CROTONE Francesco Saporito, 79 anni, imprenditore considerato contiguo alla cosca Grande Aracri, era salito agli onori delle cronache, in Toscana, per la compravendita milionaria di una fattoria in provincia di Arezzo. Acquisto finito al centro di una indagine della procura aretina, racconta l’edizione fiorentina di Repubblica, che aveva sfiorato anche Pierluigi Boschi, padre della parlamentare Maria Elena, «all’epoca in società con l’imprenditore calabrese per gestire l’affare». La passione di Saporito per le aziende agricole lo ha portato, ieri, al centro di un altro caso, arrivato allo step di un maxi sequestro, questa volta tra le colline senesi. In un’inchiesta della Dda di Firenze sono finiti terreni e fabbricati per un valore di 5 milioni di euro. Indagato assieme a Saporito è Edo Commisso, che, secondo gli inquirenti, sarebbe l’intermediario nell’acquisto dell’azienda agricola e «incaricato dalla cosca di sovrintendere agli interessi della stessa in territorio toscano e di individuare occasioni di investimento». Commisso sarebbe in rapporti, oltre che con la cosca di Cutro, anche con l’omonimo clan della Locride. A Saporito e Commisso, l’antimafia toscana – l’inchiesta è coordinata dai pm Giuseppina Mione e Giulio Monferini – contesta il reato di riciclaggio, con l’aggravante di aver agevolato la ‘ndrangheta.
Le indagini hanno rivelato che Saporito avrebbe acquistato il complesso immobiliare da una coppia di imprenditori del luogo, nel 2007, a una cifra inferiore al valore di mercato, circa 4 milioni di euro. Lo “sconto” sarebbe stato ottenuto, secondo l’accusa, perché 1 milione e mezzo di euro sarebbe stato pagato in nero, in contanti. Seguendo quei soldi, gli investigatori sarebbero risaliti ai legami con la criminalità organizzata.
Repubblica riporta poi alcuni passaggi dai verbali di un collaboratore di giustizia. Che spiega: «L’affare era nato perché c’era questo denaro da investire. Saporito aveva acquistato l’azienda agricola San Galgano almeno in parte con denaro delle cosche Grande Aracri e Manfreda di Petilia Policastro, non aveva ancora restituito i soldi». Per il collaboratore di giustizia, Edo Commisso «aveva l’incarico di gestire l’azienda, reclutare e pagare gli operai; spesso si lamentava che Saporito pretendeva che si facesse come diceva lui e poi si lamentava che la resa produttiva non era corrispondente alle sue aspettative».
Nel decreto di sequestro c’è una conversazione ritenuta significativa tra il pentito e lo stesso Commisso. Risale all’8 marzo 2012: è il collaboratore a riferire a Commisso i desiderata dei boss per i business in Toscana: «Si piglia tutto, tu prendi, chiama, noi veniamo, noi abbiamo architetti, ingegneri, tutto abbiamo che ci seguono… commercialisti… Noi prendiamo… Abbiamo tutto noi, capito?. (…) Tu non guardare il prezzo, non ti devi… c’è un lavoro, ti fai dare le carte, ci chiami, veniamo, guardiamo questo e quello… Parliamo, se ci conviene lo facciamo, se non ci conviene arrivederci e grazie».
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