il tutto reso più difficile da far camminare, di pari passo, un siffatto genere di programmazione complessa (trasporti e salute) con quella propedeutica ad implementare le infrastrutture garanti di una mobilità sostenibile, indispensabili per assicurare per l’appunto – in una sinergia organica con i previsti servizi digitali e della c.d. logistica integrata – i trasporti necessari a programmare, a brevissimo (il 31 maggio p.v. ci sarà la sottoscrizione dei relativi CIS), e realizzare nell’arco di tempo concesso dal PNRR una rinnovata assistenza territoriale sostenuta da modalità viarie capaci di agevolarne la godibilità.
Il problema impeditivo della realizzazione sincronica è determinato dalla maggiore durata di tempo della riprogrammazione della rete viaria, rispetto a quella della materializzazione della rinnovata assistenza della salute pubblica di territorio, che dovrà essere necessariamente breve, pena le debolezze attuali, spesso generative di pratiche quasi “omicidiarie”. L’assistenza basata su una rifondazione complessa del distretto sanitario in quanto tale, l’unico presidio ad essere codificato ad oggi dall’ordinamento legislativo, dovrà essere infatti la soluzione alle trascorse e attuali pene disorganizzative. Non solo. Dovrà opporsi energicamente alle insidie del coronavirus, offrire sollecitamente i pratici rimedi alle patologie post-Covid e facilitare il ritorno all’offerta ordinaria sia territoriale che ospedaliera, con l’attenta mediazione delle COT (Centrali operative territoriali), cui viene rimessa la presa in carico della persona umana bisognosa e il compito di indirizzarla in una delle dette due tipologie assistenziali.
Da qui, la parola ai tecnici, a chi sappia programmare e pianificare la ineludibile riorganizzazione della assistenza territoriale, da tempo svanita, con il giusto ripensamento della politica e programmazione dei trasporti. Il tutto, individuando e utilizzando al riguardo tutto il prodotto infrastrutturale, esistente e programmato con il PNRR, utilizzandolo in essa rinnovata rete stradale di comunicazione e nei servizi pubblici da rendere alla collettività.
Tutto questo finalizzato a dare una offerta immediata alla collettività, offesa dalla epidemia, e a riconsegnare i livelli essenziali dei trasporti, finalizzati alla esigibilità anche del diritto alla salute.
Un criterio, questo, non del tutto nuovo all’ordinamento, tanto da fare progettare con la legge delega n. 42/2009, attuativa dell’art. 119 della Costituzione, sanità e trasporto pubblico tra le quattro fondamentali metodologie di “servizio pubblico” che il cosiddetto federalismo fiscale ha previsto essere finanziate, non più con la spesa storica, bensì con i costi e fabbisogni standard ma assistite nella totalità del valore necessario dalla perequazione ordinaria al 100%, per territori con minore capacità fiscale per abitante. Intendendo per questi quelle Regioni in cui gettito fiscale non fosse sufficiente ad assicurare il livelli essenziali di prestazioni e pertanto bisognose dell’integrazione.
Quanto sottolineato e proposto, seppure esaustivo sul tema in generale, non esime dal fare ulteriori tre fondamentali sottolineature, nel senso di riassumere qui due considerazioni e una proposta complessa funzionali a sollecitare il Mezzogiorno, e la Calabria nel particolare, a non perdere l’attuale occasione del PNRR per concretizzare (finalmente) il suo rinascimento.
a) La seconda Legge della Termodinamica recita: “Un sistema chiuso tende spontaneamente e in modo irreversibile verso uno stato di massima entropia nel corso del tempo, ossia una situazione di massimo disordine, priva di differenze locali, in cui l’energia ancora disponibile è minima”.
Questa Legge testimonia chiaramente da un lato la interazione funzionale tra la mobilità e la sanità, tra la logistica e la ottimizzazione dei siti sanitari sul territorio ed al tempo stesso denuncia chiaramente la esplosione del “disordine” e la convenienza a far crescere il disordine stesso. Ebbene, questo approccio teorico diventa ancora più critico in una realtà come il Mezzogiorno, in una realtà come il vasto ed anomalo territorio calabrese. Infatti non siamo in presenza di un disordine (entropia) che aumentando testimonia una capacità quasi immediata di rendere funzionali ed interagenti la domanda e la offerta (domanda di trasporto ed offerta di trasporto, domanda di sanità ed offerta di sanità), ma di un disordine che non produce nessuna convenienza ai fruitori delle due categorie quella legata alla mobilità e quella legata alla sanità. Questa grave anomalia ci impone quindi una immediata lettura sullo stato attuale; si è volutamente detto “lettura” e non ricerca perché l’unico dato positivo per la Calabria è la ricchezza di studi (molti inutili) che consentono di misurare subito quale sia la attuale offerta e quanto questa sia distante dalla esigenza della domanda.
b) Una seconda considerazione è invece legata al “letargo” (forse anche intellettuale) che ha caratterizzato la gestione politica ed istituzionale della Regione. Facciamo sempre l’esempio della incapacità della spesa, del mancato utilizzo, da parte della Regione, delle risorse del Fondo di Coesione e Sviluppo 2014 – 2020 (su 2.900 milioni disponibili si sono spesi solo 300 milioni), ma da un po’ di tempo ci stiamo convincendo che forse è stato un bene non spendere risorse per finalità estranee ad ogni processo di crescita nel breve e medio periodo. Questa rincorsa ad utilizzare le risorse in tempi certi può diventare un’occasione (in realtà l’ultima) per evitare che il letargo diventi irreversibile e, soprattutto, per evitare che il PIL pro capite di un cittadino calabrese sia di 19.000 euro e quello di un cittadino lombardo di 40.000 euro; per evitare che i Livelli Essenziali delle Prestazioni (voluti dalla Costituzione) continuino ad essere banali riferimenti liturgici invocati da falsi meridionalisti.
c) Nasce così forse una prima proposta: in modo umile, da meridionali, cerchiamo gli invarianti, cerchiamo quelle scelte che nel breve e medio periodo possono davvero modificare alcune criticità proprie della Regione; è un approccio modesto? è un approccio banale? Forse sì, ma è l’unico approccio per offrire al Mezzogiorno e alla Regione Calabria (unica Regione lontana dai livelli di efficienza socio economica delle Regioni della Unione Europea) una prima opzione misurabile e concreta.
* ex dirigente del ministero delle Infrastrutture
** Unical
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