VIBO VALENTIA Il Tribunale collegiale di Vibo Valentia, presieduto dal giudice Tiziana Macrì, ha emesso quattro condanne e tre assoluzioni al termine del processo con rito ordinario e che riguardava le presunte «pressioni» nei confronti di Emanuele Mancuso, ex rampollo del clan di ‘ndrangheta attiva a Limbadi e Nicotera, nel Vibonese, con l’intenzione di fargli ritrattare le dichiarazioni rese alla Dda di Catanzaro.
Pena più severa nei confronti di Giuseppe Mancuso, 36enne, fratello proprio di Emanuele, condannato a 5 anni e 6 mesi di reclusione. Condannati a un anno e 8 mesi di reclusione anche il padre, la madre e la zia del collaboratore di giustizia, ovvero Pantaleone “l’ingegnere” Mancuso, Giovannina e Rosaria Rita del Vecchio. Sono in tutto tre le assoluzioni, a cominciare dalla sorella, Desiree Antonella, Giuseppe Pititto e Antonino Maccarone.
Il processo in abbreviato si è concluso il 7 marzo scorso con due condanne: quella a carico dell’ex compagna di Emanuele Mancuso, Nensy Chimirri, a 4 anni, e di Francesco Pugliese a sei anni di reclusione. I provvedimenti dell’autorità giudiziaria erano scattati esattamente due anni fa, con gli imputati che sono chiamati a rispondere a vario titolo di violenza privata, tentata violenza privata, reati in materia di detenzione di armi, induzione a non rendere dichiarazioni o a rendere dichiarazioni mendaci all’autorità giudiziaria, evasione, favoreggiamento personale, procurata inosservanza di pena.
Secondo l’accusa, l’arma utilizzata dalla famiglia Mancuso per tentare di dissuadere Emanuele Mancuso dai suoi propositi di collaborare con la giustizia sarebbe stata la figlia nata da poco. La minaccia, infatti, sarebbe stata quella di non fare più vedere la piccola al papà. Il messaggio era impresso su una fotografia che ritraeva la piccola in braccio allo zio, mentre la compagna gli scriveva: «Puoi tornare indietro, io ci sarò, come tutti». L’intento di fare recedere il collaboratore sarebbe riuscito ai Mancuso per un brevissimo periodo di tempo: dal 20 maggio 2019 al 27 maggio successivo, quando il giovane era stato di nuovo interrogato chiedendo di rientrare nel programma di protezione.
Il collegio difensivo è composto dall’avvocato Francesco Capria, Francesco Sabatino, Diego Brancia, Pietro Antonio Corsaro, Francesco Schimio e Antonia Nicolini.
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