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«Necessario rivisitare i criteri di scelta dei componenti del Csm»

Ora che il problema dei criteri e delle modalità di composizione del nuovo Csm è stato formalmente sollevato dal Presidente della Repubblica, tutte le forze politiche cominceranno a parlare, talvo…

Pubblicato il: 27/01/2022 – 14:25
di Saverio F. Regasto*
«Necessario rivisitare i criteri di scelta dei componenti del Csm»

Ora che il problema dei criteri e delle modalità di composizione del nuovo Csm è stato formalmente sollevato dal Presidente della Repubblica, tutte le forze politiche cominceranno a parlare, talvolta a vanvera, delle modalità di elezione dell’organo di autogoverno della magistratura, talvolta ignorandone compiti e funzioni, talaltra facendo finta di non sapere che esso non è (o, meglio, non dovrebbe essere) un’accolita di politici trombati o di magistrati parrucconi, bensì il presidio costituzionale dell’autonomia e dell’indipendenza della magistratura. Va detto, per onestà intellettuale, che in alcune recenti occasioni il Consiglio è sembrato ai più una sorta di “viziosa camera di compensazione” dei desideri dei politici e delle correnti, piuttosto che l’organo chiamato a garantire l’ordine giudiziario dalle incursioni del potere esecutivo in primis e, ora, da quelle delle sempre più fameliche correnti che dividono, quando non dilaniano la magistratura.
Eppure il Costituente ci aveva visto lungo, ma certo non poteva immaginare una degenerazione così pronunciata. La composizione mista, togati e laici, i criteri di scelta di questi ultimi (non magistrati, ma “operatori” del diritto impegnati in altri ambiti), la vicepresidenza riservata a un laico (bilanciata dall’appartenenza di diritto del Primo Presidente e del Procuratore Generale della Cassazione), oltre che, ovviamente, la Presidenza del Presidente della Repubblica, non hanno retto, nel lungo periodo, a una certa degenerazione (ciclicamente sempre presente in verità, se solo si pensa alla mancata designazione, a suo tempo, di Giovanni Falcone) che oggi ha assunto i tratti di una vera e propria emergenza nazionale.
Ciò nonostante, magistratura e politica resistono strenuamente a ogni ipotesi ragionevole ma risolutiva di radicale modifica dei criteri di scelta dei componenti togati del Csm, naturalmente compatibile col dettato costituzionale, in ragione della necessità di preservare margini di manovra più o meno ampi alle correnti interne che dall’essere luoghi di dibattito e riflessione sul ruolo della magistratura in Italia, col tempo sono divenute vere e proprie macchine del consenso e campionesse della peggiore logica spartitoria degli incarichi di vertice dell’ordine giudiziario. A nulla sono valse, a tal riguardo, l’eliminazione del criterio “dell’anzianità senza demerito” che tanti guasti aveva, in passato, creato e la sua sostituzione con una mole enorme di orpelli burocratici che molto spesso è apparsa, a un lettore attento, centinaia di inutili pagine volte a “giustificare” e “coprire” determinate scelte correntizie di discutibile legittimità (come i giudici amministrativi hanno in questi giorni dimostrato “decapitando” i massimi vertici e costringendo il Consiglio a rideliberare). L’organo di autogoverno, poi, dovrà saper avviare una seria riflessione interna – scevra da ogni condizionamento partitico – sulla organizzazione del lavoro, sulle valutazioni di professionalità (siamo sicuri che non siano diventate una sorta di automatismo?), su quali capacità valorizzare per ricoprire posizioni direttive (bastano gli incarichi di insegnamento a contratto presso qualche Scuola di Specializzazione universitaria?), sulla effettività del principio dell’obbligatorietà dell’azione penale (in questo Paese la percezione fra reati commessi e reati perseguiti, in particolare contro la pubblica amministrazione, appare drammaticamente squilibrato).
È evidente, dunque, che si rende necessaria una seria rivisitazione dei criteri di scelta dei componenti togati del Consiglio, che vada nel senso di eliminare l’elezione come unico criterio, che di per sé porta a una esposizione “politica” inopportuna, sostituendolo con l’estrazione a sorte dei componenti sulla base delle disponibilità dei singoli magistrati a ricoprire la carica. Se il sorteggio debba essere preceduto da una sorta di elezione (o da una raccolta di sottoscrizioni per presentare la candidatura) è questione secondaria, rispetto al nucleo centrale di questa riflessione: nell’attuale contesto storico, l’unica modalità che non consentirebbe alle correnti di colonizzare il Csm e che tutelerebbe tutti i magistrati, in particolar modo quelli che non aderiscono ad alcuna di esse, sia nella rappresentanza in Consiglio, sia soprattutto nella designazione per gli incarichi direttivi, è il sorteggio.
Solo così si potranno evitare, in futuro, i guasti di qualche politico che sorprendentemente, ha superato il concorso in magistratura, ha esercitato funzioni giurisdizionali ed è infine riuscito a entrare nella stanza dei bottoni, trattando il Csm come una sorta di mercato delle vacche. La magistratura merita di meglio, in un Paese in cui trasparenza e legalità, essenze vere della democrazia, stentano ad affermarsi.

*Università degli Studi di Brescia

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