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Draghi, Cartabia, Mattarella, Casini o chi altri?

Si avvicina la settimana decisiva per l’elezione del nuovo Presidente della Repubblica. Da Pertini a Ciampi, passando per Napolitano fino all’attuale Presidente Mattarella, ma soprattutto con Coss…

Pubblicato il: 23/01/2022 – 9:33
di ORLANDINO GRECO*
Draghi, Cartabia, Mattarella, Casini o chi altri?

Si avvicina la settimana decisiva per l’elezione del nuovo Presidente della Repubblica. Da Pertini a Ciampi, passando per Napolitano fino all’attuale Presidente Mattarella, ma soprattutto con Cossiga, il ruolo di Capo dello Stato è stato interpretato con rigore, a causa dei fallimenti e dell’insipienza dei partiti, marcando sempre più una presenza nella vita politica del Paese, superando talvolta il ruolo di neutralità rispetto ai poteri costituiti ma pur sempre a garanzia dei dettami costituzionali. Basti pensare al coinvolgimento degli stessi nelle diatribe politiche e nella formazione dei vari governi, al punto da indurre molti costituzionalisti ad affermare senza indugio di essere giunti ad un semipresidenzialismo de facto. Queste trasformazioni della prassi costituzionale sono certamente lo specchio di partiti incapaci, da almeno un trentennio, di formare classi dirigenti consapevoli ed autorevoli, in grado al più di dar vita a comitati elettorali. Questa tendenza ha purtroppo aperto la strada alla personalizzazione della politica e al più esasperato tecnicismo senza cuore ne anima. Negli anni, le discussioni (auspicabili) sulle modifiche degli aspetti endogeni della nostra Repubblica Parlamentare sono sempre state rinviate per cedere il passo ad altre priorità. Io credo che oggi, a distanza di oltre 70 anni dall’elezione del primo presidente della Repubblica italiana, sia necessario discuterne coscientemente, per indurre un processo di riforme costituzionali atto a migliorare un esistente apparato istituzionale che necessita di stabilità politica e velocità nell’azione legislativa, pur mantenendo le ampie garanzie costituzionali dei pesi e contrappesi. Pensare ad un sistema semipresidenziale significa garantire una maggiore partecipazione popolare e un maggiore equilibrio tra i poteri. Il nostro sistema parlamentare, piaccia o meno, è ingolfato, ha il fiato corto perché i parlamentari si trovano a dover dibattere e decidere su importanti macro riforme e, al tempo stesso, su provvedimenti micro ma che per incidenza sulla vita delle persone dovrebbero avere maggiore rapidità d’esecuzione. Parlare di semipresidenzialismo significa parlare di un sistema nel quale: 1-il Presidente della Repubblica è eletto direttamente dal popolo e ha poteri propri, 2-il Primo Ministro, così come tutto il governo, viene nominato dal Presidente ma deve ottenere la fiducia del Parlamento per poter governare. Il semipresidenzialismo, così come il presidenzialismo, viene impropriamente accostato a degenerazioni autoritarie della storia, ignorando l’efficienza e la vitalità di questo sistema. È evidente come un governo sia più efficiente ed efficace se non più costretto a far approvare ai due rami del Parlamento i limiti per la caccia stagionale o di altre tematiche che portano via tempo prezioso ai lavori parlamentari. Occorrerebbe lasciare il dibattimento e l’approvazione dei macro temi del Paese alle due Camere (invero meglio se una) e, per il resto, riservare una rapida approvazioni dei temi micro all’Esecutivo, proprio come accade oltralpe. Sia chiaro, il Parlamento non è, nella mia concezione, un vecchio pachiderma da abbattere bensì da migliorare e valorizzare, così come la nostra Costituzione, notoriamente perfettibile, e dunque soggetta ad una matura discussione che non bisogna affrontare con un oltranzistico conservatorismo. Dunque, nel mentre si spera che una classe politica illuminata abbia la capacità di proporre una organica e duratura riforma costituzionale, aspettiamo con ansia l’elezione del Presidente della Repubblica. Dal ‘46 in poi tanto cammino è stato fatto. Ad eleggere infatti il primo Presidente, nella persona del liberale Enrico De Nicola, ai vertici dei maggiori partiti vi erano Alcide De Gasperi, Pietro Nenni , Palmiro Togliatti, Luigi Einaudi e Ugo La Malfa. Oggi il destino della Repubblica è affidato a Luigi Di Maio, Matteo Salvini, Giorgia Meloni, Enrico Letta, Matteo Renzi e Silvio Berlusconi. La differenza, ancorché visibile, sta nel fatto che, un tempo, l’elezione del Capo dello Stato rappresentava l’espressione massima dell’unità nazionale, figlia di contrapposizioni e tensioni ideali ma che convergevano nell’interesse generale del Paese. Oggi, a dominare lo scenario è la bieca logica spartitoria dei giochi di Palazzo e delle ansie di salvezza personale legate alle prossime elezioni. Dopo il ritiro di Berlusconi e i diversi nomi usciti per essere bruciati penso che sia proprio Draghi a vincere la scalata al colle.
* Italia del meridione

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